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manovra” nei settori regolamentati

Anche da un punto di vista pratico la teoria in esame presenta numerose criticità, poiché essa presuppone una difficile valutazione sull’esistenza di effettivi “margini di manovra delle imprese” in contesti di mercato fortemente regolamentato. Valutazione che nella prassi applicativa viene viceversa data per presupposta e mai analiticamente considerata.

Eppure il problema riveste carattere centrale.

È infatti noto che la normativa sulla concorrenza si applica solo a condotte adottate dalle imprese di propria libera iniziativa.

ampio raggio del ruolo della regolazione nell’analisi economica dei mercati, si v. altresì R.COOTER,V.MATTEI,R.PARDOLESI,T.ULEN,P.G.MONATORI, Analisi economica del diritto civile, Il Mulino 1999, G. ALPA, P. CHIASSONI, A. PERICU, F. PULITINI, S. RODOTÀ,F.ROMANI (a cura di), Analisi economica del diritto privato, Milano, Giuffrè, 1999; G.ALPA, voce Interpretazione economica del diritto, in Novissimo Digesto Italiano – Appendice, IV, Torino, Utet, 1980, p. 315; R.PARDOLESI, Analisi economica del diritto, in Digesto IV, I, Torino, Utet, 1987, p. 309; P.CHIASSONI, R. Posner: pragmatismo e analisi economica del diritto, in G. ZANETTI (a cura di), Filosofi del diritto contemporanei, Milano, Raffaello Cortina, 1999, p. 183; P. CHIASSONI, Law and Economics. L’analisi economica del diritto negli Stati Uniti, Torino, 1992.

306

Così. M. LIBERTINI, Diritto della Concorrenza dell’Unione Europea, Giuffrè, 2014, p. 44.

Quando invece la condotta anticompetitiva è imposta dalla legge o dalle pubbliche autorità, o se la legge crea un contesto regolamentare che elimina qualsiasi possibilità di concorrenza, vi è un problema di imputabilità della condotta.

In analogia al diritto penale, si può dire che in simili circostanze l’ingerenza dello Stato può rappresentare una sorta di scriminante per gli illeciti anticoncorrenziali (la cosiddetta State action defense307). In situazioni simili, la condotta delle imprese non è, infatti, a esse attribuibile come condotta volontaria e autonoma e, per questo motivo, non sarebbe equo sanzionarle.

Una diversa soluzione porrebbe, infatti, le imprese di fronte al seguente dilemma: o non attenersi alle disposizioni di legge o regolamentari che impongono una condotta contraria al diritto della concorrenza, e sopportare le conseguenze legali di tale scelta; o assecondare i precetti di legge, esponendosi al rischio di vedersi comminare una condanna antitrust e la relativa sanzione per la condotta anticompetitiva308.

307

L’Avvocato generale Maduro, nelle conclusioni dei casi Cipolla e Macrino del 5 dicembre 2006 (cause riunite C-94/04 e 202/04, Racc p. I-11421, punto 36), definisce la State defence doctrine come “il principio della disapplicazionc delle norme antimonopolistiche per decisione delle Stato”, individuandone la ratio nell’esigenza di sottoporre i provvedimenti statali ad un controllo limitato all’ambito del diritto della concorrenza e l’origine nella sentenza Parker/Brown della Corte suprema degli Stati Uniti che ha escluso l’applicazione dello Sherman Act a misure assunte dagli Stati nell’ambito del loro potere sovrano. Cfr. altresì, in chiave comparatistica con il diritto UE, G. MARENCO, Government action and antitrust in the United States: What lessons for Community law?, in Legal Issues of Economic Integration, 1987, p. 1 ss., D.EHLE, State Regulation under the US Antitrust State Action Doctrine and under EC competition law: A comparative analysis. in ECLR, 1998, p. 380 ss.

308

Cfr. Corte UE sent. 11.11.1997, cause riunite C-359P e 379/95P, Commissione e Francia c. Ladbroke Racing. In tale sentenza, la Corte ha affermato che “se un comportamento anticoncorrenziale viene imposto alle imprese da una normativa nazionale [...] gli artt. [101 e 102 TFUE] non trovano applicazione”, in quanto “in una situazione del genere la restrizione alla concorrenza non trova origine, come queste norme implicano, in comportamenti autonomi delle imprese”. La Corte ha peraltro precisato che ciò si verifica solo quanto “una normativa nazionale […] crea un contesto giuridico che di per sé elimina ogni possibilità di comportamento concorrenziale” (§ 33). Solo in tali circostanze, secondo la Corte, un’impresa non può essere ritenuta responsabile di una violazione del diritto della concorrenza.

Nel definire il test legale rilevante, la Corte di Giustizia e la Commissione hanno per lungo tempo affermato che se una legge nazionale si limita a sollecitare o a facilitare l’adozione di comportamenti anticoncorrenziali autonomi da parte delle imprese, queste rimangono soggette alle regole di concorrenza e possono incorrere in sanzioni; viceversa, nei casi in cui le misure nazionali che danno copertura ad un certo comportamento potenzialmente anticoncorrenziale lo rendono sostanzialmente vincolato e non lasciano spazio ad un’autonomia di comportamento o ad una effettiva possibile concorrenza, gli artt. 101 e 102 TFUE sono inapplicabili e non vi sarebbe alcun illecito.

A partire dalla nota sentenza CIF309, la Corte di Giustizia ha però cambiato orientamento ed ha addirittura affermato che un illecito antitrust deve essere accertato anche in caso di contegno “vincolato”, in nome del principio generalissimo per cui (non solo il giudice ma anche) le Autorità nazionali devono disapplicare la disciplina nazionale che sia in contrasto con le norme del Trattato310. In tale ipotesi sarebbe dunque doveroso per l’Autorità nazionale

309

Cfr. Corte UE sent. 9.9.2003, C-198/01, Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF). In particolare, in tale causa, si era in presenza di una normativa che imponeva alle imprese del settore (produzione e distribuzione di fiammiferi) di attuare delle condotte anticoncorrenziali, giacché prescriveva un obbligo in capo alle stesse di operare associandosi in un consorzio e conferiva poi a quest’ultimo il potere di ripartire la produzione di fiammiferi fra le imprese consorziate. Tuttavia, e sotto un diverso profilo, si erano registrati comportamenti specifici imputabili al CIF che risultavano ultronei rispetto al dettato normativo. Più precisamente, la produzione di ciascuna impresa, che per disposizione normativa doveva essere deliberata da un’apposita Commissione interna al consorzio, veniva stabilita dal CIF tramite accordi raggiunti all’interno del consorzio. Il CIF godeva pertanto di margini di discrezionalità nell’assolvere gli obblighi a esso imposti e, quindi, avrebbe potuto operare in modo tale da non restringere la concorrenza esistente.

310

In dottrina, per un primo commento alla pronunzia della Corte di giustizia, si v. C. RIZZA, The Duty of National Competition Authorities to Disapply Anti-Competitive Domestic Legislation and the Resulting Limitations on the Availability of the State Action Defence (Case C-198/01 CIF), in E.C.L.R., 2004, 126; ID. L’obbligo delle autorità nazionali della concorrenza di disapplicare le norme interne contrarie al Trattato e i conseguenti limiti alla proponibilità della State action defense, in Giur. comm., 2004, II, 6; B.NASCIMBENE -S.BASTIANON, La Corte di Giustizia e i poteri dell’Autorità garante della concorrenza, in Corriere giur., 2003, 1421; S.CASSESE, La prevalenza del diritto comunitario sul diritto nazionale in materia di concorrenza; in Giornale dir. amm., 2003, 1129; M. ANTONUCCI, I poteri aggiunti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in Cons. stato, 2003, 1577; M. CASTELLANETA, Ridefiniti anche i poteri

accertare l’illecito antitrust e vietare in futuro il suo ripetersi, e sarebbe solo vietato comminare una sanzione pecuniaria, restando pieno l’effetto della diffida.

In particolare, secondo tale orientamento giurisprudenziale, oggi assolutamente pacifico, l’Autorità antitrust: (i) non può infliggere sanzioni alle imprese per comportamenti pregressi alla decisione di disapplicazione qualora tali comportamenti siano stati loro assolutamente e inevitabilmente imposti dalla normativa nazionale311; (ii) deve infliggere sanzioni alle imprese per i loro comportamenti pregressi qualora questi siano stati semplicemente facilitati o incoraggiati da quella normativa nazionale, pur tenendo in debito conto le specificità del contesto normativo nel quale le imprese hanno agito; (iii) deve infliggere sanzioni alle imprese qualora la normativa nazionale si limiti a rafforzare o approvare gli effetti di una condotta vietata ai fini antitrust. Le Corti europee hanno, infatti, stabilito il principio secondo cui “se un provvedimento statale ricalca gli elementi di un’intesa stipulata tra gli operatori economici di un settore o è adottato su consultazione e con l’accordo degli operatori economici interessati, detti operatori non possono invocare l’indole coercitiva della disciplina per sottrarsi all’applicazione” delle regole di concorrenza”312.

Sul punto la giurisprudenza nazionale, in recepimento del principio dianzi richiamato, ha avuto altresì cura di specificare che “la ‘copertura normativa’ dei comportamenti anticoncorrenziali delle imprese e la conseguente loro imputabilità per condotte poste in essere in contesti regolamentati deve, tuttavia, essere intesa in senso restrittivo, potendo essere ammessa solo in presenza di

sanzionatori del garante: dalla Corte di giustizia un monito per il futuro, in Guida al dir., 2003, 36, 115.

311

Cfr. ad esempio da ultimo provvedimento 27.3.2013 n. 24293, A441, Applicazione dell’IVA sui servizi postali, in cui l’AGCM ha recentemente riconosciuto che “la condotta di Poste adottata fino alla decisione del presente caso […] non [era] sanzionabile in quanto giustificata da una norma nazionale imperativa in contrasto con l’articolo 102 TFUE.

312

Cfr. Trib. UE sent. 18.9.1996, T-387/94, Asia Motor France e Altri c. Commissione, § 60 e, in particolare, tra la giurisprudenza ivi richiamata, Corte UE sent. 30.1.1985, 123/83, Clair, §§ 19-23.

condotte specificamente imposte che rappresentino puntuale attuazione di disposizioni normative inequivocabili”313.

5. La rilevata esistenza di un margine di manovra nel settore delle