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Sguardi nord-adriatici da piccole barche: Fulvio Molinari

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 188-191)

IL MEZZO NAUTICO E LE SUE INTERAZIONI CON IL TESTO-PAESAGGIO ADRIATICO

1.4 Adriatico orientale, Quarnero, Dalmazia, Albania e area balcanica

1.4.9 Sguardi nord-adriatici da piccole barche: Fulvio Molinari

Frammenti di prosa dedicati al piccolo cabotaggio, alla pesca e ai pescherecci, con vivi segnali di micro-odeporica adriatica, sono contenuti in alcune opere dell’istriano Fulvio Molinari, giornalista, uomo e scrittore di mare. Sguardi adriatici e nautici concentrati e minimalisti si possono individuare cominciando da La cagnassa e altre storie istriane di mare, raccolta di racconti pubblicata nel 1981.

Nel brevissimo Il viaggio, per esempio, le vicende di una piccola e agile barca e dei suoi due occupanti che navigano per le coste istro-quarnerine fungono ottimamente da collante narrativo di un quadro adriatico filtrato dall’aggraziato incedere del mezzo nautico. Immediatamente presentata in similitudine con un delfino nell’incipit marinaresco, la “Aloha” fila tra i profili costieri dell’ultimo lembo meridionale d’Istria, nella zona di Capo Promontore (Rt Kamenjak). Il paesaggio insulare adriatico gioca a mostrarsi e scomparire tramite le evoluzioni della barca e aiutato dalle nuvole che ammantano il Quarnero, in un orizzonte quasi nordeuropeo:

[Il timoniere] aveva sperato di vedere l’isola [quella di Sansego] appena lasciate sulla sinistra le scogliere di Promontore, ma sul Quarnero si era disteso un velo di nuvole basse e grigie: bisognava affidarsi alla bussola282.

Ma nel racconto non c’è soltanto il paesaggio brumoso e seminordico. Lo spostamento della narrazione a est dell’Istria, infatti, innesca quello che dal punto di vista di questa ricerca può individuarsi come un doppio nodo di convergenza sulla barca adriatica, da intendersi allo stesso tempo come elemento secondario (e intensamente scenografico) della narrazione e come attiva protagonista che traccia le coordinate topiche della prosa stessa. La “Aloha”, infatti, grazie al potente maestrale, sfila al largo di Cittanova d’Istria (Novigrad) in un orizzonte maculato di viti, olivi, rive e campagne; nel

282 F. Molinari, Il Viaggio, in Id., La cagnassa e altre storie istriane di mare, Trieste, Italo Svevo, 1981, p. 53.

frattempo, una sorta di contraltare scenico è rappresentato da una nave da tempo affondata e arrugginita, nel porticciolo di Salvore.

Se anche nel racconto La cagnassa sono individuabili alcune canoniche tipologie di microsguardi adriatici in relazione al mezzo nautico, è però un’altra opera di Molinari, il romanzo marino L’isola del muto, a fornire suggestioni e spunti più decisivi, seppur non quantitativamente elevati. La vicenda del muto Stefano e del suo micronaufragio adriatico è intrisa di simboli e metafore sul rapporto dell’uomo con il mare e con sé stesso. Si può leggere con diverse chiavi interpretative: un mini-Bildungsroman adriatico, un protagonista epigono del Robinson di Defoe, nonché uno dei rari esempi di letteratura del naufragio ambientata in quelle acque. Soprattutto, però, ed è quello che più interessa in queste pagine, la vicenda regala seducenti istantanee che prendono diretta ispirazione dalla presenza di profili costieri, manovre di navigazione, narrazione tesa dei momenti di pericolo e disperazione, consolatori e temporanei approdi. La struttura circolare del romanzo si sviluppa grazie a un lungo e centrale flashback, che consente al lettore di entrare in contatto con la breve e avventurosa peregrinazione del

protagonista, pescatore dalmata tenuto lontano dalla sua isola

(un’immaginaria “Isola Esterna”) per colpa del mare in tempesta e costretto, con la sua piccola barchetta preda dello spietato e tagliente vento di bora, a rifugiarsi sullo scoglio di Gronghera (Grunj). Il naufragio del Muto e il lungo tempo passato in solitudine si traducono in espediente narrativo necessario a dare forma a una notazione storico-sociale sulle vicende belliche della Dalmazia di alcuni decenni fa, ma al contempo regalano intense e brevi pagine descrittive, caratterizzate dall’incedere della barchetta, soprattutto nelle fasi di avvistamento del profilo di isolotti e coste, tra marosi e frangenti.

Accade, per esempio, proprio nella descrizione di Gronghera. Preceduto da quadri narrativi che si concentrano sulle tecniche di navigazione e di pesca, e integrato con descrizioni di placide panoramiche dell’isola natia scorta in lontananza, il momento dell’avvistamento di Gronghera irrompe quando, mentre è impegnato a domare lo scafo nella tempesta, il Muto ne scorge improvvisamente la sagoma:

Quando arrivò la prima raffica la vela si gonfiò e la barca fece un balzo in avanti, immergendo la prora. Poi il vento si distese violento, alzando onde corte e rabbiose […]. Allora [Stefano] decise di farsi portare dal vento, sperando di resistere fino a quando non avesse raggiunto l’isolotto Gronghera, a quindici miglia a sud-est della sua isola, uno scoglio brullo e disabitato in mezzo al mare […].

Il Muto non si aspettava che l’isolotto spuntasse dal mare come per miracolo283.

La sensazione di temporaneo sollievo per un possibile approdo è allegoricamente corroborata dalla presenza di un gabbiano284 che si staglia all’orizzonte quasi fermo, in volo battuto. È un’apparizione molto rapida, poiché il volatile si confonde in un baleno con le creste dei flutti, spegnendo la fiamma della speranza che aveva simboleggiato e accrescendo la sensazione di solitudine nel pescatore. Anche la descrizione dell’approdo è “filtrata” dalle manovre nautiche, rappresentate con accuratezza:

Stefano ammainò la randa e sentì sotto le dita che la tela era coperta di sale. Poi mise i remi negli scalmi, si mantenne in piedi e spinse la barca verso il fondo dell’insenatura, dove aveva visto una spiaggia coperta di ciottoli285.

Dopo la parentesi da naufrago, anche durante il difficoltoso ritorno all’Isola Esterna (con cui ci sarà l’ideale chiusura del cerchio cronologico e narrativo) si possono individuare diverse fasi che fanno interagire mezzo e

283

F. Molinari, L’isola del Muto. Storia del pescatore dalmata che parlava ai gabbiani, Milano, Magenes, 2007, pp. 32 e sgg.

284 Quello del gabbiano, individuato in numerose opere menzionate e analizzate in questo lavoro, è uno dei topoi più frequenti e suggestivi della letteratura del mare, e non ci si dilungherà in questa sede sulla storia e l’importanza di tale elemento narrativo in questo sottogenere. Senza scomodare le tante analisi e le notazioni critiche riservate all’albatro di Samuel Coleridge e del suo immortale capolavoro romantico, La ballata del vecchio marinaio (su cui cfr. R. Mussapi, Inferni, mari, isole, cit., pp. 47-60), basti qui aggiungere che il gabbiano, insieme con i delfini, si delinea nella “tassonomia marinara” farnettiana quasi come una sottocategoria del motivo della “collaborazione dell’animale”: cfr. M. Farnetti, Il

romanzo del mare, cit., p. 185. Sul simbolismo romantico di cui è intriso l’ambiente della

nave, e nella cui analisi si menzionano anche le creature del cielo e dunque gli uccelli e l’albatro, cfr. W. H. Auden, Gli irati flutti, o l’iconografia romantica del mare, a cura di G. Sacerdoti, Roma, Fazi, 1995, pp. 95-96.

paesaggio. Manovrando abilmente la vela, il pescatore guadagna lentamente una distanza sempre maggiore da Gronghera, imbattendosi anche in un relitto reclinato su un fianco che si incastra nella narrazione con la funzione di intermezzo scenico. Mentre il rapporto con il natante diventa pressoché simbiotico, il Muto, dopo un approdo di fortuna nella casupola del guardiano di un faro, naviga dunque faticosamente verso la sua isola. Usufruendo di un campo visivo in soggettiva dalla coperta della barchetta, il lettore ha la possibilità di immergersi totalmente nel paesaggio adriatico: sagome montuose che affiorano dal buio, il mare che lentamente riluce con l’alba, le vette dei Velebiti che si intuiscono a distanza, fino all’apparizione della sagoma dell’Isola Esterna. Sorpreso da una bonaccia, il protagonista si trova perfino costretto a pensare all’utilità di un motore in quel frangente, ciò che induce a un confronto con la figura del nonno, testardamente scettico verso la motorizzazione dei natanti da pesca. Benché la riflessione sia di certo estendibile a tutta la letteratura del mare, il mezzo di trasporto nautico diventa anche opportunità di riflessione adriatica sociologica e storica, di analisi della vita delle piccole comunità costiere e isolane protagoniste delle opere.

L’arrivo in porto, il ritorno all’isola patria, chiudono infine il circolo, con l’ennesima, suggestiva immagine catturata dalla barca e la ricomparsa del fausto gabbiano:

Arrivò all’imboccatura del porto che il sole era a metà del suo percorso. […]. Davanti ai suoi occhi si spalancò l’arco della baia. […]. Il Muto aprì la randa per prendere la brezza di poppa piena e diresse la barca all’ormeggio sotto casa. Un gabbiano volteggiò lento, ad ali distese, sopra la sua vela286.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 188-191)