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Il criterio di omogeneità fra reato e sanzione

Capitolo I. Assiologia della pena

1.1. Iustitia Dei: la giustizia come ordine naturale

1.1.4. Il criterio di omogeneità fra reato e sanzione

Agli albori della riflessione sul sistema penale, il potere punitivo veniva rappresentato ed esercitato sullo sfondo filosofico e culturale della giustizia inesorabile. In questo conte- sto, in cui la legittimità del sistema penale e delle sanzioni punitive è conferita a priori, sulla realtà della pena, sul suo contenuto, ci viene detto sostanzialmente che è un male. Predomina la logica del sacrificio rituale che dell’esecuzione della pena fa prevalere i sup- posti effetti salvifici o rassicuranti verso la società, rispetto ai concreti ed eventualmente perversi effetti sul condannato.

Per lunghi secoli ha dominato questa raffigurazione della giustizia che ben possiamo riconoscere dai suoi frutti: l’implacabilità riguardo al concetto unitario di peccato-reato, il carattere inquisitorio del processo penale nel quale si sottoponeva a disamina il reo cercan- do di scrutare nella sua anima, l’idea della pena come espiazione, come sacrificio del con- dannato per mezzo del quale si depura la società. In questa prospettiva si è avallato un si- stema di pene crudeli, del cui arsenale fa parte anche la pena di morte. Chi, avendo potuto agire diversamente, si rende reo di morte, dimentica che “la spada della Giustizia non ha fodero” . 66

Seguendo questa linea di pensiero prevale la salvaguardia della continuità con la tradi- zione e si esclude ogni irriverente approccio critico verso l’apparato punitivo: anche le pene più crudeli sono pacificamente accettate come espressione di un potere giusto. Quan-

Subito dopo l’Angelus della domenica di Quaresima, del 21 febbraio 2016 il pontefice ha fatto un’appello

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ai governanti per l’abolizione della pena di morte. Nel suo discorso Papa Bergoglio ha sostenuto la valenza universale del comandamento ‘‘non uccidere’’, adottando un approccio diverso da quello del Catechismo: “Il problema va inquadrato nell’ottica di una giustizia penale che sia sempre più conforme alla dignità dell’uomo e al disegno di Dio sull’uomo e la società, e anche a una giustizia penale aperta alla speranza del reinserirsi nella società. Il comandamento ‘non uccidere’ ha valore assoluto e riguarda sia l’innocente che il colpevole. Il Giubileo straordinario della Misericordia è un’occasione propizia per promuovere nel mondo forme sempre più mature di rispetto della vita e della dignità di ogni persona. Anche il criminale mantiene l’inviolabile di- ritto alla vita, dono di Dio. Faccio appello alla coscienza dei governanti, affinché si giunga ad un consenso internazionale per l’abolizione della pena di morte. E propongo a quanti tra loro sono cattolici di compiere un gesto coraggioso ed esemplare: che nessuna condanna venga eseguita in questo Anno Santo della Misericor- dia”. Il discorso del papa è disponibile nel sito ufficiale del vaticano, nel seguente link: http://w2.vatican.va/ content/francesco/it/angelus/2016/documents/papa-francesco_angelus_20160221.html. Cfr. anche J.M. Ber- goglio, Risponde Papa Bergoglio, a cura di G. Maria Vian, Marsilio, Venezia 2015.

J. De Maistre. Le serate di Pietroburgo, cit., p. 45.

do per via dello schema del contraccambio, in effetti, si consacra “la dimensione punitiva sul piano del bene in sé” , si riesce a discutere sulla pena senza discutere della pena, o 67 meglio delle pene. Si tenta la giustificazione dell’esistenza del potere punitivo e non si av- verte il bisogno di riflettere sui suoi vari volti né sui risvolti delle decisioni penali sul con- dannato; come se l’imputazione della responsabilità di aver commesso un reato lo facesse diventare solo l’oggetto della sanzione, facendo svanire dietro il condannato il soggetto titolare di diritti, anteponendo il diritto o il dovere dello stato di punirlo dinanzi ad ogni suo diritto individuale, perfino quello alla vita.

In questo stadio culturale il principio del taglione si pone come criterio di misurazione della punizione. La storia di questo principio sanzionatorio rimonta sino agli ordinamenti giuridici dei popoli arcaici e ci è testimoniata da una pluralità di fonti. Si tratta spesso di testi religiosi, nell’ambito dei quali tale principio è collocato sullo sfondo di una visione teologica ed ontologica della giustizia. Evitando anacronistici giudizi di valore, allo ius ta- lionis va riconosciuto il merito di rappresentare un criterio regolatore della natura e della misura delle risposte ai reati. Esso comporta “la prima pur se debole limitazione alla sfre- natezza punitiva”. Tuttavia, “l’idea giusnaturalistica che la pena debba uguagliare il delitto e consistere quindi in un male della medesima natura e intensità” non è che “il frutto di un'illusione sostanzialistica” . 68

Persistente nella cultura giuridica moderna e nel senso comune di giustizia, tale princi- pio comporta l’esclusione di una molteplicità di casi che non rientrano nel suo raggio di azione. Quelli, cioè, in cui non è realizzabile una corrispondenza isomorfica fra sanzione e reato. Da una parte, per i connotati d’immaterialità che spesso accompagnano la valu- tazione del danno, come nel caso dell’offesa alla divinità, per esempio; e, dall’altra, per la situazione paradossale che verrebbe a crearsi quando si cercasse di riprodurre sul respons- abile la sua condotta delittuosa, come nel caso dell’adulterio.

Il fatto di non essere un paradigma adeguato al polimorfismo della casuistica criminale lo spogliava di efficacia pratica. Nei casi irriducibili al parametro di commisurazione, si faceva ricorso ad altri principi e si misurava la punizione valutando aspetti sociali e cultur- ali. In effetti, nel popolo ebraico, trasgressioni ritenute gravi secondo il vigente sistema di

M. Ronco, Il problema della pena. Alcuni profili relativi allo sviluppo della riflessione sulla pena, Giappi

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chelli, Torino 1996, p. 121.

L. Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., p. 384.

valori, e per le quali non era possibile richiamare la valenza del taglione, erano punite con la morte. L’idoneità della lex talionis a valere come regola della pena giusta risultava per- tanto fortemente attenuata. L’ammissione della pena di morte solo nei casi di omicidio avrebbe potuto costituire un criterio di razionalità per la sua irrogazione. Invece così non è stato, e anche fra i popoli antichi che riconoscevano il taglione come linea guida si disponeva a piacimento della pena di morte.

La sorte del taglione ci insegna due cose: la prima è che il parametro di misurazione delle pene, se pretende di superare la soglia di mera dichiarazione di buoni propositi e in- cidere sulla prassi, deve essere in grado di fungere da limite non solo nei casi paradigmatici su cui è modellato. La seconda è che, nonostante i limiti normativi siano chiari - come nel caso dell’associazione della pena di morte ai soli casi di omicidio -, la domanda sociale di punibilità preme per la tendenza al rialzo della punizione nelle ipotesi delittuose percepite come più gravi.

Se la premessa è l’identità qualitativa, ne consegue che le pene

devono essere di tanti tipi quanti sono i tipi dei delitti. Benché ciò sia impossibile e di fatto non sia mai accaduto, è certo che la pretesa di equiparare la qualità della pena alla qualità del delitto è stato il principale fattore della molteplicità, varietà ed atipicità delle pene nell’epoca premoderna: dalle pene infamanti, come la gogna e il marchio, alle varie pene corporali e capitali come le mutilazioni, le fustigazioni e i supplizi . 69

Questa difficoltà nell’applicazione del principio d’identità fra sanzione e reato non riguarda invece quelle condotte su cui il principio è modellato come le lesioni e l’omicidio, appunto. Hegel infatti riconosce che “se, ora, nella retribuzione non si può giungere al- l’eguaglianza specifica, ciò, tuttavia, è diverso nell’omicidio, pel quale necessariamente resta la pena di morte” . Parimenti Kant, anch’egli alfiere del taglione, sentenzia che “se 70

poi egli ha ucciso, egli deve morire. Qui non vi è nessun surrogato, nessuna commutazione di pena, che possa soddisfare la giustizia” . 71

Probabilmente, l’istanza di razionalità dell’irrogazione della pena di morte soltanto nei casi di omicidio non è stata accolta proprio perché il principio di omogeneità fra pena e

Ivi, p. 385.

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G.W.F Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., p. 328.

70

I. Kant, Primi principi metafisici della dottrina del diritto (1797), Laterza, Roma-Bari 2005, p. 522.

reato certamente limitava, ma al contempo accreditava il ricorso alla pena di morte. Da tut- to ciò possiamo trarre una terza lezione: una volta che una pena sia avallata dalla teoria, non si potrà più garantire che sia applicata con la parsimonia che la teoria stessa consiglia. Anche la vicenda della pena detentiva ne è una dimostrazione.