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complementarietà presta a ben vedere il fianco a numerosi rilievi critici, in particolare nel settore delle comunicazioni elettroniche.

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Tribunale di primo grado, sentenza del 1° luglio 2010, causa T-321/05, Astrazeneca, pt. 677, sul punto confermata da Corte di Giustizia, sentenza del 6 dicembre 2012, causa C-457/10 P, pt. 129 ss. In dottrina si v. M. MAGGIOLINO, M.L. MONTAGNANI, AstraZeneca’s abuse of IPR-Related Procedures: A Hypothesis of Antitrust Offence, Abuse of Rights and IPR Misuse, in 34 World Competition, 2011, 245, p. 246; A.MUSELLI, La difficile riconciliazione del diritto della proprietà intellettuale e del diritto della concorrenza: note a margine dei casi AstraZeneca e Pfizer, in Concorrenza e Mercato, 2013, 759, p. 770; M. P. NEGRINOTTI, Abuse of Regulatory Procedures in the Intellectual Property Context: The AstraZeneca Case, in ECMLR, 2008, 446; J.DREXL., AstraZeneca and the EU Sector Inquiry: when do patent filings violate competition law, in J.DREXL,N.L.LEE (a cura di), Pharmaceutical Innovation, Competition and Patent Law: A Trilateral Perspective, Edward Elgar, Cheltenham Northampton, 2013, 290.

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Nello stesso senso, nella giurisprudenza nazionale, Consiglio di Stato, sentenze dell’8 aprile 2014, n. 1673, Coop e del 12 febbraio 2014, n. 693, Pfizer. Per un commento alla decisione Pfizer, cfr. D. GERADIN, The Uncertainties Created by Relying on the Vague “Competition on the Merits” Standard in the Pharmaceutical Sector: The Italian Pfizer/Pharmacia case, in 5 JECLP, 2014, 9, 344, p. 348; cfr. altresì G.DE STEFANO, Tough Enforcement of Unilateral Conduct at the National Level: Italian Antitrust Authority Sanctions Bayer and Pfizer for Abuse of Dominant Position (aka AstraZeneca Ruling and Essential Facilities Doctrine in Italian Sauce), 2012, 4, 396, pp. 399-400.

Da un punto di vista teorico è quantomeno discutibile che il diritto regolamentare abbia esclusivamente funzione conformativa (del mercato) che si giustifica in situazioni di “fallimento di mercato” mentre per converso l’intervento antitrust abbia funzione di adjudication, cioè di applicazione di sanzioni a comportamenti imprenditoriali che violano certe norme di condotta, e non di regulation300.

Infatti, da un lato, come analizzato nel precedente capitolo, la regolamentazione delle comunicazioni elettroniche non si limita a rendere possibile o a “tutelare” la concorrenza, bensì la “promuove” con interventi positivi intaccando mediante l’imposizione di obblighi asimmetrici le stesse posizioni dominanti (le quali per se sono legittime secondo il diritto della concorrenza)301.

Dall’altro, lo stesso diritto antitrust, applica divieti “a maglie larghe” che nella maggior parte dei casi non sanzionano fattispecie legalmente tipizzate302, bensì disfunzioni di mercati che le autorità competenti devono accertare sulla base di modelli valutativi basati su discrezionali valutazioni economiche relative a mercati ben funzionanti, non previamente definiti dalla legge.

300

Questa concezione è ancora del tutto prevalente in dottrina. V. riferimenti e critiche in D.A.CRANE, Technocracy and antitrust, in 86 Texas Law Review, 2008, 1159 ss; ID., Regulation, Adjudication, and Administration, in The Institutional Structure of Antitrust Enforcement, 2011. In Italia essa ha avuto anche riflessi giurisprudenziali significati. V. per esempio TAR Lazio, Sez. I, 8 maggio 2009, n. 4994, caso Aci Global. In termini anche TAR Lazio, Sezione I, sentenza n. 1752/2013, successivamente riformata in appello da Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 6 marzo 2015 n. 1104.

301

Secondo SCHERER, Telecommunications Law in Europe, 2005, p. 101, la circostanza che il diritto regolamentare miri a rimuovere le posizioni dominanti (a prescindere dalle condotte delle imprese) è diretta conseguenza della sua genesi liberalizzatrice. Secondo FREUND-RUHLE, The evolution from sector-specific regulation towards Competition Law in EU Telecoms markets from 1997 to 2011: Different effects in practical implementation, 22nd European Regional Conference of the International Telecommunications Society, Budapest 18-21.9.2011, “the overarching principle [della novella legislative del 2009] is not to create competition any longer but to develop the market under competitive conditions”. Ciò potrebbe ulteriormente confermare una convergenza tra diritto regolamentare e antitrust nel senso che entrambi mirano a preservare lo status quo ante concorrenziale (ciò perché il diritto regolamentare avrebbe eroso medio tempore le pre-esistenti posizioni dominanti).

302

Cfr. M.LIBERTINI, La causa nei patti limitativi della concorrenza tra imprese, in Contratto e antitrust, a cura di G. Olivieri e A. Zoppini, 2008, p. 89 ss.

Questo discorso, valido in assoluto, trova oggi ancor maggior riscontro a seguito dell’introduzione dell’istituto degli impegni ai sensi dell’art. 14-ter l. 287/1990 e della ormai indiscussa centralità del concetto di concorrenza dinamica, la quale può essere alimentata e resa permanente solo da un’azione pubblica volta a correggere, con divieti e incentivi, le distorsioni e i rallentamenti del processo concorrenziale. Le autorità di concorrenza devono quindi esercitare continuamente una complessa discrezionalità tecnica, sia nell’accertare le disfunzioni dei mercati, sia nel determinare i rimedi appropriati.

Come ben evidenziato dalla più attenta dottrina “in questa prospettiva è difficile negare che la politica di concorrenza si avvicini sempre più ad una sorta di regolazione amministrativa dei mercati”303. Una regolazione, a ben vedere “a competenza generale e di carattere correttivo/occasionale (a differenza delle regolazioni di settore, che sono affidate ad autorità speciali ed hanno carattere permanente, essendo rivolte a correggere situazioni in cui i mercati non sono in grado di ottimizzare la soddisfazione di bisogni ritenuti essenziali dal legislatore)”304.

È quindi a ben vedere riduttivo se non fallace l’intero impianto teorico su cui poggia l’idea della complementarietà, giacché nell’attuale fase di evoluzione dei mercati l’azione delle autorità antitrust diviene una sorta di “politica di risultati” piuttosto che una politica repressiva di comportamenti devianti305. In

303

Così. M.LIBERTINI,Diritto della Concorrenza dell’Unione Europea, 2014, p. 43. In termini v. anche A.ZITO, Mercati (Regolazione dei), in Enc. Dir. Annali III, Milano 2010, p. 812 ss e M.R.FERRARESE, Diritto e Mercato. Il caso degli Stati Uniti, 1992. Contra, per tutti, S. CASSESE, Regolazione e concorrenza, in G. TESAURO - M. D’ALBERTI (a cura di), Regolazione e concorrenza, rimarca l’esistenza di una netta separazione tra disciplina antitrust, da un lato, e regolazione, dall’altro, supportando l’idea che l’intervento pubblico nell’economia da parte dello Stato debba lasciare spazio all’iniziativa privata e alle regole del mercato, e che in ogni caso si possa ricorrere ad esso solo se temporaneo ed in ottica di una sua successiva “ritirata” in favore dei soli interventi a tutela della concorrenza: “la disciplina della concorrenza non fa parte della regolazione”, “la regolazione parte da un punto diverso: che il mercato non vi sia”, p. 13. In tal senso, la regolazione “è uno strumento per (man)tenere il fortino fino a che non arriva la concorrenza”.

304

Ibid. 305

Per uno sviluppo di questo punto v. M.LIBERTINI, Il “private enforcement” e le sanzioni amministrative, in Concorrenza e mercato, 15/2007, p. 356. Per un’analisi ad

questo senso, “lo stesso ampio utilizzo delle decisioni con impegni, più che rappresentare una deviazione dal tradizionale imprinting sanzionatorio dell’intervento antitrust, rappresenta a ben vedere un modo diretto e razionale per affrontare le disfunzioni del mercato e giungere in maniera condivisa alla correzione delle stesse”306.

Ne discende che la politica antitrust perde la semplicità concettuale, seppur smentita nei fatti dalle pesantissime technicalities applicative) della sua tradizionale impostazione punitiva, ed entra nel terreno della complessità tecnico-discrezionale della regolazione dei mercati: l’analisi dei mercati diviene sempre più complessa e la scelta dei rimedi lo diviene ancora di più.

4. Critica della teorica della complementarietà sotto il profilo