• Non ci sono risultati.

Il progetto di minimizzazione del diritto penale

Capitolo III. Teoria garantista della pena

3.3. Garantismo ed esecuzione penale

3.3.1. Il progetto di minimizzazione del diritto penale

Anche se l’assetto delle garanzie penali del modello garantista è rappresentato come un insieme di prescrizioni sulle condizioni di legittimità della pena , le indicazioni di Ferra108 - joli sulla sanzione penale riguardano aspetti meta-legislativi, meta-giurisdizionali e infine direttive sullo svolgimento della fase esecutiva delle pene. Il suo progetto riformatore è definito come “ un nuovo programma di minimizzazione delle pene” . 109

Questo programma si basa sulle implicazioni di due principi complementari: quello di necessità e quello di dignità della persona. Essi sono valorizzati fondamentalmente per due motivi fondamentalmente: il primo è che comportano criteri di legittimità della natura e della misura delle pene. Il secondo è che “valgono a vincolare la qualità della pena ai tre connotati moderni [...]: quello dell'uguaglianza, quello della legalità e quello del carattere solo privativo della pena”. Le conseguenze dell’applicazione congiunta di questi principi per valutare le sanzioni storicamente esistite è che “non solo la pena di morte e le pene corporali e infamanti, ma anche quella specie di morte civile che è l’ergastolo contraddice questi elementari criteri di legittimazione esterna della qualità della pena. Ma lo stesso si

Ivi, p. 462.

108

Ivi, p. 393.

può dire delle pene detentive eccessivamente lunghe, che parimenti [...], andrebbero sop- presse con la fissazione di un limite massimo più basso” . 110

Ci sono “due tipi di pena che sembrano per loro natura contrari al principio di pro- porzionalità e di uguaglianza delle pene: l’ergastolo e le pene pecuniarie”: L’ergastolo in quanto in sostanza la sua durata è più lunga per gli ergastolani più giovani, e le pene pecu- niarie “perché sono diversamente afflittive a seconda della ricchezza del reo”. Queste pene, poi, afferma Ferrajoli, sono prive di giustificazione esterna: “l’una perché disumana e non graduabile equitativamente dal giudice. L’altra perché comunque sproporzionata per difetto a qualunque proibizione penale informata al principio di economia o di necessità” . 111

Sulla determinazione giudiziale della pena Ferrajoli puntualizza che quelle “specificità - che rendono ciascun fatto diverso da un altro pur se denotato dalla medesima figura di qualificazione penale - formano nel loro insieme la connotazione del caso sottoposto a giudizio, la cui individuazione e comprensione è compito del giudice non meno della veri- ficazione o prova della denotazione del fatto come reato”. In ambito penale, in virtù del principio di uguaglianza, le particolarità di ogni reato giustificano “la graduazione equitati- va della misura della pena per ogni singolo fatto connotato, entro i limiti massimi e minimi (o comunque al di sotto dei limiti massimi) stabilita dalla legge per l’intera classe dei fatti da essa denotata” . Il potere giudiziario di connotazione è ritenuto compatibile col prin112 -

cipio di legalità nella misura in cui “consista unicamente nella commisurazione della quan-

tità, e non anche nella determinazione della qualità delle pene”.

Rispetto all’eventuale post-determinazione della misura della pena nella fase dell’ese- cuzione si mette in evidenza un “divario programmatico” fra la pena irrogata e la pena ese- guita, che nasconde “una doppiezza più o meno consapevole della politica penale, dovuta al perseguimento di due finalità inconfessate entrambe incompatibili con il modello garan- tista del diritto penale”. La prima consiste nella “funzione esemplare assegnata alla pena irrogata, e precisamente alla parte di essa che eccede la pena scontata”. Il perseguimento di tale finalità viene affidato alla condanna, “che viene quindi ad assumere un carattere meramente simbolico”. Osserva Ferrajoli che questo implica “una radicale alterazione del- lo schema general-preventivo concepito da Feuerbach: la prevenzione generale risulta svol-

Ivi, pp. 393-394. 110 Ivi, p. 400. 111 Ivi, p. 402. 112

ta infatti non più dalla minaccia legale, che è programmaticamente disattesa, ma dall’e- sempio offerto dalla condanna a una pena severa che non deve ma semplicemente può es- sere eseguita” . Mentre la seconda finalità è disciplinare ed è assegnata all’esecuzione 113

della pena, in specie della pena detentiva, all’interno di una concezione flessibile della du- rata di essa, che fa dipendere dalla condotta dei condannati eventuali benefici e sconti di pena: “il sinallagma permanente tra interiorità della persona e prospettiva di liberazione anticipata diviene così uno strumento di governo del carcere, grazie al controllo discipli- nare e all’assoggettamento morale dei detenuti che esso assicura alle autorità carcerarie”. La ri-determinazione della pena da parte di organi addetti all’esecuzione di essa in re- lazione alla condotta dei condannati è considerato un potere “immenso e incontrollato”, “arcano potere che agisce nell’ombra” , come lo raffigurò Carrara. 114

Il programma di minimizzazione del diritto penale esposto, richiede, invece “la deter- minazione della pena minima necessaria in sede legislativa e giurisdizionale”. Questo progetto che intende razionalizzare ed umanizzare il sistema punitivo contempla per alcuni versi l'abolizione e per altri la radicale riforma dei mezzi punitivi:

la soppressione dell'ergastolo, la riduzione in vista di un loro progressivo superamento delle al- tre pene detentive, la trasformazione in diritti di tutti i benefici del trattamento concessi oggi come premi (permessi, licenze, colloqui e simili) e, soprattutto, la previsione direttamente come pene ir- rogabili con la condanna delle attuali misure alternative: per esempio, l'affidamento in prova, o gli arresti domiciliari, ho la semilibertà, che si potrebbero irrogare come pene esclusive per i reati più lievi, e come pene aggiuntive, dopo un breve periodo di pena detentiva, per i reati più gravi . 115

Vorrei concentrarmi sui parametri su cui viene valutato il sistema penale esistente e aus- picato un suo rinnovamento.

Partendo dalla palese e profonda crisi del sistema delle pene che conta fra le sue cause “l’inflazione del diritto penale che sembra aver perso ogni confine con il diritto amminis- trativo” si ribadisce che tale sistema è inadeguato e che “né le pene detentive né le pene 116 pecuniarie sembrano più in grado, nelle attuali condizioni, di soddisfare le finalità che giustificano il diritto penale: le une perché troppo, le altre perché troppo poco afflittive e

Ivi, pp. 405-406.

113

F. Carrara, Programma, cit. 𝕊 627 - 𝕊 6 37, pp. 413 - 416.

114

L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., p. 408.

115

Ivi, p. 409.

sia le une che le altre perché inefficaci o peggio controproducenti” . Anche il giudizio 117 sulle pene interdittive è negativo dato che “la loro disciplina si va rivelando sempre più iniqua e irrazionale” come quella delle misure non penali di sicurezza, di prevenzione e di polizia. Le misure alternative alla detenzione, invece, sono valorizzate in quanto “rappre- sentano forse le principali innovazioni di questo secolo in tema di tecniche sanzionatorie”, solo che non hanno sostituito la pena del carcere ma si sono aggiunte ad essa.

Secondo il progetto ferrajoliano “uno dei compiti più importanti che s’impone all’odier- na riflessione filosofico-penale” è la “formulazione, sulla basi di un ripensamento radicale della natura della pena, di un nuovo sistema delle pene, alternative a quelle odierne: pene principali [...] idonee a soddisfare, siccome pene principali, il duplice scopo del diritto pe- nale entro una prospettiva di razionalizzazione e di minimizzazione del sistema sanzionato- rio” . 118

Per quanto riguarda la pena carceraria egli propugna la sua abolizione seguendo un ra- gionamento in realtà non è del tutto persuasivo per il modo in cui vengono caratterizzati i due scopi assegnati al diritto penale. Sostiene Ferrajoli che nonostante in passato abbia comportato un processo di mitigazione delle pene, il carcere non sembra più idoneo “a soddisfare nessuna delle due ragioni che giustificano la sanzione penale: non la preven- zione dei delitti, dato il carattere criminogeno delle carceri destinata di fatto, come è ormai unanimemente riconosciuto, a funzionare come scuola di delinquenza e di reclutamento della criminalità organizzata; “non la prevenzione delle vendette private, soddisfatta, nel- l’odierna società dei mass-media, più che dall’espiazione del carcere, dalla rapidità del processo e dalla pubblicità delle condanne” . 119

Il carattere criminogeno del carcere è un dato acquisito delle indagini socio-giuridiche. In questo senso si può sostenere che non è una misura efficace per prevenire i delitti, dato che aumenta la recidiva. Cioè, non è in grado di svolgere una funzione di prevenzione spe- ciale negativa. Il punto è che Ferrajoli non è un assertore di questa finalità. Il primo scopo giustificante del diritto penale, sulla scia di Feuerbach, riguarda la prevenzione generale negativa svolta tramite la minaccia delle pene, e dunque indirizzata a tutti i consociati. La prevenzione speciale negativa viene rappresentata in Diritto e ragione come dottrina del-

Ibid. 117 Ivi, p. 410. 118 Ibid. 119

l’incapacitazione che assegna alla pena “la funzione negativa di eliminare o comunque neutralizzare il reo” . Ma nella sua accezione generica essa riguarda la capacità di dis120 - suadere quello specifico condannato dalla commissione di altri reati. La caratteristica di queste dottrine, come in effetti lo stesso Ferrajoli aveva precisato, è che “riferiscono lo scopo preventivo alla persona del delinquente” . I penalisti Fiandaca e Musco spiegano 121 che “la funzione di prevenzione speciale tende ad impedire che chi si è già reso respons- abile di un reato torni a delinquere anche in futuro” , e lo fa attraverso tecniche diverse 122 tra cui la neutralizzazione del soggetto, alcune forme di interdizione giuridica, o altre di condizionamento della personalità del reo come l’emenda morale e risocializzazione.

Sulla finalità special-preventiva Ferrajoli si dimostra diffidente per diversi motivi: per- ché guarda “non tanto ai reati quanto ai rei, non ai fatti ma ai loro autori”, perché, di con- seguenza, diversifica lo scopo della pena “a seconda della personalità, correggibile o incor- reggibile, dei condannati” perché favorisce l’uso del diritto penale “al fine non solo di pre- venire i delitti, ma anche di trasformare le personalità devianti secondo progetti autoritari di omologazione o, alternativamente, di neutralizzarle mediante tecniche di amputazione e di bonifica sociale” . Ma in questa argomentazione della delegittimazione del carcere 123 finisce per svolgere le sue valutazioni a partire dall’efficacia special-preventiva di esso, cioè del modo in cui si rapporta con la recidiva. E la prevenzione della recidiva non appare fra gli scopi assegnati alla pena in Diritto e ragione. Anzi, il ruolo assegnato ad essa all’in- terno del sistema punitivo come motivo di aggravamento della pena è criticato severa- mente. La recidiva è annoverata fra le figure in contrasto con il modello garantista del dirit- to penale in quanto prodotto di un paradigma quasi-costitutivo, cioè fondato sulla valu- tazione di condizioni personali: “le figure più importanti nelle quali si esprime questo moderno paradigma quasi-costitutivo sono quelle della recidiva, del vagabondaggio, e del- la pericolosità” . 124

Uno degli aspetti che viene rilevato nelle ricerche socio-giuridiche riguardanti il carcere è che i condannati alla pena detentiva in carcere sono più propensi alla recidiva. Effettiva- mente questo è uno dei tanti validi argomenti per preferire al suo posto altre tipologie di

Ivi, p. 251.

120

Ivi, p. 240.

121

Cfr. G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, Roma 2015, VII ed., p 754.

122

L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., p. 252.

123

Ivi, p. 513.

pene e infine è un valido argomento a favore della sua abolizione, ma va detto che è un ar- gomento che riguarda la sua incapacità di svolgere una funzione di prevenzione speciale negativa.

È stato Mario Pagano a infirmare in modo limpido qualunque etichetta che intenda as- sociare irrimediabilmente il condannato al delitto commesso: “La pena interamente cancel- la ed estingue il delitto , ed il reo che l’ha sofferta ritorna innocente [...] E quindi per quel delitto, per cui siasi una volta sofferta la pena, molestar non si può il cittadino” . Ed è 125 questo il pensiero di Ferrajoli sul tema. Il fatto che delegittimi il carcere a partire dalla non prevenzione della recidiva è indicativo del fatto che per quanto la prevenzione generale negativa, operata mercé la minaccia legale, sia uno dei due scopi giustificanti del diritto penale, le indagini sociologiche sugli effetti delle pene, vanno valorizzati in quanto uniche indagini possibili. Dato che nessuna indagine potrà mai accreditare l’efficacia dello scopo general preventivo. Non sapremo mai quante persone non commettono un reato poiché ad esso è collegata una pena, ma possiamo invece, a partire dalle indagine a riguardo, smascherare gli effetti che effettivamente si verificano con l’applicazione delle pene, a pre- scindere dalle finalità legali ad esse associate. Ed è in questa cornice che si inserisce il ra- gionamento ferrajoliano, che mette i riflettori sulle funzioni a cui le carceri sono “destinate di fatto” . 126

Afferma Ferrajoli che il carcere non è idoneo neanche a soddisfare il secondo scopo garantista assegnato al diritto penale “non la prevenzione delle vendette private, soddisfat- ta, nell’odierna società dei mass-media, più che dall’espiazione del carcere, dalla rapidità del processo e dalla pubblicità delle condanne” . Il ragionamento retrostante a questo 127 secondo argomento richiamato per l’abolizione della pena carceraria è inconsueto rispetto al suo stile argomentativo. Ferrajoli, si sa, considera come secondo scopo giustificante del diritto penale la prevenzione delle ingiuste punizioni. Nella sua opera, spesso, come in questo caso, usa un’altra espressione per raffigurare questo scopo come se fossero del tutto equivalenti: la prevenzione delle vendette private. In verità la portata dello scopo rappre- sentato come prevenzione delle punizioni ingiuste o arbitrarie è più largo, dato che punizione non sta per sanzione penale, ma per reazione al delitto. La prevenzione delle in-

Cfr. D. Ippolito, Mario pagano. Il pensiero giustopolitico di un illuminista, cit.

125

L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., p. 410.

126

Ibid.

giuste punizioni è, quindi, relativa a contenere sia le reazioni formali che quelle informali al delitto. Si prevengono le punizione ingiuste prevenendo le razioni informali al delitto attraverso la formalizzazione di un sistema punitivo garantista ma efficace, per cui un cit- tadino che abbia subito un reato, invece di farsi giustizia da sé, può rivolgersi alle isti- tuzioni incaricate di esercitare il potere punitivo attraverso le indagini i processi e le pene. Si prevengono le punizioni ingiuste, prevenendo anche l’arbitrio proveniente dai titolari dell’esercizio del potere punitivo mediante l’adozione istituzionale del postulato della pena minima necessaria e la previsione delle dovute garanzie della sua osservanza. Invece, fare riferimento alla prevenzione della vendetta privata, oppure, più in generale, delle reazioni informali, ha una portata più ristretta in quanto non si riferisce alla limitazione delle risposte istituzionali di fronte al delitto, ma soltanto a quelle proveniente “dalla parte offesa o da forze più o meno organizzate con lei solidale” . 128

L’aspetto inconsueto dell’argomento ferrajoliano è a quale tipo di vendetta allude in questo caso nella sua argomentazione per delegittimare il carcere. Dato che la prevenzione della vendetta si ritiene soddisfatta “dalla rapidità del processo e dalla pubblicità delle con- danne” è evidente che si allude al carattere violento da una parte, dei tempi lunghi dei pro- cessi e, dall’altra, dell’opacità del carcere, che impedisce che si sappia ciò che al suo inter- no accade, che in effetti favorisce che al suo interno si consumino violenze e soprusi. Il riferimento ai mass-media indica che si fa riferimento anche alla stigmatizzazione sociale che subiscono gli indagati, portata avanti dalla spettacolarizzazione del processo. Ma ques- ta caratterizzazione della vendetta risulta lontana da quella che complessivamente emerge nella sua opera.

Le occorrenze del termine «vendetta» in Diritto e ragione indicano perlopiù le reazioni al delitto animate dalla massima “rendere male per male”. Ferrajoli puntualizza che il sec- ondo scopo giustificante del diritto penale riguarda “la prevenzione generale della vendetta privata, individuale o collettiva, quale si esprime nella vendetta del sangue, nella ragion fattasi, nel linciaggio, nella rappresaglia e simili”. Nella esposizione del secondo argomen- to per delegittimare il carcere, invece, la vendetta alla quale egli allude assume altre carat- teristiche, fino a considerare che possa essere prevenuta dalla velocità del processo e dalla pubblicità della condanna. Ancora una volta si tratta di una caratterizzazione ristretta dello

Ibid.

scopo assegnato al diritto penale, e distante dalla sua stabile caratterizzazione nel resto del- l’opera. D’altronde, la rapidità del processo non riguarda specificamente la non necessità del carcere e la pubblicità della condanna sembra un apposito correttivo rispetto al carcere.

In Principia iuris, invece, si stabilizza la caratterizzazione del secondo scopo come “prevenzione delle pene informali o eccessive, cioè delle ingiuste punizioni” , riferito 129 “alla tutela dei possibili rei contro gli abusi punitivi” senza enfatizzare la prevenzione della vendetta privata.

A prescindere dai connotati del citato brano, la proposta di abolizione del carcere è sostenuta da Ferrajoli già dagli anni Settanta argomentando motivi sostanziali. Il genere di pene detentive, invece, continua a far parte del dispositivo di pene del diritto penale mini- mo. Di esse si auspica l’abbassamento, in tempi brevi, del limite massimo a 10 anni, chiamato ad essere ridotto ulteriormente nei tempi medi. Rispetto ai limiti minimi delle 130 pene detentive, partendo dalla base che è sempre una pena “disonorevole” che procura multipli afflizioni, sostiene che “non si giustifica la stipulazione di un minimo legale: sarebbe opportuno, in altre parole, affidare al potere equitativo del giudice la scelta della pena di sotto del limite massimo stabilito dalla legge, senza vincolarlo a un limite minimo o vincolandolo un limite massimo assai basso” . In effetti, del progetto di minimiz131 - zazione del diritto penale fanno parte anche gli arresti del fine settimana, anche se da quest’affermazione si ricava che il giudice possa stabilire anche la pena detentiva di un giorno.

Questa tesi si spiega considerando principalmente la consapevolezza dell’autore della particolarità di ogni reato, che allora dovrebbe rispecchiare un diverso grado di punizione, adeguato e proporzionato. Una pena detentiva di due giorni, di un giorno, sarebbe destinata ai reati i cui particolari connotati siano tali da ritenersi poco gravi. Tuttavia è legittimo chiedersi come mai una pena detentiva di pochi giorni non sia ritenuta sproporzionata per difetto mentre le pena pecuniaria sì. L’abolizione delle pene pecuniarie è argomentata sot- tolineando il loro carattere impersonale e disuguale, ma soprattutto mettendo a fuoco che è “sproporzionata per difetto a qualunque proibizione penale informata al principio di

L. Ferrajoli, Principia iuris, Teoria del diritto e della democrazia, Laterza, Roma - Bari 2007, pp. 356-357.

129

In questa opera si fa riferimento esclusivo al secondo scopo giustificante del diritto penale come “minimizza- zione delle punizioni arbitrarie”.

L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., p. 413.

130

Ivi, p. 397.

economia o di necessità” e che poi è “diversamente afflittiva a seconda della ricchezza 132 delle reo”.

Sostiene Ferrajoli che “La pena pecuniaria è sotto più profili una pena aberrante”. È im- personale e quindi chiunque può pagare, è disuguale e quindi fonte di intollerabili discrim- inazioni, ma l’argomento ritenuto più importante è che essa è “sproporzionata a qualunque reato, essendo al di sotto del limite minimo che giustifica l’irrogazione di una pena”, desti- nata ad essere sentita come una tassa. Mentre l’aderenza al modello di diritto penale mini- mo richiede “che siano previsti e puniti come reati soltanto infrazioni relativamente gravi” e allora “nessuna sanzione pecuniaria può essere considerata sufficiente a sanzionarle adeguatamente” . La conseguenza di questa sproporzione è che la pena pecuniaria è oggi 133 giustamente limitata alle infrazioni più lievi.

Inoltre implica una deformazione del processo penale, dato che “la scarsa rilevanza delle infrazione e la leggerezza delle pene ha infatti favorito lo sviluppo delle forme di giustizia sommaria come il decreto penale, che a loro volta squalificano, per il loro carat- tere burocratico il processo penale e la funzione giudiziaria” 134

In questo panorama si ravvisano solo due vie: “o la pena pecuniaria appare sufficiente, e allora tanto vale trasformarla in una sanzione amministrativa e depenalizzare il reato per il quale è disposta; oppure appare insufficiente, ed allora essa dev’essere sostituita con un altro tipo di pena, più severa”. La decisione sulla rilevanza amministrativa o penale del fat- to è di competenza del legislatore, se il fatto non lede diritti fondamentali, dovrebbe essere qualificato come illecito amministrativo, invece deve essere comminata “una pena restritti- va della libertà personale se invece lo riterrà lesivo di beni di fondamentali interesse indi- viduale o collettivo e va quindi qualificato come reato” . 135