IL MEZZO NAUTICO E LE SUE INTERAZIONI CON IL TESTO-PAESAGGIO ADRIATICO
1.1 Letteratura del mare, imbarcazioni e Mar Adriatico: coordinate critiche e teoriche
1.2.1 Laguna adriatica, trabaccoli e vaporini: Biagio Marin
La cifra poetica e il lirismo di Biagio Marin toccano vette elevate in
Gabbiano reale, opera in cui si percepisce al meglio quel «talento
straordinario nel sentire, nel vivere le proprie immagini e percezioni della realtà in musica, in verso»22. Questo elogio del lirismo mariniano appare ancora più giustificato se si osservano con attenzione le tante immagini dell’Adriatico contenute nell’opera. Marin non si limita a tratteggiarle, non le schizza: spesso le disegna dettagliatamente, altre volte le interpreta come se volesse creare dei piccoli acquerelli letterari. Si tratta di quei “paesaggi dell’anima” mariniani in cui è infuso il gusto dell’autore, imprescindibile dalla dimensione autobiografica e dal passionale e genuino rapporto con la sua Grado, che si fissa al centro della sua poetica in declinazione antica e contemporanea: una staffetta temporale in cui, come si vedrà, fondamentali sono proprio i progressi della viabilità e le evoluzioni tecnologiche relative al mezzo di trasporto23.
in un suo scritto adriatico: A. Marpicati, Itinerario adriatico. Piccolo romanzo di una vela, Roma, Bardi, 1955, p. 77.
22 E. Guagnini, Prefazione a B. Marin, Gabbiano reale, Gorizia, Editrice Goriziana, 1991, p. 9.
23
Cfr. E. Guagnini, Nei paesaggi dell’anima di Biagio Marin. Gabbiano reale, un piccolo
gioiello di romanzo breve, e altre prose rare e inedite, in Id., Una città d’autore. Trieste attraverso gli scrittori, Reggio Emilia, Diabasis, 2009, pp. 100-101.
Ebbene, alla luce dell’analisi testuale condotta, l’interazione tra mezzo di trasporto e paesaggio adriatico (che, trattandosi dei racconti di Biagio Marin, si concretizza naturalmente in un’ambientazione quasi esclusivamente gradese24), rivela una resa letteraria davvero notevole in alcuni racconti brevi della raccolta, dimostrando ancora una volta l’importanza nella struttura e nello stile della narrazione dell’interazione tra luci e colori adriatici e mezzi di trasporto che attraversano o costeggiano il mare e la sua area.
Il breve scritto che apre la raccolta, Arrivo antico a Grado, seppur magistralmente costruito, è in apparenza piuttosto “ordinario”, con la canonica presenza di topoi marinareschi (i brevi e quotidiani tragitti di una linea di navigazione di vaporetti), eppure risulta molto calzante al taglio di questo lavoro. L’incipit da solo valga come concretizzazione del ruolo evocativo del mezzo di trasporto:
La linea che il vapore “Magdala” faceva, tra Grado e Trieste, attraversando in poco più di due ore la serenità ventilata del golfo non era ancora iniziata; i primi ospiti, alla fine del secolo scorso, dovevano arrivare a l’isola, passando da Aquileia25.
Questo incipit nautico e adriatico-lagunare è seguito dalla menzione di un allegro avvicendarsi di mezzi di trasporto (non solo nautici) di ottocentesca foggia, che propizia un succedersi di minime descrizioni di terreni, superfici, orizzonti di quell’area adriatica, che qui si vogliono considerare nel loro unitario alternarsi durante la narrazione. Agli occhi del lettore si manifesteranno dunque prima la ventosa serenità del golfo, poi le strade
24 È lo stesso Marin, in una nota a I canti dell’Isola, a dichiarare la sua consapevolezza di agire poeticamente in un mondo geograficamente molto limitato, ammettendo di aver sacrificato, per amore di quel piccolo universo adriatico piscatorio e lagunare, notevole parte della sua attività di poeta e scrittore. Quei pochi e ripetitivi elementi marini e marinari, del resto, insieme con l’uso del dialetto, sono stati senza dubbio la sua vera forza; come afferma Carlo Bo nel discorso tenuto al Circolo della cultura e delle arti di Trieste il 10 febbraio 1962, «[…] il mondo poetico di Marin non ha nulla di illusorio, non accende la fantasia del momento, è un mondo ostinato e toccato dalla meditazione. Vedete come nel giro di una pagina è costretto a ritornare su pochi oggetti: il lido di sabbia, il mare, la laguna. Un mondo circoscritto e nello stesso tempo infinito»: C. Bo, discorso introduttivo a B. Marin, Elegie
istriane, Milano, All’insegna del pesce d'oro, 1992, p. 26; lo scritto è stato utilizzato anche
come prefazione a B. Marin, Il non tempo del mare, Milano, Mondadori, 1964.
polverose della bassa friulana che alzano piccole nubi a causa degli scalpiccii dei cavalli26. Il viaggio lento tra i profumi adriatici finalmente si interrompe, ed è in quel momento che si verifica un’esplosione cromatica:
Alla stazione di Villa Vicentina, talvolta a quella di Ronchi, li attendevano [si riferisce ai passeggeri, per i quali l’unico mezzo di recarsi a Grado alla fine dell’Ottocento era il carro] pesanti “landau” con i doppi mantici di pelle nera, tirati da un solo cavallo. Al piccolo trotto, che di tanto in tanto si interrompeva, si attraversavano le strade polverose della “Bassa” friulana. […] Così s’aveva tempo di respirare gli aromi della terra nel sole, di godere l’aspetto delle prode delle rogge, tutte fiorite, a giugno, a luglio di margherite, di gigli gialli d’acqua […]27.
Trascorre poco perché Marin ci conduca a bordo di carrozze e vaporetti per un tour della Grado antica, ma anche alla scoperta di un porticciolo nella zona di Aquileia. Il tutto comincia con un’accelerazione del ritmo narrativo, squarciando il quadro descrittivo campestre (con oche e galline che bloccano il passaggio e rallentano il landau, flemmatici buoi che trainano carri di odoroso fieno) con una frase perentoria, quasi da radiocronista, che gli serve per introdurre una notazione para-guidistica:
Ed ecco il cavallo animarsi all’odor della stalla ed arrivare ad Aquileia. Aquileia aveva un minuscolo porto fluviale, su una roggia anche lei piccola, un ruscello addormentato di pianura […] che […] andava a perdersi nella laguna di Grado28.
A questo punto ritornano i vaporetti, opportunamente messi in relazione con la navigazione a vela, con le loro microstorie legate alle tratte da e per Grado considerate entrambe anche da un punto di vista diacronico e sentimentale. Una conferma che le vele, le barche, le navi, tutto ciò che alla
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Tra le righe si potrebbe intuire un velato elogio del viaggio lento, l’unico adatto a dedicare il giusto tempo alle percezioni delle fragranze. Non sarebbe temerario un accostamento alle moderne (e ormai inflazionate, commercializzate e massificate ideologie turistico-commerciali dello slow travel, spesso applicate anche alla ristorazione con la filosofia dello
slow food.
27 B. Marin, Arrivo antico a Grado, in Id., Gabbiano reale, cit., p. 15.
marineria attiene, sono armi letterarie formidabili che esprimono al meglio la loro funzione quando sono inserite in contesti descrittivi situati in area adriatica. Si tratta, inoltre, di mezzi di trasporto che il poeta ha amato intensamente nella sua esistenza, soprattutto il suo caicco “Gabbiano”, come confermano le parole che la figlia Gioiella affida a un’intervista29.
Due modi di navigare per la laguna lontani nel tempo, diversi, il secondo e più recente dei quali è documentato e riportato su pagina da Marin con dovizia di descrizioni “tecniche”, indotte da ricordi e rievocazioni personali, con un taglio che si avvicina al registro specialistico. In quella esigua manciata di miglia nautiche, per quella stretta lingua acquatica, dunque, fluttuava prima
una semplice barca lagunare, a forza di remi, e con l’aiuto del vento. La grande vela gialla sormontava gli argini e passava, silenziosa, nel cielo incantato, come una grande farfalla.
Poi venne un vaporino che saliva il fiume ansimando e fioriva le verdi solitudini della bassa estrema, col suo pennacchio nero di fumo. Io lo ricordo quel vaporetto: era il “Grado”; l’avevano comperato, non so dove, ma aveva una cabina di prora, e, una, più comoda e ventilata di poppa. E anche sul ponte di poteva stare […]30.
Il paesaggio adriatico lagunare attira inevitabilmente gli sguardi dei viaggiatori. E allora lo scrittore, complice l’inserimento di alcuni accorgimenti scenici ben collaudati come anatroccoli, canneti, piante e lo stesso vaporetto, crea situazioni lievi, sospese, dal forte senso cromatico, fiabesche. Il cuore meccanico del piccolo mezzo nautico, lo stantuffo e il suo ritmo, si fondono perfettamente, compenetrandosi, con queste oniriche atmosfere:
[…] mentre, allegramente fumando e brontolando, il “Grado” scendeva la lenta correntia della fiumara, era pur dolce cosa guardare le canne ai
29 In un’intervista apparsa sul quotidiano triestino «Il Piccolo», Gioiella Marin, parlando del padre, dichiara che «quando era più giovane […] finiva il suo lavoro in ufficio, andava al porto, saliva sul suo “Gabbiano” - una barca a vela, un caiccio bianco - e andava a farsi una bordeggiata fuori, in mare. Erano i primi anni Trenta»: R. Sanson, Biagio Marin, felice sul
suo Gabbiano, «Il Piccolo», 23 dicembre 2010.
margini piegare sotto la scia prepotente del vaporino, che, nel piccolo fiume, pareva così grande. Era tutto un mondo di fiaba. Le anatre, al nostro sopravvenire, si facevano tranquille lungo i margini, ballonzolando nell’onda della scia, che talvolta le sommergeva.
[…] I bordi degli argini, erano costellati di margherite alte e ridenti, di fiori violacei, di fiori azzurri. Le poiane si levavano dai campi vicini. […] E anche il ritmo dello stantuffo, finiva per intonarsi al sogno, al silenzio, a quell’aria di incantamento, di terra dimenticata31.
Il viaggio per l’Adriatico lagunare prosegue. Il paesaggio microinsulare, le acque semitorbide, il lento moto del pigro vapore non tardano a esercitare i loro influssi non soltanto sull’umore dei passeggeri a bordo, italiani e non, ma soprattutto sulle fasi della narrazione. Ecco un esempio della magica interazione tra spazio, tempo e mezzo di trasporto nautico, della dilatazione e deformazione del tempo soggettivo, che sfocia in un suo annullamento in favore di una dimensione nuova, diversa, da cui farsi travolgere:
[…] ognuno lasciava che il vento gli portasse quello spazio nel sangue, nell’anima e lo dilatasse in un soffio senza sosta, a nuova creatura. Nessuno più ricordava la propria quotidianità […]. E il vaporino girava e girava, seguendo il capriccioso vagabondar del canale […]32.
Il momento dell’arrivo rappresenta sempre una concentrazione di implicazioni metaforiche e topiche, e l’arrivo a destinazione di questo vaporetto lo conferma. In questa occasione, esso è vettore di personalità e volti nuovi, diversi, che per giunta provengono dalla terraferma. Dal ponte tutti gli occhi sono per la cittadina lagunare, il cui profilo si manifesta d’improvviso. La gente che affolla i moli, da parte sua, pare non attendere altro che il fischio del vapore, a bordo del quale e solo grazie al quale arrivano sull’isola «gli uomini delle terre lontane. Parlavano spesso altri linguaggi, erano vestiti in strane fogge […]»33. Il vaporetto si delinea dunque come
31
Ibidem.
32 Ivi, p. 17.
contenitore e vettore di variegata ed “esotica” umanità. Un marchio pressoché etnoantropologico o sociologico, accentuato dal contrasto tra l’area adriatica dell’immediato entroterra e quella dalla duplice declinazione (topologica e morfologica) lagunare e insulare.
Le atmosfere mariniane si ripropongono in un altro racconto presente nella raccolta e intitolato semplicemente Grado34, che però si segnala per una sua peculiare sfaccettatura: l’importanza e la ricerca di quel senso di irreperibilità periodica che il viaggio ci regala, grazie ai suoi meccanismi interconnessi del distacco e del ritorno. Anche in questo caso è interessante osservare come si possono far convergere i due temi odeporici, incorniciandoli nell’area adriatica della laguna e filtrandoli servendosi anche del prezioso mezzo di trasporto natante.
Partendo da una considerazione preliminare incentrata sul concetto del distacco, lacerante soprattutto quando i bambini dell’isola erano costretti a lasciare le loro case per l’attività piscatoria e ne rimanevano lontani per molti mesi, Marin dipinge il consueto quadro a sfondo marinaro e piscatorio. L’imbarcazione (a vapore) entra in scena, in questo racconto, proprio al momento del ritorno a casa. Con che altro, se non con il mezzo a vapore, si assapora il gusto del ritorno in quell’area? Quale altro mezzo potrebbe concedere agli occhi il privilegio di essere i primi testimoni dell’agognato ritorno a casa? Dopo aver descritto l’entrata a Grado, con stilemi tipici della sua poetica, Marin affida infatti proprio al vaporetto il compito di simboleggiare in tutta la sua navigante materialità la necessità della lontananza. Il senso di attaccamento alla natia isola, il valore del ritorno come maturazione e formazione sono accomunati e trasposti visivamente nella veduta del campanile sormontato da un angelo, immagine potentissima dal punto di vista metaforico-simbolico:
Un vaporino piccolo piccolo, scendeva giù per la Natissa, da Aquileia alla laguna, e seguendo e rimontando i grandi canali, ci riportava nel cuore di
34 Parte di questo racconto offrirà interessanti spunti di analisi anche per il capitolo dedicato all’Adriatico e all’automobile: cfr. cap. 3, par. 3.2.1.
Grado. Alla svolta della valle che ha il nome Ravaierina, di fronte, quasi a chiusura del canale di San Piero, si presentava, a fior di acque, il paese. Innanzi a tutto il campanile, con in vetta l’angelo […] che era la calamita dei nostri cuori35.
Ulteriore spunto di riflessione, e contributo mariniano a questo lavoro, viene dalla lettura e dall’analisi di un altro racconto, intitolato Il paesaggio. Qui la tematica lirico-sentimentale si sposta dalla terra d’origine all’Istria, e subentrano due elementi che lo rendono meritevole di analisi: la filigrana rappresentata dal mezzo di trasporto (navigante) e il concetto di musica e musicalità, di suoni emessi dal mare e dai mezzi stessi. Anche in questo caso l’Adriatico è esaltato nella sua potenza descrittiva, nell’alternanza del colore e nei giochi di luce tra cielo e acqua. Spettatori non passivi e tutt’altro che comprimari sono i rumorosi e “parlanti” trabaccoli, che perfezionano l’atto descrittivo grazie al loro sventolar di vele, sebbene i suoni prodotti si sovrappongano a uno sfondo di tristezza, quasi di dolore. Ed è a questo punto che il canale auditivo, esaltato anche dalla navigazione sul trabaccolo, aumenta la sua percettibilità. L’Adriatico notturno risuona in ogni anfratto della frastagliata scogliera istriana, portando addirittura conforto a quella terra. Coordinate foniche (consistenti soprattutto in strepitii e risacche), ma anche cromatiche e proprie del mondo della navigazione in generale si combinano felicemente, creando una sorta di piccola orchestra notturna che allieta le orecchie e l’animo del lettore, oltre ovviamente a quello del narratore, che proprio grazie alla navigazione può goderne appieno e trasmetterle adeguatamente e intensamente alla pagina. Dopo che i sensi del lettore sono dunque stati sollecitati dall’Adriatico e dalla sua rappresentazione “filtrata”, è sotto la lente del mezzo navigante che si conclude beatamente la scena, con lo sfondo bianco e abbagliante di Umago (Umag) e con i trabaccoli che «[…] con vele ammainate, dormono a l’ancora»36.
Se Gabbiano reale apre un mondo sulle ambientazioni adriatiche e sui mezzi di trasporto del Marin prosatore, nella raccolta di reportage Le due rive
35 B. Marin, Grado, in Id., Gabbiano reale, cit., p. 22.
emerge chiaramente la figura del Marin corrispondente giornalistico. Struttura e stilemi di questi articoli non lasciano dubbi nel concordare con quanto si scrive nella prefazione: anche nel caso di articoli giornalistici, appare decisa la prevalenza del Marin scrittore sul Marin giornalista37, tanto da poter affermare che le prose in esame sono molto più vicine al racconto breve che alla forma del reportage. Alla struttura giornalistica, infatti, si sovrappone il racconto di viaggio personale, sull’onda della memoria. Ciò comporta che, anche nell’analisi di ciò che attiene a questo lavoro, tutto sarà inquadrato in stili e descrizioni che traslano i mezzi di trasporto naviganti nella dimensione autobiografica, nella cornice lirica. E di mezzi se ne evocano tanti, nelle pagine giornalistiche di Marin, e non solo di navigazione. La dimensione onirico-autobiografica, infatti, è costruita su un allegro susseguirsi di arrivi, partenze, ritorni, viaggi per mare e per terra, con l’esaltazione descrittiva del paesaggio adriatico-istriano.
Sin dal reportage iniziale, Incontri con l’Istria, nella prosa descrittiva il mezzo di trasporto nautico emerge come elemento fortemente legato alle vicende dell’infanzia dell’autore e ai paesaggi istriani e adriatici. È proprio il trabaccolo che unisce così saldamente il poeta, bambino, e suo padre, che per lavoro effettua continue spole con l’Istria, riportando a casa non solo merce varia (vino, legna, frutta), ma anche il sapore e la visione di quei paesaggi, di quei porti, delle rade, i cui racconti sono una manna per la sete di conoscenza del bimbo. È solo per mezzo di quel trabaccolo di famiglia che l’evocata Istria potrà manifestarsi nella realtà davanti agli occhi del bambino, uscendo dal bozzolo della costruzione fantastica operata nell’infanzia, pur rimanendo inondata da una luce fiabesca. Riuscire a salire sul trabaccolo per compiere la piccola traversata adriatica con il padre, realizzare l’insistente e solo in apparenza capriccioso intento di bambino, vedere quel mondo formarsi materialmente nella navigazione accanto al genitore e negli approdi alle “fatate” cittadine istriane: sulla descrizione di queste tematiche si basa soprattutto quest’opera di Biagio Marin. Il trabaccolo paterno rappresenta, per
37 Cfr. E. Guagnini, Presentazione a B. Marin, Le due rive. Reportages adriatici in prosa e in
ammissione dello stesso piccolo protagonista, un vero e proprio mondo galleggiante, un microcosmo che si sovrappone a quello delle cittadine, delle rade, dei porticcioli, che conduce a un altro universo più affascinante, più attraente: «Già il trabaccolo si era rivelato un mondo. Ma là in prora oltre il molo c’era l’Istria»38.
Nello scorrere dell’opera, una deliziosa costante si manifesta in un “triangolo narrativo” i cui vertici si identificano nel trabaccolo, nella figura paterna e ovviamente nel Mar Adriatico. Ecco un passo molto significativo, in cui il potere evocativo della parola, le suggestioni dei paesaggi e degli scorci adriatici, la navigazione del trabaccolo e il padre narratore sono i tasselli di quel mosaico che compone l’ambiente fiabesco:
Il trabaccolo […] andava allegro con appena qualche lieve rollio, verso Umago. Ricordo la meraviglia delle case che mi parevano uscissero dal mare, e poi la rada bellissima.
[…] Ero tutt’occhi. E mio padre diceva il nome di ogni punta, di ogni secca, di ogni rada. E ogni nome suonava in me come una parola magica, che mi aprisse nuove prospettive39.
Anche in questo breve reportage-racconto, dunque, come già tante altre volte notato nelle pagine precedenti di questo lavoro, la dimensione temporale dell’Adriatico pare affievolirsi, dilatarsi, diluirsi. Complice insostituibile di tale deformazione è il placido naviglio, che viaggia privo di motore: proprio tale assenza è, paradossalmente, uno degli elementi che meglio incidono sulla dinamica del viaggio.
In Orsera, reportage quasi omologo di Incontri con l’Istria, si ripresenta la figura del trabaccolo. Stavolta, però, esso sembra avere un ruolo leggermente più incisivo, soprattutto con riguardo al potenziale visivo, nella sua pesante lentezza, immediatamente manifestata su pagina. Navigando, il barchino offre al bimbo la possibilità di imprimere nei suoi futuri ricordi le immagini in movimento di Umago, di Daila, di Parenzo (Poreč). Il paesaggio
38 B. Marin, Incontri con l’Istria, in Id., Le due rive, cit., p. 28.
della costa occidentale dell’Istria muta molto lentamente, e con esso i nomi delle città costiere che dal trabaccolo si avvistano lontane, sulla terraferma. La lenta navigazione, inoltre, non influisce soltanto sulle immagini della narrazione, ma anche sugli oggetti di bordo e sulla superficie acquea, nonché sul pigro alternarsi cronologico-narrativo del giorno e della notte. Tutto l’Adriatico è rappresentato all’insegna della levità: l’incedere del trabaccolo sul mare «di vetro turchino», le «bave stanche» di settembre, l’arrivo della sera «con tanto svenirsi della terra a levante nel celestone, con tanta perla spenta a ponente»; lo scricchiolio dei pennoni a bordo è «lieve», il beccheggio del trabaccolo è «appena accennato»40. Nel momento di descrivere il morire della notte e il sorgere del sole di un nuovo giorno, le vele del trabaccolo diventano «madide di guazza notturna e di tristezza» 41, veri e propri “oggetti parlanti”.
Situazioni molto simili a quelle di Orsera si ritrovano in Gita a Daila. Presentando senza indugio all’inizio del reportage le vicende dell’infanzia e la magica presenza del trabaccolo paterno, in queste righe troviamo una maggiore attenzione dedicata proprio al naviglio, al viaggio per mare, alla meravigliosa esperienza di bimbo piacevolmente racchiuso tra le assi galleggianti. Anche qui i vivificanti richiami per la fantasia infantile sono le