Capitolo II. La questione punitiva
2.1. Finalità e limiti della pena
2.1.4. I fini non giustificano i mezzi
Norberto Bobbio ha ribadito che in questioni di politica la direzione “non è quella del- l’idoneità dei mezzi, ma quella della legittimità del fine”, specificando che “un problema non esclude l’altro, ma si tratta di due problemi diversi e conviene tenerli ben distinti” . 97 La considerazione circa la legittimità del fine riguarda la valutazione di certi principi, men-
Ivi, p. 473.
93
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., cap. II, p. 12.
94
Montesquieu, Lo spirito delle leggi, cit., libro VI, cap. XII, p. 234.
95
Ivi, libro XIX, cap. VI, p. 568.
96
N. Bobbio, Etica e politica, in Id., Etica e politica, cit., p. 609.
tre “il problema dell’idoneità dei mezzi si pone quando si vuole dare un giudizio sull’effi- cienza” . 98
Il primo principio che deve essere considerato rispetto alla legittimità della finalità delle pene è il ruolo sussidiario del diritto penale. Il sistema penale è solo una parte dell’ordina- mento giuridico e l’identificazione del suo scopo non può prescindere dalla considerazione dei limiti che tale ordinamento impone. Un’esagerata attenzione particolaristica al diritto di punire potrebbe oscurare i confini del suo carattere di mezzo, portare a derive autoritarie e a deliri di onnipotenza del sovrano.
Trapani ci ricorda l’importanza di non perdere di vista il carattere sussidiario del diritto penale: «hablar de legitimación y de límites del derecho penal como rama del derecho ob- jetivo de una sociedad organizada significa, en primer lugar, hacer referencia al ordena- miento penal como ordenamiento jurídico “parcial” (“sectorial”), o, siguiendo la teoría de los sistemas, como “subsistema”, es decir, que hace parte de un ordenamiento jurídico, más amplio califica hable como “general”» . 99
Ugo Spirito sostiene che “le infinite soluzioni che si sono tentate del problema del dirit- to penale son partite per lo più dal falso presupposto di un diritto considerato come catego- ria a sé, e, a seconda del significato dato a questa categoria, si è attribuito al diritto penale una correlativa finalità particolare” . 100
I codici non fanno riferimento alla finalità del diritto penale ma a quella della pena, in- dividuata come fulcro della questione. Alla base dell’impostazione del problema c’è una concezione unitaria riguardo alla finalità di entrambi; ma, partendo dalla finalità della parte invece che del tutto, si percorre a ritroso la strada. Occorre considerare prima l’ordiname- nto nel quale il sistema penale si inserisce e che limita il suo operato; individuare, poi, lo scopo del diritto penale e, infine, quello della pena.
Configurare il diritto penale con più modestia implica riconoscere che le sue norme non pretendono d’imporre coattivamente modelli comportamentali. Sulle orme di Filangieri, Hart ha scritto pagine illuminati a riguardo: “dobbiamo smettere di considerare il diritto solamente come un sistema di stimoli che inducono al conformismo le persone con minac-
Ibid.
98
M. Trapani, Consideraciones sobre la legitimación y los limites del derecho penal, in Estudios de derecho
99
penal. Homenaje a Juan Fernandez Carrasquilla, Universidad de Medellin, Medellin 2012, p 755.
U. Spirito, Storia del diritto penale italiano da Beccaria a Carrara, cit., p. 27.
ce. Invece propongo una analogia commerciale. Si consideri il diritto non come un sistema di stimoli, ma come qualcosa che potrebbe esser chiamato un sistema per scegliere, con cui le persone possano vedere per lo meno in termini generali, i costi che dovranno pagare qualora agiscano in certi modi” . 101
A questa visione del diritto penale potrebbe essere mossa la critica di dichiarare che “la pena sarebbe come un biglietto d’ingresso: venite, assassinate pure, basta che paghiate!” : 102
non voglio suggerire che sia indifferente - prosegue Hart - la pena è diversa da una tassa. Voglio dire che concepire il diritto come qualcosa che semplicemente induce le persone al corso d’azione desiderato è inadeguato e ingannevole; ciò che fa un ordinamento giuridico, che renda la respons- abilità generalmente dipendente da condizioni scusanti, è guidare le scelte di comportamento degli individui offrendo loro delle ragioni per esercitare la scelta nella direzione dell’obbedienza, ma las- ciandoli liberi di scegliere . 103
È proprio questa libertà di scelta che viene incrinata dal modo in cui la rieducazione è concepita oggi. La raffigurazione del soggetto agente, nella teoria del reato, come indivi- duo in grado di scegliere, che rappresenta il presupposto della responsabilità penale, scom- pare in sede di teoria della pena dove il condannato non è posto in grado di scegliere, ma soltanto di eseguire, di ubbidire, di subire, di accettare.
Rispetto all’esecuzione della pena, dall’opera di Beccaria emerge che la finalità, al pari di quella del dritto penale, è negativa: rivolta, cioè, a prevenire la violenza. Le ragioni del diritto penale non si erigono sulla pretesa positiva di compiere un bene, ma su quella nega- tiva di evitare danni a terzi. Nel caso della minaccia della pena si pretende di evitare gli ingiusti danni provocati dai delitti, e nel caso della commisurazione e dell’esecuzione di essa si cambia completamente prospettiva e lo scopo, sempre in negativo, passa ad essere quello di evitare le ingiuste punizioni, limitando l’arbitrio punitivo: “Il fine dunque non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali. Quelle pene dunque e quel metodo d’infliggerle deve esser prescelto che, ser- bata la proporzione, farà una impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uo-
H.L.A. Hart, Responsabilità e pena, cit. p. 71.
101
A. Ross, Colpa, responsabilità e pena, cit., p 81.
102
H.L.A. Hart, Responsabilità e pena, cit., p. 71.
mini, e la meno tormentosa sul corpo del reo” . Questo postulato dimostra che l’utilitari104 - smo in Beccaria non è dimezzato e che tiene conto del punto di vista del condannato come soggetto della punizione, non come oggetto di qualunque punizione l’autorità o la società pretenda imporgli.
La pretesa rieducativa sembra in apprensione rispetto al fatto che il condannato tornerà a riprendere il suo rapporto con la società, per cui lo vorrebbe rieducato alla legalità e alla pacifica convivenza sociale. Anche se all’istituzione della pena è riconosciuto un compito sia sulla società che sul condannato, e nonostante l’esecuzione di ogni pena sia l’afferma- zione della serietà con cui lo Stato mette in atto la tutela dei diritti di tutti, occorre ricono- scere che l’esecuzione della pena dovrebbe essere guidata soprattutto da finalità negative rispetto al condannato, anziché da qualsivoglia pretesa positiva della società: innanzitutto non limitare altri diritti che quelli indicati nella sentenza di condanna e non punirlo con una sanzione segregativa, pervertrice o desocializzante.
Rispetto alla valutazione di alcune scelte di politica criminale che danno preminenza alle domande di punibilità della società rispetto alla considerazione del soggetto che sarà punito in concreto, Hart osserva: “certo, tutto ciò è piuttosto paradossale. Sembra distrug- gere completamente l’idea che nel punire dobbiamo esser giusti verso il particolare reo che abbiamo di fronte e che lo scopo delle condizioni scusanti sia di proteggerlo dalle pretese della società” . Anche Carrara aveva optato per una finalità in negativo, dichiarando che 105 basta che la pena non divenga pervertrice del reo . La finalità in negativo è stata difesa 106 soprattutto dai sociologi, che, analogamente, puntualizzano che la pena non deve essere desocializzante . 107
Nella riflessione di Beccaria, individuare la finalità delle pene era strumentale al calcolo rispetto alla validità dei mezzi punitivi. A tale riguardo la valutazione di Beccaria del si- stema punitivo di allora è disastrosa: “i mezzi impiegati finora sono perlopiù falsi ed oppo- sti al fine proposto” . Alf Ross ha scritto che, tra una teoria preventiva speciale e l’idea di 108
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., cap. XII, p. 31.
104
H.L.A. Hart, Responsabilità e pena, cit. p. 69.
105
F. Carrara, Programma, cit. 𝕊 645, p. 420.
106
Cfr. M. Pavarini, Fuori dalle mura del carcere: la dislocazione dell’ossessione correzionale, in “Dei delit
107 -
ti e delle pene”, Bologna, 1986, 2, Vol. II.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., cap. XLI, p. 96.
eliminare del tutto la pena a favore del trattamento, il passo è breve . Ma i pericoli di un 109 fine perseguito a ogni costo vale per la rieducazione come per la prevenzione.
Per qualsivoglia finalità vale il consapevole monito di Hart: “per qualunque istituzione sociale, dopo che si è accertato quale scopo o valore generale è soddisfatto dalla sua con- servazione, si deve indagare se ci sono dei principi, e quali, che limitino il perseguimento incondizionato di quel fine o valore” . Il raggiungimento della finalità delle pene deve, 110 dunque, essere limitato dai principi fondamentali del diritto penale. Per tornare a dare al dibattito sullo scopo il ruolo limitativo che dovrebbe contraddistinguere ogni aspetto della teoria della pena, che lungi dal pretendere l’ulteriore estensione del potere punitivo si erige per limitarlo e contenerlo, bisognerebbe ricordare innanzitutto che non può essere stridente con gli obblighi dello stato costituzionale di diritto, presi sul serio. E che una volta indivi- duato lo scopo, o gli scopi della pena, occorrerà prospettare le garanzie affinché non sia perseguito a ogni costo e anche il fine prescelto sia ricondotto al principio di legalità per escludere le pene arbitrarie e bandire le pene in bianco.
Nell’opera di Beccaria migliorare non può che essere una decisione personale, un potere che ciascuno, anche il condannato, può decidere se esercitare o meno: “rimane al reo il po- tere di divenir migliore”. Lo scopo rieducativo come funzione principale del sistema puni- tivo, dunque, non valorizza alcuni contributi importanti alla teoria della pena.