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Il desafuero 6 di Pinochet.

IV. Debole ma democrazia 4.1 Il secondo governo democristiano della transizione.

4.2 Il desafuero 6 di Pinochet.

Il 16 ottobre 1998 Augusto Pinochet, mentre era ricoverato al London Clinic, prestigioso ospedale della capitale inglese dopo essersi sottoposto a un intervento chirurgico, venne messo in stato di arresto dalla polizia britannica in virtù di un ordine di cattura pronunciato dal giudice spagnolo Baltasar Garzón. Dal quel giorno si innescò un incidente diplomatico con risonanza internazionale che si concluse solo dopo molti anni alla fine di un iter giudiziario complesso. Pinochet venne detenuto poiché accusato dell’assassinio di alcuni cittadini spagnoli durante la dittatura7

, oltre alla detenzione veniva sollecitato l’avvio della procedura di estradizione per crimini quali presunto genocidio, torture, terrorismo e altre attività commesse contro cittadini e residenti spagnoli. Inoltre il generale fu accusato a livello internazionale in quanto partecipe e collaboratore nell’«Operazione Condor»8

. In questo quadro veniva recriminato a

5 V. Castronovo, op. cit., p. 269.

6 El desafuero è un termine tecnico del diritto pubblico cileno con il quale si definisce la privazione

dell’immunità parlamentare.

7

A. Uribe, M. Vicuña, El accidente Pinochet, Santiago de Chile, Editorial Sudamericana, 1999, pp. 11- 18.

8 L’«Operazione Condor» fu un’operazione segreta attuata dai principali servizi di intelligence dei

governi di Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Ecuador, Paraguay e Uruguay. La finalità era portare avanti una campagna antiterroristica e debellare le forze di sinistra e di estrema sinistra nei paesi suddetti. In realtà come descritto da V. Castronovo, si trattò di una vera e propria «campagna di assassinii mirati», di

67 Pinochet, in quanto capo delle forze armate e Capo dello Stato, di aver sovvenzionato coordinatamente con il governo Argentino, durante gli anni 1976-1983, attività volte all’eliminazione fisica di persone, torture, sequestri e scomparse di cittadini cileni e stranieri, attraverso operazioni condotte dalla DINA9. Senza esitazione il presidente cileno espresse la sua disapprovazione per l’accaduto, protestò contro le autorità britanniche ritenendo l’arresto un’interferenza in una questione interna, segnalò che si trattava di un caso di esercizio inaccettabile di extraterritorialità, solo i tribunali cileni potevano e avevano il diritto di giudicare crimini commessi in Cile. Ma soprattutto impugnò la protezione diplomatica di cui avrebbe dovuto godere Pinochet essendo entrato in Inghilterra con passaporto diplomatico10. Iniziavano le manovre del governo cileno affinché l’estradizione e il processo venissero evitate. Tuttavia per ottenere l’immunità diplomatica in un determinato paese quest’ultimo deve accreditare sia la persona sia l’eventuale missione speciale intrapresa dall’ospite, elementi questi che non erano presenti nel caso in questione. Non mancarono vere e proprie manifestazioni da parte dei sostenitori del generale davanti all’ambasciata britannica a Santiago. Allo stesso tempo in strada si versarono cortei a sostegno della detenzione del dittatore,

una «mattanza». Il coordinamento prese avvio nel novembre 1975 su proposta del capo della polizia politica cilena, Manuel Contreras. Tuttavia la data ufficiale non fece che formalizzare episodi di collaborazione avvenuti precedentemente tra i paesi. Infatti fin dai primi giorni del golpe vennero uccisi migliaia fra dirigenti dell’Unità Popolare ed esponenti di sinistra. La brutalità e l’efferatezza dei crimini compiuti in Cile con questa operazione si estesero ad altri obiettivi e altri movimenti come i tupamaros in Uruguay, Mir ed esponenti in esilio. Le operazioni vennero fiancheggiate dai dipartimenti statunitensi quali CIA e FBI, poiché perfettamente in linea con il loro obiettivo di estirpare il comunismo in territori così vicini e dunque pericolosi. V. Castronovo, op. cit., pp. 148-150, P. Kornbluh, The Pinochet File: A

Declassified Dossier on Atrocity and Accountability, New York, New Press, 2003, passim.

9 Pinochet non ignorava che vi fossero delle accuse pendenti su di lui in Spagna, già era stato citato per un

interrogatorio. Inoltre era a conoscenza che vi fossero dei giudici spagnoli che lo incriminavano accusandolo di aver organizzato la scomparsa di milioni di persone, tra cui cittadini stranieri. Senza contare le accuse emesse dall’associazione spagnola “Salvador Allende”, che lo incolpava di tortura, genocidio e terrorismo. L’associazione si vantava inoltre di possedere documenti del capo della DINA, Contreras, in cui egli stesso ammetteva che il capo effettivo dell’organizzazione fosse Pinochet. In aggiunta nel 1997 alcune investigazioni erano state avviate da parte di un avvocato cileno in esilio, Joan Garcés e dal magistrato spagnolo Manuel García Castellón. L’inchiesta era stata aperta dopo la denuncia presentata contro l’ex dittatore dall’associazione di magistrati Unión Progresista de Fiscales (UPF), di nuovo l’accusa riguardava omicidi commessi in Cile su cittadini spagnoli. Le accuse avevano l’aspetto di una sanzione morale poiché i giudici erano perfettamente consci che una petizione di estradizione del generale in territorio spagnolo non avrebbe riscontrato esito e al contempo la costituzione spagnola non avrebbe previsto l’avvio di un processo in assenza dell’accusato, dunque la presenza di Pinochet in Spagna risultava imprescindibile ma poco probabilmente egli si sarebbe volontariamente recato in territorio spagnolo in un clima accusatorio. M. Pérez, F. Gerdetzen, Augusto Pinochet: 503 días atrapado

en Londres, Santiago de Chile, Editorial Los Andes, 2000, pp.27-28, M.R. Stabili, Le verità ufficiali…,

cit., p. 212.

10

In base a un’inchiesta da parte di un giornalista argentino, Rogelio García Lupo, emersero prove riguardo ai viaggi di Pinochet a Londra come mediatore per un accordo di acquisto di armi. Pinochet non era stato accreditato ufficialmente né dal governo né dalle proprie forze armate, tuttavia fece da negoziatore per l’esercito e per le restanti istituzioni militari, l’oggetto del contratto riguardava un capiente quantitativo di materiale bellico. M. Pérez, F. Gerdtzen, op.cit., pp.23-30, R. Montoya, D. Pereira, El caso Pinochet y la impunidad en América Latina, Buenos Aires, Pandemia, 2000, pp.15-18.

68 soprattutto da parte delle associazioni dei diritti umani. Una volta ancora la cicatrice che aveva diviso il paese si stava riaprendo. Nel frattempo il governo inglese, attraverso le dichiarazioni del primo ministro Tony Blair, temporeggiò e non prese una posizione ufficiale bensì annoverò la questione come di stretta competenza della giustizia. La difesa del generale ricorse a estenuati appelli contestando l’arresto anche all’Alta Corte di giustizia di Londra. Quest’ultima senza tardare rigettò il mandato di fermo: Pinochet in quanto ex Capo di Stato godeva dell’immunità, ma, dato che il pubblico ministero britannico si appellò alla Camera dei Lord, Pinochet rimase a Londra in attesa di un ulteriore verdetto. Mentre la Camera dei Lord iniziò a esaminare l’appello, molte istanze provennero dall’esterno, i giudici spagnoli provarono di avere competenza in materia e non esitarono a inoltrare la domanda di estradizione, così come il governo svizzero, francese e belga. La Svizzera contestò l’omicidio di Alexis Jaccard, cittadino svizzero scomparso nel 1977 durante un viaggio in Argentina, analogamente la Francia e il Belgio chiesero l’estradizione per la scomparsa di propri cittadini durante la dittatura. Proprio quando sembrava prendere avvio il procedimento di estradizione la Commissione d’Appello della Camera dei Lord annullò il mandato e il procedimento di estradizione riconoscendo al generale l’immunità diplomatica. La Commissione annunciò inoltre che un eventuale processo di estradizione avrebbe potuto riguardare solamente reati perpetrati dopo l’8 dicembre 1988, data di ratifica per il Regno Unito della Convenzione contro la tortura. Malgrado la sentenza, il ministro dell’Interno britannico, Jack Straw, sottolineò che era sufficiente un solo caso di tortura per far cessare l’immunità del senatore. Dunque la diatriba legale continuò. Il governo cileno si batté estenuatamente contro l’estradizione o un eventuale processo in territorio spagnolo poiché temeva ritorsioni da parte dei militari e da una parte della società. A favore del rilascio di Pinochet intervennero tramite un’epistola alti esponenti della Santa Sede. Ferma rimase tuttavia la posizione del ministro dell’Interno inglese sul sì all’estradizione. Ma proprio tre giorni prima l’avvio della procedura, giunse la notizia che Pinochet era stato colpito da un lieve ictus11. La fine di questo caso non poteva che risiedere in una soluzione politica. Il 2 marzo 2000 il ministro dell’interno Straw negò l’estradizione del generale in Spagna o in altri paesi che ne avevano fatto richiesta, liberò l’ospite cileno appellandosi alle ragioni umanitarie date le precarie condizioni di salute in cui verteva12. Il giorno seguente il rilascio Pinochet atterrò sul suolo natio

11

R. Nocera, Cronaca di un arresto eccellente: l’affare Pinochet sulla stampa italiana, in “Latinoamericana”, n.69, vol. XX, 1999, pp. 17-33.

69 accolto da una solenne cerimonia, non autorizzata dal governo, ricevuto con caldo benvenuto da parte delle forze armate e dai Carabineros. Forti discussioni sorsero dopo che le immagini dell’atterraggio e della discesa del ex dittatore misero in dubbio la sua cagionevole salute, dato che deambulava senza sostegno del bastone e non mostrava segni d’infermità. Fu chiaro che per trovare la soluzione a l’impasse i governi inglese e cileno erano giunti a una soluzione di compromesso, facendo prevalere ragioni sia di politica interna che di politica internazionale. Il Cile infatti stava attraversando la fase delicata della campagna per le elezioni presidenziali e i fatti che coinvolsero l’ex dittatore divennero l’argomento principale tra i politici tant’è che il destino di Pinochet rischiò di offuscare e alterare i risultati delle elezioni. Si concluse così una vicenda che interessò cancellerie e diplomazie di molti paesi, che accese dibatti tra numerosi esperti di diritto internazionale e associazioni a tutela dei diritti umani13. Una volta rientrato in patria, il generale dovette affrontare la riapertura delle istruttorie su di lui pendenti. Il contesto storico infatti agiva in suo sfavore, il Cile stava avviando importanti negoziati sia con l’Unione europea che con gli Stati Uniti, entrambi attori che si facevano portavoce a livello internazionale della salvaguardia dei diritti umani. Anche i partiti di destra erano poco inclini a sostenere una figura pubblicamente e apertamente coinvolta in crimini contro l’umanità. A Pinochet venne revocata l’impunità parlamentare e a livello giuridico iniziarono ad aprirsi i primi processi, non senza un percorso affannoso. Il giudice Juan Guzmán, che già aveva aperto un’inchiesta contro il generale mentre godeva dell’impunità nel 1998 per l’omicidio di alcuni dirigenti comunisti, avviò a un’istruttoria per il caso della “Carovana della Morte”14

, nonostante ciò nel 2002 il caso fu archiviato a causa della salute precaria dell’imputato al quale venne diagnosticata una “demenza senile”15

. Su pressione di alcuni ambienti dalla società civile, quello stesso anno Pinochet rinunciò alla carica di senatore vitalizio. Successivamente la sua

13

Amnesty International, El caso del General Pinochet- La jurisdicción universal y la ausencia de

inmunidad para los crímenes de lesa humanidad, Chile: Un deber irrenunciable:juzgar los crimenes contra la humanidad cometidos durante el regimen militar, 30 settembre 1998, in https://www.amnesty.org/es/latest/research/?contentType=2564&country=38282&sort=date&p=7

consultatao in data 17/01/2017.

14 Con l’espressione “carovana della morte” o “voli della morte” si designa il piano di sterminio condotto

dai vertici militari di Paraguay, Uruguay, Bolivia, Brasile, Argentina e Cile. Sotto il comando speciale del generale Sergio Arellano Stark e attraverso l’operato della DINA vennero compiute numerose esecuzioni capitali tra il settembre e l’ottobre 1973, 19 furono gli scomparsi fra contadini, operai, insegnanti, studenti e commercianti che appartenevano al Partito Comunista e Socialista, membri della sinistra rivoluzionaria o esponenti sindacali. Il nome deriva dalla pratica con cui vennero compiuti gli omicidi: dopo l’atterraggio di un elicottero infatti le vittime venivano fucilate o buttate in mare ancora vive o inebetite dalla somministrazione di sostanze stupefacenti. P. Verdugo, Gli artigli del Puma, Milano, Sperling&Kupfer, 2006, passim.

70 situazione di salute lo mise nuovamente in salvo. Infatti nel 2004 venne accusato in patria di omicidio e sequestro all’interno del Plan Condor, tuttavia data la problematica salute e l’età avanzata, il generale scampò all’incarcerazione, subendo solamente gli arresti domiciliari nella sua dimora per i pochi restanti anni della sua vita. Un ultimo processo attendeva però il generale, questa volta il «colpo di grazia»16 venne sferrato proprio da un suo vecchio alleato, gli Stati Uniti. Un accertamento fiscale intrapreso dall’Ufficio dell’ispettorato monetario statunitense nei confronti di alcune banche, tra cui la banca Riggs di Washington, rivelò dei fondi segreti depositati da Pinochet. Le verifiche avvennero all’interno della lotta al terrorismo, la quale aveva suscitato un forte irrigidimento nei confronti di operazioni volte a riciclare denaro sporco. Le somme versate dal generale rientravano in quest’ultima categoria dato che erano carenti di documentazione apposita, inoltre il denaro era stato depositato tramite società prestanome domiciliate alla Bahamas. Lo scandalo di questa evasione fiscale, di arricchimento illecito e di falsificazione creò più scompiglio che tutti i processi pendenti per violazione di diritti umani, anche coloro che erano stati collaboratori del generale presero le debite distanze poiché si era frantumata «l’immagine di onestà di cui beneficiava, soprattutto nell’esercito e nei partiti della destra»17.