IL MEZZO NAUTICO E LE SUE INTERAZIONI CON IL TESTO-PAESAGGIO ADRIATICO
1.3 Il medio e il basso Adriatico italiani
1.3.1 D’Annunzio, la novella piscatoria e un delitto a bordo
Nella ricerca di opere di letteratura di mare che contemplino una collocazione geografica nell’Adriatico centrale e assegnino alla nave un ruolo decisivo, non può mancare la novella dannunziana Il cerusico di mare, che fa parte della raccolta Le novelle della Pescara e offre uno sguardo dal taglio insolito sull’ambiente piscatorio centro-meridionale e sulle rotte per la Dalmazia, ridefiniti proprio dalla presenza nella narrazione dell’imbarcazione dei pescatori protagonisti. Si tratta di un trabaccolo che percorre la stretta via navigabile di un fiume nei pressi di Ortona, in Abruzzo, per sboccare sull’Adriatico e cominciare la sua navigazione verso la Dalmazia. Ha nome “Trinità”, è carico di frumento. Ambientazione e stile nulla hanno a che fare con il «Naviglio d’acciaio, diritto veloce e guizzante/bello come un’arme nuda,/vivo palpitante/» ovverosia con la torpediniera che naviga da Ancona a Lissa, in un Adriatico plumbeo e «cinereo», potentemente cantata da
una volta all’anno, è contenuta in un altro reportage, successivo a quello ora analizzato: cfr. E. Rigatti, Il carnevale in kayak “toreando” sul Canal Grande, «Il Piccolo», 7 marzo 2011.
D’Annunzio stesso nelle Odi navali180. Il lettore e l’equipaggio, dopo le prime righe, sono lontanissimi dallo scoprire che un vero e proprio “dramma sull’Adriatico” sta per avere luogo durante quella pesca autunnale. La novella dannunziana, infatti, incomincia come più ordinariamente non potrebbe: il tempo è propizio, così come il mare, l’ambiente adriatico risplende con tutti i suoi elementi, spesso enfatizzati dall’uso di similitudini:
Il tempo era benigno. Nel cielo di ottobre, quasi a fior delle acque, la luna piena pendeva come una dolce lampada rosea. Le montagne e le colline, dietro, avevano forma di donne adagiate. In alto, passavano le oche selvatiche, senza gridare, e si dileguavano181.
Si noti come la prosa descrittiva presenti motivi adriatici già osservati e analizzati in precedenza nello svolgersi di questo capitolo, quando protagonisti sono i trabaccoli e le paranze della sponda adriatica italiana. Ecco allora gonfiarsi le vele del trabaccolo “Trinità”, anch’esse ornate di propri, inconfondibili e unici segni identificativi, così come d’abitudine nel già più volte menzionato motivo dell’araldica velica, molto presente nella letteratura dell’Adriatico e del mare, «colorate in rosso e segnate di figure rudi»182, scrive D’Annunzio. Dopo alcuni incontri casuali e non certo infrequenti con altre paranze, durante i quali sono d’obbligo le urla di saluto, il trabaccolo rimane da solo nel mare deserto, ed è in questa fase che il ritmo della narrazione subisce un’accelerazione, un incremento di pathos, a causa della vicenda personale di un marinaio, Gialluca, infastidito da un doloroso rigonfiamento sul collo, malanno che sembra peggiorare ora dopo ora.
Qui comincia un appassionante alternarsi di voci, situazioni, e fondali adriatici, che vedrà come punti di vista fissi dello schema narrativo Gialluca, il trabaccolo, il Mar Adriatico e, più tardi, la luna. Inizialmente il malcapitato membro dell’equipaggio e i legni della “Trinità” sembrano uniti in una sorta
180 G. D’Annunzio, Odi navali, in Id., Versi d’amore e gloria 1, Milano, Mondadori, 1993, p. 710.
181
Id., Il cerusico di mare, in Id., Tutte le novelle, a cura di A. Andreoli e M. De Marco, Milano, Mondadori, 1992, p. 358.
di simbiotica alternanza narrativa: al peggiorare delle condizioni di salute (e al sempre maggior rigonfiamento del purulento bubbone) risponde un peggioramento delle condizioni meteomarine, con conseguente alterazione e sconvolgimento dell’ambiente interno dell’imbarcazione e dunque degli stati d’animo dell’equipaggio. Gialluca continua a mostrare il suo malanno a diversi compagni di navigazione, che all’inizio nicchiano, minimizzano. Il trabaccolo, intanto, segue suo malgrado i capricci del mare che va ingrossandosi. Mentre l’insidioso malanno sul collo di Gialluca peggiora, dunque,
Il trabaccolo si mise a ballare sopra le onde, trascinato a levante, perdendo cammino.
[…] scosso dai cavalloni […] fuggiva ancora verso levante. […] Il romore del mare copriva le voci. Qualche onda si spezzava sul ponte, ad intervalli, con un suono sordo183.
All’irrompere della temuta bonaccia le vele si afflosciano e la luna diventa una “cupola di fuoco”. I momenti di bonaccia si alternano a improvvise folate di vento che rianimano temporaneamente il trabaccolo, soprattutto nella zona di Pelagosa. Le condizioni del marinaio, però, sono ancora più travagliate di prima e i compagni a bordo cominciano a rendersi conto della gravità della situazione. Nell’alternarsi di momenti narrativi che virano ormai su toni tesi, l’Adriatico, il cielo che lo sovrasta e tutto l’ambiente circostante (compreso quello faunistico) appaiono torvi, oscuri, perfettamente e volutamente in sintonia con la tensione narrativa necessaria a rendere i toni del racconto più ritmicamente drammatici, nonché ad agire sullo stato d’animo del marinaio malato e ormai preda di allucinazioni:
Come il cielo era coperto di vapori e il mare appariva cupo e stormi di gabbiani si precipitavano verso la costa gridando, una specie di terrore scese nell’animo di lui184.
183 Ivi, p. 359.
E, di rimando, il trabaccolo
si piegò tutto sopra un fianco. […] Le vele in un momento furono ammainate: rimasero i due fiocchi. […] un’ondata più forte si rovesciava su la prua: l’acqua salsa invadeva il ponte da un capo all’altro185.
Il legno scricchiola sinistramente sotto i fendenti dell’Adriatico in tempesta, mentre l’equipaggio è protagonista di un macabro e surreale conciliabolo sul da farsi, fino a decidere di tagliare via con un coltellaccio il purulento bubbone di Gialluca. Mare e luna sono ancora gli unici sipari o fondali visibili, alternandosi nelle entrate in scena necessarie anche ad alleggerire temporaneamente la tensione. Nel momento più intenso, quello del tentativo di asportazione, è il trabaccolo a dirigere involontariamente la direzione dei fendenti del coltello, incolpevolmente guidato dal mare agitato:
Come il trabaccolo barcollava, il taglio riusciva ineguale; il coltello penetrava ora più, ora meno. Un colpo di mare fece affondare la lama dentro i tessuti sani186.
Mare, cielo e mezzo di trasporto, in questa tempestosa cornice adriatica, con il progressivo ingrossamento dell’uno e il sempre maggior beccheggio dell’altro, esercitano un influsso decisivo non solo sul momento narrativo più appassionante, ma anche sugli stati d’animo di tutti i membri dell’equipaggio, ormai eccitati oltremisura, dei quali si può immaginare l’eccitazione che trasfigura il loro volto dopo la rozza operazione chirurgica.
Il frenetico alternarsi narrativo tra le condizioni di salute di Gialluca, ormai moribondo, culminerà con una sincronia scenico-metaforica: la morte del marinaio e la falla apertasi sullo scafo, che prelude a un possibile naufragio. Ferito a morte l’uomo e danneggiato gravemente lo scafo, il corpo lacerato e il legno squarciato: la falla, e il conseguente tumulto dell’equipaggio che cerca di tapparla, consentono a Gialluca un ultimo,
185 Ibidem.
drammatico guizzo di paura, di vita, per morire finalmente, vinto dall’infezione.
Superato l’apice narrativo, condizioni meteomarine, trabaccolo e protagonista ormai deceduto sembrano comunque uniti da un invisibile filo, con la tempesta ormai passata, le acque che vanno acquietandosi, le vele che si afflosciano, vinte dalla bonaccia, fino a far scorgere i nudi pennoni e l’isola di Solta (Šolta). È proprio lì che si dirige la “Trinità”, dopo che l’equipaggio si è sbarazzato del suo compromettente e lugubre carico, ancora stordito dall’inquietudine causata dall’omicidio appena commesso. Dopo aver imboccato lo stretto tra le isole Solta e Brazza (Brač), le vele, benedette dal vento, tornano a gonfiarsi: al trabaccolo pare venga donata nuova vita. Il mare e l’ambiente circostante sono ormai rabboniti, depurati dall’atmosfera sanguinosa del delitto: «La luna illuminava le rive. Il mare aveva quasi una tranquillità lacustre»187.
L’epilogo della novella è suggellato da un incontro nautico e adriatico: quello della “Trinità” con due suoi “omologhi”, trabaccoli di Pescara dalla festosa e canterina ciurma, che sono di recente salpati dal porto di Spalato (Split). Sfiorandosi fluttuando sull’Adriatico orientale, gli equipaggi si riconoscono, si chiamano a vicenda urlando e salutando, e alcuni domandano di Gialluca: la menzogna è inevitabile, egli è dichiarato disperso, caduto in mare dal trabaccolo nella tempesta. I navigli si congedano, proseguono la loro navigazione con la promessa di ritrovarsi a Pescara, e la luna adriatica chiude l’intero quadro.