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e opportune considerazioni di alcuni colleghi nel precedente volume1, l’introduzionea questo di Margherita Jasink e Giulia Dionisio e le finalità del Progetto MUSINT mi esimono dal compito di richiamare, quale premessa, la cautela necessaria nel mettere a confronto racconti mitici e testimonianze archeologiche, accostando discipline che hanno percorsi epistemologici diversi, e di sottolineare i rischi derivanti da un approccio combi- natorio troppo disinvolto, che può indurre a forzature interpretative.
Oltre alla saga di Minosse e Dedalo, su cui mi soffermerò, altre tradizioni mitografi- che trattano dei rapporti tra Creta e il Salento nell’età eroica, coinvolgendo figure egual- mente illustri quali Glauco e Idomeneo, discendenti diretti del sovrano cretese2. Come
per altri miti attinenti alle frequentazioni dell’età eroica di cui i Greci tramandavano la memoria, l’interpretazione di queste leggende è stata oggetto di dispute scientifiche, anche piuttosto aspre, tra fautori, possibilisti, scettici e negazionisti rispetto all’ipotesi che esse possano talora celare residui nuclei di storicità, riconducibili a vicende reali dell’età del bronzo; periodicamente queste controversie si riaffacciano nella letteratura archeologica e storiografica.
A prescindere dalle convinzioni personali in proposito, non si può non ricordare come autorevoli studiosi del secolo scorso, da Dunbabin a Bérard, da Bernabò Brea a Puglie- se Carratelli, abbiano scritto pagine fondamentali sull’età della cd. precolonizzazione, concedendo credito alle fonti letterarie, in anni in cui la documentazione archeologica era ancora lacunosa, e riconoscendo un possibile fondamento storico ad alcune delle leggende da esse tramandate. Allo stesso tempo, in virtù delle conoscenze progressiva- mente acquisite, i riscontri archeologici ad alcune vicende mitiche appaiono oggi ancora più stringenti ed ingenerano il dubbio che possa non trattarsi di mere coincidenze; mi riferisco in particolare a due passi di Erodoto e Diodoro Siculo.
erodoto (vii, 170)
…Si racconta in effetti che Minosse, giunto alla ricerca di Dedalo in Sicania, quella
che oggi viene chiamata Sicilia, vi perì di morte violenta. Dopo qualche tempo i Cretesi,
1 Fileni et al. 2011. 2 Federico 1999a; 1999b.
MUSINT 2. Nuove esperienze di ricerca e didattica nella museologia interattiva, a cura di Anna Margherita Jasink, Giulia
Dionisio, ISBN 978-88-6453-396-4 (online), ISBN 978-88-6453-395-7 (print), CC BY 4.0, 2016 Firenze University Press
dietro istigazione di un dio, tutti tranne i Policniti e i Presî, sarebbero giunti in Sicania con una grande spedizione navale e avrebbero assediato per cinque anni Camico, che ai miei tempi abitavano gli Agrigentini; infine, non potendo né impadronirsene né restare a soffrire la fame, abbandonata l’impresa ripartirono. Allorché, navigando, furono giunti dinanzi alle coste della Iapigia, una violenta tempesta li avrebbe sorpresi e gettati a riva. Poiché erano andate distrutte le loro imbarcazioni e non si vedeva più alcun mezzo per tornare a Creta, fondata la città di Hyrie si sarebbero stabiliti nella regione e con un grande cambiamento sarebbero diventati, invece che Cretesi, Iapigi Messapi, e invece che isolani continentali. Partendo dalla città di Hyrie, essi avrebbero fondato le altre città…
(trad. M. Lombardo).
In questo passo Erodoto, nel ricostruire le remote ragioni per cui i Cretesi non aveva- no preso parte alla guerra contro Serse, narra in maniera apparentemente casuale di una remota vicenda accaduta tre generazioni prima della guerra di Troia, quando gli abitanti dell’intera isola, tranne i Presî e i Policniti, avevano organizzato una spedizione in Sicilia per espugnare la piazzaforte di Camico e vendicare così la morte violenta di Minosse. Dal racconto di Diodoro (infra), più ampio e diffuso, apprendiamo che questa imprendibile rocca era stata progettata da Dedalo per il re sicano Cocalo e che Minosse era stato pro- ditoriamente ucciso mentre prendeva un bagno caldo come ospite del monarca indigeno. Il passo erodoteo è indubbiamente tra i più familiari per gli studiosi di storiografia greca; quanti vi hanno riconosciuto «a genuine survival»3, o quantomeno «nebulose re-
miniscenze di un’età divenuta quasi ignota agli stessi Greci»4, si sono ovviamente appel-
lati all’antichità e all’autorevolezza della fonte, il cui racconto non può essere paragonato a tradizioni ed elaborazioni mitografiche più tarde. Un altro aspetto su cui hanno insistito è costituito dal fatto che Erodoto riferisce di aver appreso la storia della grande spedi- zione dei Cretesi in Sicilia (o almeno parte di essa) e del conseguente spopolamento della madrepatria dagli abitanti di Praisos; soltanto i loro antenati e i Policniti, come si apprende dal passo riportato, non avevano partecipato all’impresa.
Sembrerebbe pertanto che, almeno nelle fasi più antiche, il racconto sia stato traman- dato presso i Cretesi; per usare le parole di Pugliese Carratelli, «…tutto fa pensare…
che il nucleo della leggenda sia cretese…e comunque già radicato a Creta prima della colonizzazione ‘storica’ in Occidente…»5. Questa interpretazione ovviamente confligge
con l’ipotesi che si sia trattato di una mera invenzione propagandistica dei coloni cretesi di Gela e di Agrigento, che tra l’altro imporrebbe di spiegare da un lato la diffusione di tradizioni legate all’arrivo di Cretesi, prima e dopo la guerra di Troia, anche in aree della Sicilia e della penisola non toccate dalla colonizzazione, dall’altro le ragioni per cui i Cretesi della madrepatria avrebbero dovuto accettare e riprendere una leggenda inven- tata in ambito coloniale, per di più incentrata sulla figura e sulle vicende di uno dei loro eroi più importanti6. Certamente Erodoto colloca la nascita e la prima trasmissione della
leggenda relativa alla spedizione in Sicilia in un distretto di Creta caratterizzato da una
3 Dunbabin 1948: 5. 4 Pugliese Carratelli 1956: 93. 5 Ibid.: 100.
IL FUTURO DEL MUSEO INTER AT TIVO 185
forte longevità etnica e culturale; una peculiarità ben nota agli antichi, visto che Praisos era ritenuta la roccaforte degli Eteocretesi, dei veri Cretesi autoctoni menzionati già in Omero (Od., 19, 172-177), che portavano iscritta nel loro stesso nome l’autenticità della loro appartenenza etnica.
Sorprendentemente il conservativismo di quest’area tramandato dalle fonti lettera- rie ha trovato conferma in una molteplicità di dati epigrafici ed archeologici desumibili dalle ricerche condotte nella Creta orientale sin dal 1884, quando Federico Halbherr rinvenne a Praisos una strana iscrizione, poi etichettata come «eteocretese» da Domeni- co Comparetti7. Questa e altre rinvenute in seguito nella stessa Praisos e a Dreros, tutte
inquadrabili tra il VII e il III sec. a.C., sono redatte in alfabeto greco ma in una lingua palesemente non greca8, che alcuni studiosi hanno tentato di accostare alla lingua pre-
ellenica parlata a Creta nel II millennio a.C.
Anche varie testimonianze archeologiche convergono nella medesima direzione e per l’età storica inducono ad assegnare alla Creta orientale una particolare fisionomia cultu- rale, la cui formazione affonderebbe le proprie radici in vicende accadute nella seconda metà del II millennio a.C., quando quest’area fu probabilmente toccata soltanto in parte della cd. «conquista achea» e le popolazioni che vi erano insediate furono sì pervase da presenze e influenze micenee, ma non furono mai interamente soppiantate da gruppi umani di provenienza continentale, tanto da meritare il curioso appellativo ibrido di
Mycenoans, coniato dalla Tsipopoulou per definire la loro identità9.
Benché gli avvenimenti susseguitisi nei secoli a cavallo tra il II e il I millennio a.C. siano difficilmente ricostruibili, James Whitley, che ha condotto estese ricerche archeo- logiche a Praisos e nel suo territorio, ha affrontato il problema del rapporto tra i Minoici e i loro discendenti dell’età del ferro e di epoca arcaica, osservando che probabilmente non vi sono stati significativi mutamenti etnici nel settore orientale dell’isola10, un territorio
abbastanza vasto in cui anche altri studiosi hanno riconosciuto «un’enclave di collettività e culture risalenti al livello pre-ellenico del popolamento di Creta»11.
Alla luce di questi elementi, che lasciano immaginare una sorta di roccaforte identi- taria di genti che custodivano un idioma, tradizioni e credenze epicorie, merita ricordare che tra il IX e l’VIII sec. a.C. nella Creta orientale erano attive officine che fabbricavano ceramiche decorate con uno stile affatto peculiare e caratterizzato da una forte impronta conservativa, definito da Coldstream Eteocretan Geometric12.
Tornando al passo erodoteo, se si concede un tenue margine di verisimiglianza all’i- potesi che il suo racconto possa custodire un piccolissimo nocciolo di storicità e, di con- seguenza, si tenta di individuare una regione, un centro e una popolazione di Creta capaci di conservare e trasmettere oralmente tradizioni patrie attraverso la strettoia dei secoli bui, il settore orientale dell’isola, Praisos e i suoi abitanti sembrerebbero averne senz’altro i requisiti. Un ultimo ma non secondario argomento addotto dagli studiosi a favore di questa stessa ipotesi è di natura onomastica. La decifrazione della Lineare
7 Comparetti 1888: 673-676.
8 Tsountas e Manatt1897: 276; Halbherr 1901: 371-372; Bosanquet 1910; Ventris 1940: 495-496; Guarducci 1942: 134- 142; Duhoux 1982 e bibl. cit.; Rehak e Younger 1998: 133.
9 Tsipopoulou 2005. 10 Whitley 1998: 27. 11 Federico1999b: 205.
B, infatti, ha consentito di verificare che i nomi di due dei principali personaggi della saga di Minosse, Cocalo e Dedalo, figurano nei testi degli archivi di Pilo e di Cnosso, l’uno come antroponimo, l’altro come probabile teonimo; in KN Fp 1, infatti, compare un santuario consacrato a Dedalo (da-da-re-jo-de), affiancato dal nome di altre divinità cui sono destinati quantitativi di olio pregiato13.
Infine, tornando al Salento, si deve ricordare come un riconoscimento implicito ma perspicuo dell’autorevolezza della tradizione erodotea si possa desumere dall’interesse scientifico per l’identificazione della città di Hyrie fondata dai naufraghi cretesi, un pro- blema affrontato già da Strabone (VI, 3, 6). A prescindere dalle teorie talvolta astruse di alcuni eruditi locali, il tema è stato trattato da vari studiosi14, anche da illustri rappresen-
tanti dell’archeologia pugliese come Lo Porto15 e D’Andria16, che chiaramente non hanno
inteso cimentarsi con un esercizio di pura fantasia schierandosi entrambi a favore dell’ identificazione con Oria (piuttosto che con Vereto), cui sembrerebbe conferire maggior credito il rinvenimento di due giare a staffa in una tomba vicina al saltuario di San Cosi- mo alla Macchia. Uno dei due vasi, acquistati da Lenormant e donati al Louvre, sarebbe da attribuire a un’ officina minoica secondo Athanasia Kanta17.