Capitolo II. La questione punitiva
2.1. Finalità e limiti della pena
2.1.2. La prevenzione della violenza come scopo del sistema penale
“Volete prevenire i delitti?” Era una delle domande formulate ben due volte da Becca45 - ria nel suo aureo libretto. La risposta, allora come adesso, non può che essere affermativa. E così lo scopo preventivo dei reati è quello con maggior consenso assegnato al sistema punitivo, in modo primario o, addirittura, come nella dottrina di Antolisei, esclusivo:
Ibid.
41
Cfr. E. Dolcini, La pena in Italia, oggi: tra diritto scritto e prassi applicativa, in Studi in onore di G. Mar
42 -
inucci, a cura di E. Dolcini e C. Paliero, Giuffrè, Milano 2006, vol. II, pp. 1073 ss.
“Ogni ente o corpo sociale, ossia ogni istituzione, intesa questa parola nel senso tecnico per cui essa è
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sinonimo di ente o corpo sociale, ha una struttura, un assetto, uno status, un ordinamento, più o meno stabile e permanente, che riduce ad unità elementi che lo compongono e gli conferiscono una propria individualità e una propria vita. La parte fondamentale ed essenziale di tale struttura, quella su cui poggiano tutte le altre parti, le quale quindi, la presuppongono, nonché quella che ne rappresenta la prima armatura ed i muri maestri, dicesi ‘costituzione’”. S. Romano, Principi di diritto costituzionale generale, Giuffrè, Milano 1945, p. 19.
L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., pp. 238-239.
44
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., cap. XLII, p. 98.
se la pena è ciò che distingue e caratterizza le norme penali, quello che veramente sta al centro del nostro ramo del diritto è il reato. Scopo del diritto penale, infatti, è di impedire la commissione di reati: in altri termini, di combattere quel triste fenomeno che è la delinquenza o criminalità. Esclusivamente a questo fine sono dirette le norme penali46.
La risposta di Beccaria, però, pone in prima linea la politica sociale come mezzo più efficace per raggiungere questo scopo: l’istruzione e la promozione del bene individuale come politica pubblica. Questa caratterizzazione del sistema penale implica il riconosci- mento che sul campo della prevenzione dei reati, il sistema punitivo avrebbe un ruolo se- condario rispetto ad altre politiche pubbliche, meglio qualificate per incidere sui fattori che potrebbero dar luogo all’illegalità. Il diritto penale di matrice illuminista si contraddistin- gue in quanto sistema sussidiario che rispetto allo scopo di prevenzione dei reati compie una finzione ausiliare.
Il non protagonismo del sistema punitivo nell’impresa di prevenire i reati è un dato pa- lese, che, per forza di cose, è generalmente riconosciuto. Perfino da coloro che ravvisano nella sola prevenzione dei reati lo scopo del diritto penale. Per Antolisei, in nome della fi- nalità preventiva dei reati, il castigo è considerato “un freno di cui non è assolutamente possibile fare a meno nella vita in comune” . Ma riconosce che il sistema dei delitti e delle 47 pene è chiamato a confluire nella prevenzione dei reati, insieme ad altri mezzi, ben più ef- ficaci:
Con questo non si vuol dire che la pena sia l’unico mezzo che può trattenere gli uomini dal commettere i delitti, perché a tale risultato indubbiamente contribuiscono anche parecchi altri fatto- ri: i sentimenti morali e sociali, il senso del dovere, dell’onore e della dignità personale, la virtù dell’esempio, l’influenza dell’opinione pubblica, le credenze religiose, ecc. . 48
La pena, dunque, è uno dei mezzi di prevenzione dei reati. Ma la tutela dei beni giuridi- ci è esercitata in via primaria dalla politica sociale, visto che “una politica penale di tutela
F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte generale, cit., p. 4.
46
Ivi, p. 678.
47
Ibid.
dei beni è giustificata e credibile solo se sussidiaria a una politica non penale di tutela dei medesimi beni” . 49
Affinché la finalità preventiva possa avere un ruolo limitativo del diritto penale occorre, inoltre, tenere conto del fatto che l’esercizio della libertà e della sfera di autonomia del cit- tadino si pone in linea conflittuale con l’eccessiva persecuzione della finalità di prevenzio- ne dei reati. Nel rispetto della libertà dell’individuo risultano sconvenienti le sanzioni ex- tra, ante o ultra delictum, quali provvedimenti di ordine pubblico e misure cautelari di po- lizia . L’intervento del potere penale non deve, per via dello scopo preventivo dei reati, 50 invadere la sfera di autonomia privata. Sulla scia degli insegnamenti di Carrara, sono in- criminati gli atti esecutivi, non quelli classificabili come atti preparatori che ancora rientra- no nella sfera delle condotte lecite. Il diritto penale, per via di una ragionevole convenzione protesa a tutelare la libertà di ciascuno come valore cardine dell’ordinamento giuridico, è destinato ad arrivare tardi.
Lo scopo di prevenzione dei reati, quindi, è sussidiario e trova limiti nel legittimo eser- cizio della libertà del cittadino che preclude gli ingiustificati meccanismi di anticipazione della tutela penale. Dato che “non possono impedirsene dalle leggi umane i turbamenti ed il disordine” , come scrisse Beccaria, e che il reato è qualcosa che “la società non può di51 - struggere” , per dirla con Filangieri, l’obiettivo ragionevole non può essere impedire ma 52
prevenire i reati, e lo strumento migliore per la prevenzione generale dei reati è ravvisato nella legge in quanto espressione generale ed astratta delle norme di convivenza civile de- stinate a tutti i consociati.
Nonostante il verbo impedire sia sovente collegato alla missione assegnata al diritto pe- nale, quest’ultimo non è in grado di impedire i reati, e, da solo, non è in grado di prevenire i reati. Un’efficace politica di prevenzione dei reati richiede la sinergia di una rinforzata politica pubblica in grado di intervenire sugli “antisociali luoghi di nascita del delitto” , e 53 di un efficace sistema penale in grado di svolgere indagini per smantellare la criminalità pubblica e privata, armata o dei colletti bianchi. E tuttavia, anche mettendo in conto un
L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., p. 476.
49
Ivi, p. 337.
50
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., cap. XLI, p. 96.
51
“La società, privando l’uomo di una parte della sua libertà, non può distruggere in lui il fonte di questa
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natia passione”. G. Filangieri, La scienza della legislazione, cit., Parte seconda, cap. XVI, p. 189. K. Marx, F. Engels, Lenin, Sulla scienza, a cura di Giuseppe Barletta, Dedalo libri, Bari 1977 p. 149.
elevato livello di civiltà e di perfezionamento dei mezzi preventivi, sussisterebbe comun- que la possibilità di manifestazioni di condotte delittuose. Prevenire i reati, dunque, è uno scopo che inevitabilmente trova difficoltà oggettive nella sua persecuzione, ma certamente questo non può essere un alibi per la mancata efficienza delle politiche preventive.
Grazie al contributo di Ferrajoli la finalità preventiva è stata formulata anche in relazio- ne alla tutela dei condannati. Secondo Ferrajoli il tradizionale scopo di prevenzione dei reati deve essere integrato con un secondo scopo riguardante la prevenzione delle punizioni arbitrarie ed eccessive. Il potere punitivo non è il coautore della finalità preventiva delle ingiuste punizioni ma il legittimo titolare di essa. Non svolge un ruolo sussidiario, ma è chiamato a perseguirlo in prima linea. Mentre gli interventi per prevenire i reati possono entrare in conflitto con l’esercizio della libertà dei cittadini, prevenire le ingiuste punizioni è del tutto equivalente a tutelare la libertà, per cui questo secondo scopo sarebbe persegui- bile con molta più fermezza.
Dei due scopi il secondo, di solito trascurato, è però quello più caratterizzante e che merita di essere maggiormente evidenziato. In primo luogo perché, mentre è dubbia l'idoneità del diritto pe- nale a soddisfare efficacemente il primo [...] invece assai più sicura la sua idoneità a soddisfare il secondo [...]. In secondo luogo perché, mentre la prevenzione dei delitti e le esigenze di sicurezza e difesa sociale sono sempre state in cima ai pensieri dei legislatori e delle altre autorità pubbliche, non altrettanto può dirsi della prevenzione delle pene arbitrarie e delle garanzie dell’accusato. In terzo luogo, e soprattutto, perché solo il secondo scopo e non anche il primo è insieme necessario e sufficiente a fondare un modello di diritto penale minimo e garantista . 54
Questa seconda finalità preventiva dipende meno da circostanze oggettive che la condi- zionano e più dalla capacità del potere punitivo di autoregolarsi: dalla tassatività e dall’os- servanza delle norme limitative del potere punitivo. La prevenzione dei reati ineluttabil- mente si rivela impotente di fronte a una serie di fattori che appartengono alla sfera privata che implicano che i reati non si possano impedire. La prevenzione delle ingiuste punizioni è una questione pubblica che si può e si deve impedire nella misura del possibile.
L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., pp. 328-329.
2.1.3. La pena come emenda: un’espansione del potere punitivo
Qualsiasi cosa sia ritenuta essenziale per custodire l’ordine sociale e la sicurezza è legit- timo, “whether it be the redemption of the offender, his incapacitation for evil or his ex- termination” . La dolcezza di cui parlava Beccaria e la mitezza di cui parlava Mon55 - tesquieu perdono ogni spazio se il punto di vista del destinatario della sanzione penale è semplicemente escluso dal calcolo punitivo; se il condannato diventa il mero oggetto della sanzione penale e non il soggetto di essa; se la pena diventa prevalentemente qualcosa che si fa sul condannato, sul suo corpo, sulla sua mente, sulla sua anima.
Nel trinomio redenzione, neutralizzazione e sterminio, le ultime due finalità risultano del tutto incompatibili con un sistema punitivo che ponga al centro la tutela dei diritti fon- damentali e tenga conto che nemmeno il delitto più grave fa perdere la dignità di persona e la titolarità di diritti. La prima, invece, è stata difesa come nobile scopo. Ma è stata anche oggetto di critiche in quanto residuo di un diritto penale di autore e non di atto. Luigi Fer- rajoli afferma che
le dottrine correzionalistiche che propugnano l’emenda del condannato attraverso la poena med- icinalis, la sua rieducazione o addirittura la sua neutralizzazione o eliminazione guardano non tanto ai reati quanto ai rei, non ai fatti ma ai loro autori, differenziati sulla base delle loro caratteristiche personali prima che del loro operato delittuoso. E coltivano un programma comune che variamente si accorda con le loro premesse eticistiche, o deterministiche o pragmatistiche: l’uso del diritto pe- nale al fine non solo di prevenire i delitti, ma anche di trasformare le personalità devianti secondo progetti autoritari di omologazione o, alternativamente, di neutralizzarle mediante tecniche di am- putazione e di bonifica sociale . 56
Al fascino dello scopo dell’emenda, che trae origini nella concezione della poena medi- cinalis, hanno ceduto, anche se non in modo esclusivo Hobbes, Grozio, Pufendorf, Thoma- sius, Bentham ”. Effettivamente Bentham elencava fra le “qualità desiderabili delle pene” 57
Cfr. F.H. Wines, The new criminology, Press of the James Prester Kempster Printing, co., New York, 1904
55
pp. 13-14.
L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., p. 252.
56
Ivi, p. 253.
la tendenza all’emenda morale, specificando che si tratta di “un cambiamento nel carattere e nella moralità” per cui “se il delinquente è trattenuto solo dal timore non è emendato” . 58
In Bentham si trovano tracce di una differenziazione della tipologia, del contenuto e del- lo scopo della pena, connesse sia alla condotta delittuosa messa in atto che all’atteggiamen- to tenuto del soggetto agente: “se il suo delitto è tale da far insorgere una grande allarme e da manifestare un’attitudine molto dannosa, bisogna toglierli la possibilità di reiterarlo. Ma se il delitto meno pericoloso, giustifica una pena temporanea e che restituisca il colpevole alla società, bisogna che la pena abbia le qualità per convertirlo o intimorirlo” . 59
“Contrariamente alle teoria contrattualistiche e giusnaturalistiche dell’età dell’Illumin- ismo, - afferma Ferrajoli - che esprimevano l’istanza liberale e rivoluzionaria della tutela dell’individuo contro il dispotismo del vecchio Stato assoluto, queste dottrine riflettono le vocazioni autoritarie del nuovo e ormai consolidato stato liberale e quelle totalitarie dei regimi che usciranno dalla sua crisi” . L’emenda come finalità della sanzione ha radici che 60 affondano nell’antichità; tuttavia “dottrine e legislazioni penali di tipo propriamente cor- rezionale si sviluppano invece solo nella seconda metà dell’Ottocento, parallelamente al diffondersi di concezioni organicistiche del corpo sociale, sano o malato, sopra il quale sono chiamati ad esercitarsi l’occhio clinico e le sperimentazioni terapeutiche del potere. È allora che il progetto illuministico e puramente umanitario del punire meno si converte in quello, disciplinare e tecnologico, del punire meglio” . 61
La legislazione di uno Stato che assuma la sicurezza e la tutela di diritti come una ques- tione di politica pubblica dovrà ineluttabilmente prevedere l’elenco dei reati e delle rispet- tive sanzioni. L’obiettivo ragionevole per quanto riguarda la punzone è punire meno, ed questo era il fulcro delle più radicali istanze di riforma proposte dall’Illuminismo penale: limitare l’autorità punitiva vincolandola al rispetto di principi fondamentali come la dignità del condannato. Riportare il sistema dei delitti e delle pene alla stretta legalità affinché punisca la legge, non l’uomo. Ridurre gli spazi colonizzati arbitrariamente dal potere puni- tivo, dichiarando che la vita è territorio escluso dalla sua legittima giurisdizione e at-
J. Bentham, Teoria delle pene e delle ricompense, cit., libro I, cap. VI, p. 38.
58
L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., p. 252.
59
Ibid.
60
Ibid.
tribuendo a chi giustifica l’intervento del diritto penale l’onere della prova della necessità di ogni mezzo punitivo.
Ai lumi di questo progetto riformista “la sanzione penale è quella parte della legge colla quale si offre al cittadino la scelta o dell’adempimento di un sociale dovere, o della perdita di un sociale diritto” , un ostacolo politico, un male che riesca ad essere dissuasivo ma al 62 contempo deve essere ridotto al minimo possibile. Non una medicina contro la malvagità. Non un antidoto per far scomparire il delitto come fenomeno in quanto questo non si può distruggere.
Il valore dell’interiorità della morale è un tratto distintivo della modernità che rappre- senta un limite all’intervento dello Stato. Secondo Ferrajoli l’immunità riconosciuta a questa sfera interiore ha contribuito alla nascita della figura del cittadino. In effetti, Mon- tesquieu scrisse che “tra le leggi e i costumi vi è questa differenza: le leggi regolano piut- tosto le azioni del cittadino, e i costumi regolano piuttosto le azioni dell’uomo. Tra i cos- tumi e le usanze vi è questa differenza: i primi riguardano piuttosto la condotta interiore, mentre le seconde quella esteriore” . La legge, quindi, regola le azioni del cittadino, non 63 la sua condotta interiore. Per Ferrajoli questa garanzia, per ogni cittadino, equivale
alla tutela della sua libertà interiore quale presupposto non solo della sua vita morale ma anche nella sua libertà esteriore di compiere tutte le azioni non vietate. Riguardato in positivo esso si traduce nel rispetto del- la persona umana in quanto tale e nella tutela della sua identità pur deviante, messa al riparo da pratiche costrittive, o inquisitorie o correttive dirette a violarla o peggio a trasformarla; ed equivale quindi alla legit- timità del dissenso ed anche dell’ostilità verso lo Stato, alla tolleranza per i diversi di cui è parimenti ri- conosciuta la dignità personale, e perciò all’uguaglianza dei cittadini, differenziabili solo per le azioni e non anche per le idee, o per le le opinioni o per le loro specifiche diversità personali . 64
Questa immunità delle idee di ciascuno, della sua sfera personale che riguarda chi siamo, va rispettata e valorizzata in una società pluralista che non ambisce all’o- mologazione dei suoi membri. E allora “l’interiorità di uomo - il suo carattere, la sua moralità, i suoi precedenti penali, le sue inclinazioni psico-fisiche - non deve interessare il diritto penale se non per indurne il grado di colpevolezza delle sue azioni criminose. Si
G. Filangieri, La scienza della legislazione, cit., libro III, cap. XXVI, p. 190.
62
Montesquieu, Lo spirito delle leggi, cit., libro XIX, cap. XVI, p. 474.
63
Cfr. L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., pp. 251-261.
capisce che non trovano spazio, in un sistema garantista così configurato, né la categoria della pericolosità né tutte le altre tipologie soggettive o d’autore elaborate dalla criminolo- gia antropologica” . 65
Nonostante la pluralità che caratterizza le società contemporanee, l’apologia della ried- ucazione come finalità principale, o esclusiva della pena, comporta alcune contraddizioni, ben elucidate da Massimo Pavarini, che ha distinto i versanti della rieducazione alla moral- ità, alla legalità e all’autodeterminazione, trovando alla radice di tutte e tre lo stesso vizio di pretendere, attraverso la pena, l’imposizione di una determinata morale.
Il primo aspetto ch’egli analizza è quello della rieducazione alla moralità, rilevando che
se la società si rappresenta come una struttura relativamente omogenea, stabile, ben integrata e il cui funzionamento si fonda sul consenso della maggioranza intorno ad alcuni valori generali, ne discende che la legge penale riflette la volontà collettiva, nel senso che i membri della stessa con- cordano sulla definizione di ciò che è bene e di ciò che è male. La legge penale finisce per avere quindi un valore in sé; chi viola la legge penale rappresenta pertanto una minoranza che proprio in quanto tale non può che essere definita come «diversa» [...] Prevenzione speciale - all’interno di un’ipotesi di questo tipo - altro non è che operare positivamente, attraverso la pena, su questi fat- tori, affinché in qualche modo rimossi o ridotta la loro forza determinante, il condannato possa dirsi ri-educato, nel senso preciso di «normalizzato» al rispetto dei valori socialmente dominanti, e quindi non più potenziale violatore della norma penale . 66
Per Pavirini le contraddizioni sono palesi: “non c'è chi non veda l’arretratezza di questa interpretazione, sempre e comunque contestabile in quanto non è in grado di rappresentare una società moderna, pluralista e conflittuale. Ma volendo anche accettare luristicamente questa «visione del mondo» è sempre possibile contestare razionalmente il «bisogno di rieducazione» di una siffatta organizzazione sociale” . Questo bisogno, questa smania im67 - plica che la società non si dà pace rispetto a comportamenti che si ritengono più o meno pericolosi, che la tormentano, la disturbano, e non vuole perdere occasione per rasserenarsi agendo sui diversi per far loro introiettare un certo sistema di valori.
Ivi, p. 505.
65
M. Pavarini, La pena «utile», cit. p. 17.
66
Ivi, p. 18.
La situazione non sarebbe diversa quando non si pretenda la condivisione di una scala di valori ma la rieducazione alla legalità:
ne discende che anche in questa interpretazione la rieducazione finisce per realizzarsi in un’im- postazione autoritaria di «una» morale. Così, ciò che si voleva cacciare dalla porta finisce per rien- trare dalla finestra: la risocializzazione come adattamento tendenziale ad un’aspettativa di condotta conforme alle regole del gioco finisce per non essere altro che un’aspettativa di condotta secondo i valori e gli interessi del «cittadino-medio», che, per giunta, avendo rinunciato a una incidenza sul- l’etica dell’individuo si ridurrebbe a una semplice induzione alla simulazione . 68
Vorrebbe essere più rispettoso del pluralismo, invece, il terzo indirizzo a cui fa riferi- mento Pavarini, richiamando i postulati di Eser e Von Hentig: “rieducare o educare non più verso un sistema di valori, ma verso un metodo attraverso cui il condannato possa con- seguire la propria autodeterminazione nei confronti dei valori. In questo senso il condanna- to verrebbe educato «alla libertà» delle scelte tra varie alternative offertegli dal contesto sociale eterogeneo” . Ma il sistema punitivo, in particolare riguardo alla pena detentiva in 69 carcere, è stato denunciato come infantilizzante , dato che gli appellativi e il linguaggio 70 saturo di diminutivi, a cui sono assuefatti i condannati, rimandano a una logica infantile, gerarchizzata e spersonalizzante, agli antipodi del trattamento rispettoso dell’autonomia personale del condannato che occorrerebbe per stimolare la sua autodeterminazione.
Mario Trapani in un saggio in cui si occupa delle dinamiche del diritto penale e del sen- so della pena, critica il mito della rieducazione e avverte i pericolosi esiti negativi che si possono verificare qualora il sistema punitivo si trasformasse in un “campo di riedu- cazione” nel quale «si esercita non solo il dominio sul “corpo” ma anche sulla “mente” del condannato» . Egli riafferma la tesi principale con la quale la cultura garantista respinge la 71 finalità rieducativa quando invece di una offerta libera vuole essere imposta al condannato:
pero es además notorio y bastante aceptado que un Estado realmente “democrático” y entonces, por