Capitolo II. La questione punitiva
2.3. Distinzioni fondamentali nella teoria della pena
2.3.1. La pena minacciata
“Nessuno si aspetta che giudici o statisti, impegnati nel compito di mandare gente al patibolo o in prigione, o nel fare (e disfare) leggi che permettano di fare tali cose, abbiano molto tempo per la discussione filosofica dei principi che rendono moralmente accettabile fare tutto ciò” . Sono parole eloquenti di uno dei filosofi che ha fornito un’importante 133 contribuito per portare chiarezza nell’intricata questione punitiva: H.L.A. Hart. Malgrado il
Ibid.
132
H.L.A. Hart, Responsabilità e pena, cit., p. 28.
possibile disimpegno dei giuristi la questione punitiva implica domande inesorabili, tra cui una che Hart considera preliminare e riguarda la domanda relativa al perché certi tipi di azioni sono vietati dal diritto penale? . La risposta di Hart è netta 134
per rendere noto alla società che queste azioni non debbono essere compiute e in tal modo assi- curarsi che ne vengano compiute di meno. Se non si ci riferisce alla semplice idea che il diritto pe- nale stabilisce con le sue norme modelli di comportamento per incoraggiare certi tipi di comporta- menti e scoraggiarne altri non possiamo distinguere una pena sotto forma di multa da una tassa im- posta a un certo comportamento . 135
In questo modo Hart si proponeva di riconoscere la connessione fra legge ed effetto dis- suasivo delle proibizioni penali. Di conseguenza i consociati vengono riconosciuti come destinatari delle norme penali, in generale, non solo delle norme considerate primarie. Hart, quindi, ribadisce il nesso stabilito fra norma ed effetto dissuasivo anche rispetto alle norme secondarie, che secondo la dottrina kelseniana, invece, sarebbero destinate al ristret- to gruppo delle autorità chiamate ad applicarle. Rispetto alla “distinzione tra norme prima- rie che fissano criteri di condotta e norme secondarie che specificano cosa devono o posso- no fare i funzionari quando esse sono violate” , Hart specifica che “tutte le norme giuri136 - diche in realtà sono direttive a funzionari [...]. Tuttavia solo mantenendo la distinzione tra l’obiettivo primario del diritto di incoraggiare o scoraggiare certi tipi di comportamento, e le sue tecniche meramente ausiliarie o riparatrici, possiamo dare un senso alla nozione di reato o trasgressione” . 137
Ai nostri giorni è ormai pressoché indiscusso che l’obiettivo primario del diritto penale sia prevenire la commissione di certe condotte per via dello scoraggiamento che dovrebbe produrre considerarle come reati ed associare loro una sanzione proporzionata alla gravità della condotta, nella natura e nella misura. Ma l’odierna concordanza sullo scopo preventi- vo è il prodotto di un percorso di razionalizzazione e giuridicizzazione del fine della pena.
La compiuta elaborazione teorica dello scopo general-preventivo è merito di Feuerbach, che avrebbe messo a fuoco un patrimonio di illuminante saggezza elaborato dalle dottrine
Ivi, p. 32. 134 Ibid. 135 Ivi, pp. 33-34. 136 Ibid. 137
del giusnaturalismo e dell’illuminismo, e rivolto essenzialmente in tre direzioni: “il distac- co del diritto naturale (e quindi anche del diritto penale, visto essenzialmente come espres- sione del diritto di difesa dell’individuo e della comunità) dalla teologia della morale; l’attribuzione alla pena di una funzione meramente preventiva; l’umanizzazione delle pene” . 138
Si tratta di un contributo prezioso nella storia delle dottrine penalistiche portatore di un programma concreto e razionale irreprensibile dal punto di vista scientifico al quale hanno collaborato gli autori considerati pre-illuministi e i pensatori riconosciuti come rappresen- tanti del movimento illuministico . Secondo Mario Cattaneo, Feuerbach è l’erede consa139 - pevole di tale corrente di pensiero e “se Beccaria può essere considerato il fondatore, ani- mato soprattutto da intenti di riforma filosofica del diritto penale, Feuerbach può essere indicato come colui il quale ha sviluppato tale linea di pensiero completandola e arricchen- dola dal punto di vista scientifico e tecnico-dogmatico” . 140
Se dunque il diritto e la libertà devono essere assicurati perfettamente - scrisse Feuerbach - allora deve esservi un mezzo di sicurezza che ci garantisca non solo da un’offensore indeterminato, ma dalle offese in generale [...]. Fra tutte le immaginabili misure di sicurezza delle offese in generale, nessuna è così general- mente efficace come la minaccia di mali fisici, con i quali l’azione offensiva viene condizionata. Essa agisce direttamente in modo contrario al fondamento ultimo dei desideri anti-giuridici ed elimina, causando la pau- ra, il principio interno stesso da cui quelli provengono . 141
Uno dei grandi meriti di Feuerbach è la pregnanza riconosciuta al principio di legalità , non solo dei reati, che lo portò l’Autore a riformulare la massima risalente ad 142
M.A. Cattaneo, Anselm Feuerbach, filosofo e giurista liberale, cit., p. 278.
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Ibid. “a questo complesso programma hanno collaborato in una prima fase autori come Grozio, Hobbes,
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Pufendorf, Thomasius (i fondatori, cioè, del giusnaturalismo moderno, alcuni dei quali vengono spesso cons- derati pre-illumunisti); e in una seconda fase autori come Montesquieu, Voltaire, Beccaria, Verri, Filangieri, Hommel, Bentham (cioè pensatori che sono rappresentati riconosciuti del movimento illuministico in campo giuridico).
Ibid.
140
P.J.A. Feuerbach, Anti-Hobbes ovvero i limiti del potere supremo e il diritto coattivo dei cittadini contro il
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sovrano (1798), Giuffrè, Milano 1972, pp. 108-113.
Cattaneo rileva che “a giudizio di molti interpreti, la caratteristica principale della dottrina penalistica di
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Feuerbach non è costituita dalla teoria della coazione psicologica, dalla teoria che attribuisce alla minaccia della pena uno scopo di prevenzione generale, bensì dalla sua concezione della legge penale sul principio di legalità - Il von Bar afferma che la dottrina di Feuerbach viene generalmente definita come teoria della coazione psicologica, questo è un nome legittimo, tuttavia meglio le si additerebbe la qualifica di teoria della legge positiva”. M.A. Cattaneo, Anselm Feuerbach, filosofo e giurista liberale, cit., p. 280. Cfr. G. Guarnieri,
Ulpiano, nullum crimen sine lege in termini inderogabili anche per le pene: nullum crimen nulla poena sine proevia lege poenali. Altro merito è il modo garantista con cui egli limita le frontiere del diritto penale alla prevenzione dei reati: nella sua dottrina si minacciano le pene per prevenire le offese in generale, e anche l’esecuzione della minaccia resta aggan- ciata all’originaria finalità preventiva senza aprire la porta a finalità autonome: “Ma come la minaccia del male penale ha uno scopo, così anche l’inflizione dello stesso dopo il fatto compiuto ne ha uno [...]. Esso non consiste se non nel rendere efficace la minaccia stessa” . 143
Su quale sia lo scopo della minaccia della pena, oramai la dottrina si esprime in modo pressoché unanime: la prevenzione generale negativa dei reati. Antolisei, nel suo Manuale, sostiene che “dubitare di ciò, a nostro avviso, sarebbe quasi come mettere in dubbio l’esist- enza del sole” . La pena minacciata poi va eseguita poiché altrimenti la comminatoria 144 legislativa perderebbe ogni efficacia: sarebbe un telum imbelle sine ictu. “Lo stato - prose- gue Antolsei - una volta che abbia minacciato una pena, non può esimersi, per lo meno di regola, dall’applicarla” . 145
Il fulcro della questione sta, appunto, non nel carattere imperativo e inesorabile dell’e- secuzione della pena, ma nel fatto che, di regola, una volta concluso il rispettivo processo nel rispetto delle dovute garanzie predisposte dall’ordinamento giuridico, la pena sia appli- cata. E ciascun ordinamento dovrà prevedere le causali di non punibilità, di non necessarie- tà della sua applicazione e di estinzione della pena. La precedente minaccia della pena non è una camicia di forza che comporta ineluttabilmente la sua esecuzione: le garanzie penali sono prospettate, anche, affinché l’esecuzione della pena avvenga solo nei casi in cui ciò è necessario. Basterebbe, per un fatto di coerenza, non tanto che la pena sia di regola appli- cata, ma che i cittadini possano confidare nel fatto che la pena sarà eseguita soltanto nel rigoroso rispetto delle regole.
Avendo risposto alla domanda sullo scopo della minaccia delle pene, Antolisei passa a formulare un altro quesito: “Si chiede ora quale sia la funzione della pena nel momento in
P.J.A. Feuerbach, Anti-Hobbes ovvero i limiti del potere supremo e il diritto coattivo dei cittadini contro il
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sovrano, cit., p. 113.
F. Antolisei, Manuale di diritto penale, cit., p. 692.
144
Ibid.
cui questa viene applicata, e cioè erogata dal giudice e, quindi, eseguita” . E lì svanisce la 146 concordia fra i teorici.