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analisi preliminari: dallo studio del contesto alla programmazione di una strategia

Realizzare un progetto per un museo complesso come le Gallerie degli Uffizi comporta, oltre ad una attenta comprensione degli spazi storici e, conseguentemente, una accurata scelta dei supporti al materiale da esporre, anche la fondamentale esigenza di mantenere un corretto equilibrio tra la percezione del museo oggi e la sua storia collezionistica e architettonica. Trovare un bilanciamento – in questi termini – significa riuscire a pro- gettare un necessario quanto efficace strumento di comunicazione del patrimonio, le cui peculiarità, date le premesse, devono essere semplicità di utilizzo e capacità di diffusione soprattutto attraverso il pubblico dei non addetti ai lavori.

Il digitale e il virtuale stanno lentamente prendendo il posto delle tecniche di divul- gazione tradizionali (pannellistica, didascalie). Il passaggio di testimone però è tutt’altro che semplice e automatico: per poter sopperire alla necessità impellente (o apparente) di adeguamento ai nuovi trend, nei musei si fa spesso ricorso all’impiego di accattivanti quanto sofisticati software tecnologici, visti come una sorta di panacea in grado di risol- vere problemi legati all’accessibilità, alla comprensione e alla disseminazione di conte- nuti. Il tradizionale linguaggio parlato dai musei è quello scritto: didascalie, brochure, schede di sala, libri, conferenze, guide; quello del digitale si diffonde attraverso canali che usano termini come design, layout, content, strategy, impact, potential1 in grado di

trasformare la visita in una vera e propria esperienza. I supporti digitali, grazie alla di- sponibilità di uno spazio non contingentato in riquadri, garantiscono una quantità pres- soché infinita di approfondimenti, sia legati ad una singola opera o all’intera collezione, ampliando i contenuti così da raggiungere un pubblico sempre più ampio. In realtà, que- sta infinitezza non è tale poiché i nuovi strumenti hanno da subito rivelato un limite, in- sito nella loro stessa natura: la forma. L’avvicendamento del nuovo al vecchio, in maniera sempre più incisiva, può talvolta tradursi, ad avviso di chi scrive, in un eccessivo impiego di scenografici apprestamenti che rischiano di mettere in secondo piano l’opera, oggetto di quella stessa tecnologia che dovrebbe renderla maggiormente fruibile ma che in realtà si trasformano in protagonisti dell’esposizione. Il rischio dell’impiego massivo del digita- le, dalle funzioni più semplici – divulgazione – alle più complesse – istruzione –, dalla

1 Ravelli 2006: 2.

MUSINT 2. Nuove esperienze di ricerca e didattica nella museologia interattiva, a cura di Anna Margherita Jasink, Giulia

Dionisio, ISBN 978-88-6453-396-4 (online), ISBN 978-88-6453-395-7 (print), CC BY 4.0, 2016 Firenze University Press

conservazione alla trasmissione dei contenuti,dalla pubblicazione alla ricerca2, è quello

di sostituirsi totalmente anche nella percezione dell’opera d’arte, divenendo così il sog- getto (e non più un medium) dell’esposizione. Questa sorta di rivoluzione delle afferenze svela una sensibile criticità nella comprensione di quale sia il limite del loro impiego e quale l’effetto; per ovviare allo sbilanciamento sarebbe indicata una preventiva analisi e capire come orientare la scelta in base ad una predefinita necessità, decisione che non può essere legata a circostanze opportunistiche (si adopera il virtuale perché va di moda) ma dovrebbe essere suggerita dal criterio espositivo e dalla tipologia di conoscenza da trasferire ai diversi pubblici. È con queste premesse che il supporto multimediale svolge in toto la sua funzione, inserendosi a pieno titolo nella complessa scelta della strategia digitale da impiegarsi3. Anche i contenuti virtuali (come le didascalie tradizionali) pos-

sono essere organizzati secondo criteri filologici o tematici, divenendo altrettanto validi per una conoscenza strutturale dell’oggetto esposto; la scelta del soggetto in relazione all’oggetto da «raccontare» comporta una attenta analisi sul suo funzionamento e sulle capacità che il pubblico, spesso generalista, ha di utilizzarlo, senza mai dimenticare che, in questo processo di democratizzazione della cultura, l’utente finale non è più passivo ma libero di interagire con l’opera4.

La realtà tecnologica attuale, impensabile fino a qualche fa, impone scelte e orien- tamenti imprescindibili, per cui è comprensibile che il richiamo di nuovi software per la valorizzazione culturale sia fortemente sentito da parte delle istituzioni museali che vogliono essere al passo con i tempi: a titolo di esempio basta riflettere sui profondi cambiamenti nell’approccio con i diversi pubblici in merito alla comunicazione5. Dalle

«cassette» col nastro si è passati alle audioguide che nel giro di poco tempo hanno dovu- to lasciare il passo alle guide multimediali che concorrono, assieme agli smartphones, a rendere le visite sempre più particolareggiate; basti pensare al numero di «app» presenti sul mercato, che possono essere utilizzate con i propri smartphones (affrancando l’utente anche dalla necessità di ricorrere al noleggio a pagamento degli strumenti messi a dispo- sizione dal museo).

In sintesi, osserviamo che nel giro di pochissimo tempo la tecnologia ha permesso di trasformare non solo lo strumento (dalle audioguide facilmente adoperabili poiché uni- direzionali, alle guide multimediali che necessitano di interazione e competenze di base per la loro utilizzazione) ma anche la modalità di apprendimento di contenuti (dall’ascolto alla relazione, per mezzo di veri e propri racconti digitali, arricchiti da contenuti navi- gabili o percorsi interattivi). La fine dell’approccio descrittivo hatrasferito al visitatore la «responsabilità» di creare un percorso a suo uso e consumo, libero da sequenze dettate

2 Donati 2006: 14.

3 Dal 12° Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione pubblicato il 26/03/2015 apprendiamo che: il 71% degli italiani è presente sul web con un aumento netto del +7,4% rispetto al 2013; di questa percentuale il 50.3% è iscritto ad un social (Facebook il 50,3% dell’intera popolazione, YouTube 42% e il 10,1% su Twitter. Ne consegue un vistoso aumento dell’uso degli smartphone (+12,9%) usati da più della metà degli italiani (52,8%); in forte ascesa anche l’uso dei tablet usati dal 26,6% degli italiani. A questo aumento corrisponde l’altro lato della medaglia, un calo nella carta stampata (-1,6% i lettori dei quotidiani e -0,7% quelli dei libri che scelgono anche in questo caso la possibilità del digitale, gli e-book, sebbene ancora in percentuali molto basse: l’8,9% della popolazione). Di notevole interesse sono i dati legati alle fasce di età, fondamentali per una corretta progettazione dei supporti museali che, per loro natura, devono essere usufruibili da tutti i pubblici, senza alcuna barriera. Il 91,9% dei «consumatori digitali» è giovane mentre tra gli anziani è il 27,8%: tra questi solo il 13,2% usa o conosce uno smartphone. Un giovane su tre (il 36,6%) ha un tablet, mentre solo il 6% degli anziani lo utilizza. 4 Berardi 1996: 164.

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IMPIEGO DELLE TECNICHE VIRTUALI E INTER AT TIVITÀ NELL’ESPERIENZ A DIDAT TICA

dalle regole degli allestimenti; i nuovi strumenti hanno attivato una relazione dialogica tra opera e fruitore, poiché il loro uso implica un rapporto non più codificato con essa ma al contrario coinvolgendo l’utente in prima persona, stimolandone l’interazione e la partecipazione. Assieme al supporto è quindi cambiato il ruolo del visitatore: «da desti-

natario passivo di un progetto culturale a protagonista partecipe di un percorso di sviluppo museale […] mutando così anche la qualità della relazione che si viene ad instaurare tra il museo ed i suoi visitatori6». È innegabile che la sperimentazione digitale abbia avuto e

stia tutt’ora avendo un periodo felicissimo grazie al quale nuove e sempre più accattivanti soluzioni interattive riescono a creare moderne forme di intrattenimento e divulgazione. Gli esperti di ITC (Information and Communication Technology) non hanno grossi dubbi al riguardo: secondo Bonacini7 «il salto di qualità nella comunicazione e nelle modalità

di visita è notevole ed è attualmente un work in progress che vede da una parte un museo sempre più attivo e in continua ricerca di diffusione della cultura ma dall’altra un pub- blico sempre più esigente che richiede forme di apprendimento attivo non solo durante la visita ma anche prima e dopo l’esperienza diretta con le collezioni»; Hazan8aggiunge che

l’uso delle nuove tecnologie può essere affiancato a quelle tradizionali oppure sostituir- visi quale inevitabile progresso naturale che è necessario qualora un museo decida di potenziare la comunicazione e coinvolgere maggiormente l’utente. La partecipazione così potenziata (enhanced) e l’esperienza diretta e coinvolgente non fanno altro che arricchire la comprensione del patrimonio culturale, l’interpretazione e la trasformazione dell’u- tente in editore di contenuti9. In aggiunta è bene rimarcare che anche il comportamento

del visitatore, nell’esperienza museo, è cambiato: l’uso massivo della condivisione dei momenti salienti della vita quotidiana di ciascun individuo sui social fa sì che anche l’esperienza museo vada a confluire nel proprio «diario digitale»: il visitatore si tra- sforma così, più o meno consapevolmente, in promotore, stabilendo una relazione quasi personale con il museo, che ne trae assoluto vantaggio e visibilità.

Tenendo conto di tutti questi fattori, prima di partire con l’analisi tecnica del pro- getto abbiamo ritenuto che fosse molto importante conoscere il nostro pubblico10. Il pri-

mo passaggio per la realizzazione di contenuti digitali è stato l’acquisizione analytics, sulla tipologia di pubblico che maggiormente li utilizzerà, sebbene la formulazione di domande specifiche da porre e da porsi non è stata automatica. Questo studio in fase di progettazione si è rivelato particolarmente incisivo anche se l’elaborazione dei dati è stata più complessa del previsto (un pubblico molto variegato per età, fascia economica, formazione culturale) poiché da relazionare ad alcune necessità imprescindibili come ad esempio: cercare di soddisfare i bisogni, capire cosa è possibile fare per attrarre un sempre maggior numero di fruitori sia abituali che di ritorno, valutare le necessità (così come le aspettative) che i diversi pubblici hanno quando entrano in un museo complesso come gli Uffizi etc. Dalle indagini preliminari è emerso che il consistente pubblico delle Gallerie11 è concentrato principalmente sui capolavori che motivano la visita, Nascita di

6 Solima 2008: 65-76. 7 Bonacini 2011: 11. 8 Hazan 2003: 16-30. 9 Affleck et al. 2007: 92-110.

10 https://gathercontent.com/blog/understand-audience-inform-content-strategy

11 Nel 2013 «1.875.785» visitatori. Fonte: Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Tavola 8 - Top 30 Visitatori Istituti a pagamento, «Direzione Generale Bilancio Servizio III - Vigilanza ed erogazioni liberali Ufficio di Statistica».

Venere e Primavera di Botticelli in primis. È possibile riuscire a innestarsi e convogliare

il medesimo interesse, quando ci si confronta con una tradizione (e un’abitudine) con- solidata come questa, verso altre opere? Può esistere un sistema efficace per suscitare curiosità e interesse per «oggetti» completamente diversi? L’intera collezione archeolo- gica, semisconosciuta12, come può diventare spunto per una visita? Dato l’alto numero di

opere, quali opere scegliere per un progetto sperimentale? E di queste stesse opere, cosa comunicare e come? Infine, è ipotizzabile che, con strumenti adatti, si possa motivare una visita alle Gallerie ponendo sullo stesso piano la statuaria antica alla collezione dei dipinti? Supponendo di aver ben chiara la tipologia di un visitatore ideale: quali sono i bisogni che ha, i comportamenti che assume, le aspettative che crede di poter soddisfa- re? Per un uditorio così complesso ed eterogeneo, quale potrebbe essere lo strumento di comunicazione più adatto? A tutte queste domande abbiamo cercato di rispondere con una sperimentazione: il progetto Gold Unveiled©.