IL MEZZO NAUTICO E LE SUE INTERAZIONI CON IL TESTO-PAESAGGIO ADRIATICO
1.1 Letteratura del mare, imbarcazioni e Mar Adriatico: coordinate critiche e teoriche
1.2.4 Pasolini, Biasutti e la laguna veneta
Esiste una precisa rappresentazione, per quanto secondaria e non immediatamente percepibile nella lettura, dell’Adriatico e della sua area anche in alcuni racconti di Pier Paolo Pasolini, e si tratta di una rappresentazione nella quale i mezzi di trasporto nautici sono marcati protagonisti. Un esempio ne sia il racconto intitolato Il marocchino88. L’incipit fumigante genera una sensazione di immobilità, con un’atmosfera generale che si potrebbe assimilare agli effetti di un processo di sublimazione della materia, e che si collega perfettamente alla rarefazione dei toni descrittivi.
Che tipologia di Mar Adriatico è quella con cui si entra in contatto grazie a questo racconto? Veneziana, innanzitutto. E poi: lagunare, immobile, di una staticità da dagherrotipo tardo-ottocentesco, maggiormente impreziosita dalle assenze della folla-personaggio, dato che la vicenda si svolge durante l’ultimo giorno dell’anno. Ancora una volta, a comporre e dirigere l’atto descrittivo sono dei mezzi di trasporto, in un fondale costituito da nebbiose banchine che danno forma, amplificandoli, a suoni distinti ma imprecisati. Ci sono, poi, le gondole, inevitabilmente e a centinaia, e finalmente un battello che navigherà da Venezia a Chioggia, destinazione del protagonista Biasutti, che si reca nella cittadina lagunare a trovare C., un anziano “amico letterato” di cui nel testo compare solo l’iniziale89. Proprio grazie all’iniziale istantanea
87 Id., Avventure in laguna, in Id., Un gatto attraversa la strada, Torino, Utet, 2006, pp. 190-191.
88 Il racconto fa parte di Il disprezzo della provincia, romanzo-pamphlet dalla lunga e complicata genesi creativa ed editoriale, un’opera incompleta che si fermava al primo capitolo e la cui prosecuzione è stata per lungo tempo considerata perduta, prima del rinvenimento alla fine degli anni Novanta del secolo scorso da parte di Walter Siti, che ha pazientemente ricostruito l’opera. Cfr. la notizia sul testo in P. P. Pasolini, Romanzi e racconti, Vol. 1:
1946-1961, a cura di W. Siti e S. De Laude, Milano, Mondadori, 1999, pp. 1683-1692.
89 Il misterioso “C.” non è altri che Giovanni Comisso. L’episodio qui analizzato prende infatti spunto dai fatti avvenuti nella notte di Capodanno del 1950, festeggiato da Pasolini a
narrativa del battello, ormeggiato in attesa degli ultimi passeggeri, la dimensione lagunare fosca e lieve di questa zona adriatica imperversa, con il traghetto che
attendeva pronto, bianco e vuoto, in fondo alla passerella. Era un vecchio battello, tozzo largo, e, si sarebbe detto, anche un po’ ridicolo; tutto verniciato di bianco, ma ormai da molti anni, così che nel candore della nebbia, quel bianco appariva oleoso e chiazzato, come una tovaglia in una cucina piena di mosche90.
L’atmosfera di sospensione e stordimento, di adriatica e lagunare fluttuazione, si rompe improvvisamente proprio grazie alla sirena del traghetto in partenza, ennesimo esempio dell’utilizzo di attrezzatura di bordo (agendo sul canale auditivo) per incidere sul dipanarsi della vicenda e sul percorso della narrazione. Il battello, zoomorfizzato in un possente e macilento bove, con la sua mugghiante sirena, si stacca fin troppo lentamente dal molo, forse sottraendosi malvolentieri alla vista di quel paesaggio veneziano, con la Riva degli Schiavoni che si allontana dal quadro. Il senso di levità aumenta, rendendo la situazione e le ambientazioni quasi diafane, spettrali, e le acque adriatiche che dividono la Riva degli Schiavoni dalla Giudecca sembrano quasi non essere affatto solcate dal battello, accostato ora con efficace similitudine addirittura alla nave del Purgatorio, mentre si lascia scorrere a poppa la Giudecca e si invola verso il canale che apre alla laguna, procedendo verso Chioggia. L’effetto paralizzante e pressoché melodrammatico che il ritmo di navigazione del battello, le acque adriatiche stagnanti e di un solingo pallore, la commovente e intristente potenza del paesaggio veneziano hanno sul protagonista è devastante:
[…] non mancava nulla a rendere quell’ora – che passava lentamente, col ritmo del battello in corsa nell’azzurro consunto e levigato di un Adriatico
Venezia in compagnia dello scrittore veneto e di Nico Naldini: cfr. la notizia sul testo in P. P. Pasolini, Romanzi e racconti, cit., p. 1684.
90 Ivi, p. 480. I curatori precisano che il lemma /largo/ era stato sostituito dall’autore, nel manoscritto originale, con altro, indecifrabile.
roso dalla malinconia e dall’ignoto – l’ora delle prime pagine di un romanzo91.
E i personaggi di questo romanzo ideale sarebbero proprio i pochi passeggeri del bianco traghetto, che della poeticità di quel viaggio non possono cogliere nulla, annichiliti dalla sensazione di banalità e familiarità estrema che la quotidianità di quelle miglia marine percorse nella laguna provocano in loro, stravaccati a poppa, sotto coperta. È d’obbligo notare come la struttura stessa del battello e le sue coordinate spaziali, il suo ruolo narrativo in questa fase del racconto, si tramutino in pretesti scenico-narrativi per suggerire alcune considerazioni sull’esistenza o sulla possibilità di esistenza di una “gente adriatica”, autoctona, intrisa di Adriatico perfino negli indumenti che altro non simboleggiano che i suoi geni, o quantomeno il genotipo di una delle molte adriaticità possibili, e incapaci di sentirla sulla pelle, di apprezzarla, nemmeno lontanamente di stupirsene.
Il senso di progressiva immobilità si fa più opprimente, tanto che, alla fermata di Malamocco, la tecnica del movimento impiegata nella descrizione odeporica opera un ribaltamento scenico: adesso è l’isola che pare avanzare verso il battello, e non viceversa. Il tempo incombente e oggettivo della navigazione è ormai sovrapposto a quello interiore di un angosciato Biasutti, il quale è indotto a immaginarsi prigioniero del battello che naviga sulle acque stagnanti e anodine di quella zona adriatica, un battello-carcere navigante e creatore di immobile e putrescente noia. Non gli resta che cambiare il suo punto di vista, spostandosi dal suo osservatorio abituale e calcando gli altri ambienti del traghetto, cercando nuovi personaggi per quel romanzo adriatico intimo e mentale che sta elaborando. Il mezzo, intanto, avvicinandosi a Chioggia offrirà spunti e materia di osservazione. Il bar è frequentato da un’umanità adriatica che Biasutti cerca di interiorizzare e assimilare con la sua analisi curiosa e parasociologica, che non può prescindere dal paesaggio che scorre, soltanto intuito, subodorato. Ragazze, vecchietti, operai, ragazzini dai
logori panni, donne che spettegolano in dialetto chioggiotto; è una serie di banali esistenze per le quali
quel braccio di Adriatico era così familiare, aveva un’aria così corrotta, prosaica – entrato coi suoi stupendi scorci di mare semiabbandonato, declinato col Leone di San Marco, nei pettegolezzi di quelle donne che vivevano ai suoi margini desolati e inospitali92.
L’avvistamento di Chioggia interrompe questa inusuale analisi antropologica a sfondo adriatico lagunare. La prua del battello è il segnale visivo dell’arrivo, dirigendo la sua estremità verso uno sfondo di acque e cieli che si punteggiano di luci notturne, con le acque adriatiche lagunari che verdeggiano per effetto dell’imbrunire, quasi fossero vaste distese di orti. Dopo il brevissimo soggiorno (solo una notte, quella di Capodanno) di Biasutti e C. a Chioggia, di cui poco traspare nella narrazione e tanto si lascia alle più o meno implicite deduzioni e fantasie del lettore, giunge per il primo il momento del ritorno a Venezia, accompagnato dallo stesso C. e da Evelino, un ragazzo conosciuto a Chioggia. Si ripropone, ovviamente, lo scenario semovente evocato dal vapore con il suo microuniverso, ma questa volta l’atmosfera del ritorno sarà più desolata, e il mezzo di trasporto vi contribuirà con la presenza e l’azione dei suoi ambienti di bordo. Lo spazio interno del battello si rivela subito meno propizio alle meccaniche della meditazione, dell’intimità, essendo più grande e meno confortevole di quello del giorno prima. L’ambiente situato sottocoperta consiste in uno stanzone buio, vuoto, desolato e movimentato soltanto da anonime file di lignee e vuote panchine, comunicando lo squallore tipico di certe sale d’aspetto. È lì che C. troverà conforto nel sonno, isolandosi dalla scena narrativa e lasciando Evelino e Biasutti da soli sul ponte del traghetto, con Chioggia che nell’albeggiare si allontana all’orizzonte. Il battello e i suoi ambienti provocano dunque uno sdoppiamento scenografico: da una parte l’anziano scrittore, reso passivo e dormiente spettatore, fagocitato dalla pancia rassicurante del vapore; dall’altra, allo scoperto, i due interlocutori sul ponte. L’uso del
paesaggio adriatico, nell’interazione con i suoni che provengono dal ventre del battello stesso, provvede a innescare un adeguato effetto precorrente, abbinando l’immagine dinamica e filmica della città lagunare che diventa una lingua di terra sempre più sottile e invisibile al silenzio dell’ambiente di
bordo, periodicamente interrotto soltanto da meccanici intervalli
artificialmente creati:
Chioggia, allontanandosi, si allungava e si appiattiva; comparve la dentellata fila di case di Sottomarina; nel battello nessun rumore tranne quello delle macchine93.
Alla comparsa di questo scenario seguirà il dialogo, sempre più confidenziale e rilassato, tra Evelino e Biasutti, mentre il cangiante paesaggio adriatico è utilizzato come intermezzo narrativo, con un mare dal fondale luminescente ma oleoso, e i ben noti profili della laguna veneziana che si ripropongono allo sguardo, salutati dalla sempre mugghiante sirena.
La presenza di un Adriatico lagunare è ribadita in Avventura adriatica, un altro racconto pasoliniano, del 1950, la cui stesura originaria appartiene agli anni friulani, ma che fu perfezionato durante il primo anno di permanenza a Roma94. Ci si trova ancora di fronte all’ambiente lagunare veneto: non quello collocabile intorno a Venezia, bensì quello compreso tra Caorle, Jesolo e la foce del Livenza. Quattro ragazzetti in bicicletta pedalano verso il mare, ebbri dalla gioia di tuffarvisi con gli occhi prima che con il corpo, con il paesaggio caorlotto a scandire le tappe di avvicinamento: case multicolori, canali affollati da barche e piccoli pescherecci, il campanile. Giunti sulla spiaggia, fanno conoscenza con altri ragazzetti del posto, la comitiva si allarga e con essa aumenta la voglia di avventura. Dopo aver pranzato e bighellonato sulle spiagge, si recano tutti sulla riva del fiume Livenza e rimediano in prestito da un pescatore una barchetta, per avventurarsi in aperto Adriatico dalla foce del fiume. Spintisi al largo, ecco che il testo-paesaggio adriatico e lagunare torna a occupare il proscenio in maniera quasi esclusiva, con la
93 Ivi, p. 489.
dilatazione spaziale dei suoi scorci dovuta alla distanza guadagnata dalla comitiva a bordo della barchetta. Riappare Caorle, con i suoi capanni arancione, fronteggiata dal litorale «selvaggio, disabitato, senza colore»95. Componente scenica complementare è lo specchio d’acqua, color oro e dal fondale «cosparso di stelle e di granchi, con l’ombra azzurra della barca»96. Proprio quest’ultima sarà abbandonata sulla foce di un fiume dall’allegra comitiva, che si conquisterà un altro pezzo della sua avventura adriatica, avanzando a piedi tra le canne palustri multicolori e ondeggianti.
1.2.5 Imbarcazioni, canoe, turbamenti e infanzia perduta: