Capitolo I. Assiologia della pena
1.2. Iustitia hominum: la giustizia come ordine artificiale
1.2.3. Il criterio della proporzionalità e della necessità della pena 48
La natura del reato non pone limiti al contenuto delle pene, nel senso che anche le punizioni crudeli ed efferate ne risultano accolte. Il progredire della civiltà esigeva un nuo- vo approccio al rapporto fra pena e reato chiamato a superare le aporie del taglione. Ricer- care la corrispondenza fra sanzioni e reati ha dato origine a pene atipiche che consistono in afflizioni non tassativamente predeterminabili dalla legge in quanto “disuguali a seconda della sensibilità di chi li patisce e della ferocia di chi li infligge e non graduabili in base alla gravità del delitto: nessun dolore o supplizio fisico è infatti uguale ad un altro, e di nessuno è possibile prestabilire, misurare e tantomeno delimitare l’afflittività” . 120
La modernità abbandona questa pretesa, dunque, proprio per l’impossibilità di prede- terminare legalmente il contenuto delle pene, la loro natura e misura. Per l’incompatibilità, cioè, col nuovo principio su cui si erige il diritto penale a partire dall’Illuminismo: il prin- cipio di legalità, che richiede la previsione tassativa della natura e della misura delle pene. Nella definizione del nesso che intercorre fra reato e pena si passa dal principio della cor- rispondenza isomorfica a quello della proporzionalità formulato da Beccaria , dove 121 scompare l’uguaglianza ricercata fino ad allora per approdare a una nozione moderna che avalla dal punto di vista teorico l’asimmetria fra sanzione e reato, rompendo con una tradizione plurisecolare. Nella concezione beccariana la proporzionalità è soltanto uno degli elementi regolativi. Nonostante ciò, la proporzionalità della pena al reato è stata as- sunta come paradigma autonomo, chiamato a sostituire quello precedente e primitivo, che promuoveva l’omogeneità. Secondo questo moderno criterio la qualità e la quantità delle pene dovranno corrispondere non alla natura delle cose ma a criteri convenzionali. In questo modo si ricava una sfera di autonomia del contenuto della pena rispetto a quello del reato.
Alla domanda “come punire?” la modernità risponde: con una pena proporzionata al reato. Tuttavia, ben presto viene messa in rilievo l’indeterminatezza di questo parametro:
L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., p. 385.
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Beccaria elenca il principio di proporzionalità nel suo noto teorema generale: “perché ogni pena non sia
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una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, neces- saria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi”. C. Becca-
Bentham afferma che “adeguato o proporzionale sono parole più oscure che non istruttive”, mentre secondo Carrara la “concordia universale” sulla proporzionalità della pena al delitto è una formula nebulosa . Infatti, il parametro di valutazione non è univoco: la gravità del 122 danno, l’entità della colpa, la pericolosità dell’agente. Storicamente si sono verificate delle oscillazioni per spostare la bilancia della proporzione della pena al reato: con Beccaria, verso la prevalenza del danno verificatosi , con Carrara, verso la combinazione fra 123 l’elemento oggettivo del danno e quello soggettivo della colpevolezza , con la scuola 124 positiva, verso la preminenza dell’astratto concetto di pericolosità . 125
Dal progetto riformista dell’Illuminismo viene fuori un sistema di pene disposte in una scala a seconda principalmente della gravità del danno cagionato dalla condotta delittuosa e tenendo conto, rispetto ad ogni singola pena, di non eccedere nel suo contenuto il grado di afflittività indispensabile per svolgere lo scopo dissuasivo. L’idea della scala delle pene implica la possibilità di far ricorso a una varietà di pene di diversa natura e di collegarle alle diverse tipologie di reato. La teoria della pena non ha davvero accettato questo compi- to e ha preso un’altra strada: indirizzando gli sforzi teorici - più che nella relazione che do- vrebbe intercorre fra una determinata pena per prevenire un determinato reato - alla pro- porzionalità, nel sistema delle sanzioni, fra le diverse pene per reati diversi: la domanda dunque non era come punire il furto per prevenire il furto, ma come punire il furto in ma- niera meno grave dell’omicidio ma più grave di altre condotte. La teoria della pena si rive- la inadempiente nel dare delle risposte sulla natura e la misura delle sanzioni necessarie a formare la sopraddetta scala: disapplicando la direttrice beccariana di badare a non commi- nare le sanzioni dei reati più gravi a quelli meno gravi , essa si è instradata verso la di126 - stinzione delle risposte sanzionatorie sulla base della diversa intensità di un unica pena: la pena detentiva.
F. Carrara, Programma, cit. 𝕊 696, p. 471.
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“Le precedenti riflessioni mi danno il diritto di asserire che l’unica e vera misura dei delitti è il danno fatto
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alla nazione”. C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., cap. VII, p.22.
“Se l’intelletto, o la volontà, od ambedue, mancarono del tutto all’agente, non vi è intenzione, e non vi è
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per conseguenza imputabilità”. F. Carrara, Programma, cit. 𝕊 65, p. 92. Cfr. R. Garofalo, Criminologia, Bocca, Torino 1885.
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“Se la geometria fosse adattabile alle infinite ed oscure combinazioni delle azioni umane, vi dovrebbe
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essere una scala corrispondente di pene, che discendesse dalla più forte alla più debole: ma basterà al saggio legislatore di segnarne i punti principali, senza turbare l’ordine, non decretando ai delitti del primo grado le pene dell’ultimo”. C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., cap. VI, p. 2.
Anche se a livello normativo il principio di proporzionalità è certamente configurato considerando il nesso fra una determinata pena e un determinato reato , tale nesso si è 127 perso di vista comportando, in tempi recenti, deroghe importanti.
La prima è rappresentata dall'aumento di pena che può essere stabilito per i recidivi, aumento che [...] non dipende da una maggiore gravità del reato, ma dalla particolare capacità a delinquere dimostrata dal reo. La seconda deriva dall’art. 133 del codice, il quale fa obbligo al giudice di tenere conto nell'esercizio del suo potere discrezionale per l'applicazione della pena, non solo della gravità del reato, ma anche della criminalità virtuale del soggetto . 128
La teoria moderna della pena, quindi, ha assunto la valutazione del contenuto, cioè, del- l’afflittività delle pene in rapporto all’afflittività di altre pene. In questo stadio la pena giu- sta è quella che rispecchia la proporzione in relazione a un sistema sanzionatorio: “la giu- stizia, che mai è assoluta, di più di questo non può significare: che in conformità dello svi- luppo giuridico dei singoli popoli in un dato momento, per il reato che in quel momento è sentito come più grave deve essere prevista una pena più grave che per un reato sentito come meno grave”.
Una paradigmatica raffigurazione della giustizia proporzionale in questo senso è rinve- nibile in Von Liszt:
Giustizia significa ben poco. Essa infatti dipende totalmente dal sistema delle pene. Se la pena equa sia l’esecuzione capitale, oppure l’ergastolo, oppure la reclusione per la durata di dieci anni, ci è possibile dire soltanto qualora ci sia noto se il sistema penale abbia previsto la pena di morte e quella di reclusione a vita, e se abbia stabilito a quel tempo il massimo della pena detentiva in dieci, quindici, venti, venticinque o trent’anni di reclusione. Datemi il sistema penale ed io vi darò la Giustizia. Ma donde il sistema delle pene si debba trarre, questa Giustizia non è in grado di dirsi .129
La principale differenza rispetto alle pene prospettate sotto l’influsso del paradigma di uguaglianza fra pena e reato è che le pene moderne sono predeterminabili legalmente e quantificabili. La negazione dell’identità qualitativa fra reato e pena “consente l’affermarsi
La Carta di Nizza, per esempio, stabilisce nell’articolo 49 terzo comma che “Le pene inflitte non devono
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essere sproporzionate rispetto al reato”.
F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, Milano 2003, XVI ed., p. 704.
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V. Liszt, La teoria dello scopo nel diritto penale (1883), a cura di Alessandro Calvi, Giuffrè, Milano 1962,
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della pena moderna come pena astratta ed uguale, come tale quantificabile e misurabile e perciò pre-determinabile legalmente e determinabile giudizialmente sia nella natura che nella misura” . Nonostante l’abbandono dell’omogeneità materiale fra reato e sanzione 130 fosse giustificato proprio per l’impossibilità di prestabilire legalmente il contenuto delle pene, la teoria moderna della pena finisce per spostare il baricentro della riflessione teorica sugli aspetti che riguardano la forma, appunto, graduabile delle pene, tralasciando l’analisi della loro sostanza. La pena moderna si contraddistingue, nella sua forma, in quanto astrat- tamente uguale e graduabile, e nel suo contenuto perché identifica il bene giuridico di cui priva il condannato. Indicare il bene giuridico limitato si è trasformato in una tesi apoditti- ca per cui parlare di privazione della libertà, per esempio, dovrebbe di per sé dimostrare il contenuto di questo tipo di pena. Ma non è affatto così.
Accettata l’asimmetria fra reato e sanzione il concetto di bene giuridico entra a far parte delle nozioni elementari della teoria della pena. Su quali siano i beni che il diritto penale deve tutelare e limitare si sono susseguite risposte diverse nel corso della storia. Sul primo aspetto “se il giusnaturalismo laico del XVII secolo aveva rielaborato il concetto di bene giuridico, lasciando cadere il riferimento agli interessi religiosi tradizionalmente oggetto di protezione penale e circoscrivendo la zona dell’intervento punitivo ai comportamenti anomici rispetto alla sicurezza, all’ordine e agli interessi del sovrano, l’illuminismo penale opera un passaggio non meno radicale funzionalizzando l’ordinamento giuridico delle proibizioni e delle punizioni alla tutela dei diritti individuali” . Ma la questione punitiva 131
è segnata da un paradosso: “la pena è costrizione. Essa si rivolge contro la volontà del reo, ledendo o distruggendo quei beni giudici che allo stesso fanno capo” . 132 La definizione largamente condivisa nella modernità è che la pena consiste nella privazione o diminuzione di un bene individuale . Nella definizione manualistica del contenuto della sanzione si 133 dichiara che “negli stati moderni la pena di regola incide soltanto su tre beni: sulla vita (pena capitale), sulla libertà (pene restrittive della libertà personale) e sul patrimonio (pene pecuniarie)” . In verità, la sanzione moderna incide su tanti altri diritti. E nella prassi del134 -
L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., p. 386.
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Cfr. D. Ippolito, Mario Pagano. Il pensiero giustopolitico di un illuminista, Giappichelli, Torino 2008, p.
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173.
F. Von Liszt, La teoria dello scopo nel diritto penale, cit., p. 52.
132
F. Antolisei, Manuale di diritto penale, cit., p. 676.
133
Cfr. H.V. Henting, La pena: origine, scopo, psicologia, Bocca, Milano 1942, pp. 17 ss.
la pena detentiva, in sostanza, su tutti i diritti. E questo accade senza un supporto legale, proprio perché la riflessione sui limiti e sul contenuto delle pene non è prioritaria.
Il paradigma promosso dalla cultura illuministica, invece, metteva al centro della prog- ettazione di un nuovo sistema penale il contenuto delle pene. Il parametro di giustizia delle pene non era tanto quello della proporzionalità quanto quella della necessità della pena, di cui la proporzione al reato era solo uno dei suoi elementi. Nello sviluppo di un paradigma di maggiore capacita regolativa spicca l’opera di Beccaria.
Seguendo i passi di Montesquieu, Beccaria delinea un progetto di giustizia penale im- perniato sul concetto di assoluta necessità. Si tratta di un paradigma originale, pragmatico e conforme al principio posto dai Lumi alla base del sistema punitivo: il principio di legalità formale e sostanziale. Beccaria si domanda quali pene e qual metodo di infliggerle deve esser prescelto. Non solo la natura della pena deve essere prestabilita legalmente in maniera tassativa, ma anche il metodo, cioè, il modo in cui si passerà dalla pena minaccia- ta alla pena reale. Secondo la riflessione beccariana, “perché una pena sia giusta non deve avere che quei soli gradi d’intensione che bastano a rimuovere gli uomini dai delitti” . E, 135 serbata la proporzione, bisogna prediligere le pene che fanno “una impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, e la meno tormentosa sul corpo del reo” . Questo 136 nuovo paradigma richiede che il contenuto di ogni singola pena sia prestabilito senza ec- cedere la soglia necessaria per svolgere lo scopo dissuasivo.
Sull’adeguamento della pena al reato Beccaria sostiene che l’ideale è che sia progettata una scala delle pene nella quale ciascuna abbia quel giusto grado d’intensità per prevenire un determinato reato, e che basta che il saggio legislatore non turbi l’ordine decretando ai delitti del primo grado le pene dell’ultimo . 137
Alla domanda “come punire?” l’Illuminismo penale risponde: infliggendo il male min- imo necessario. È allora che nel dibattito sulla questione punitiva si inizia a discutere non
sulle pene ma delle pene, di ogni pena per ogni reato. Di come fissare il loro contenuto af-
flittivo e come limitarlo. Di come riportare la comminazione legale, l’irrogazione giudiziaria e anche l’esecuzione delle pene al principio di legalità.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., cap. XXVIII p. 64.
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Ivi,cap. XII, p. 31.
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Ibid.