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Franco Masiero e le rotte dalmate della Serenissima

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 181-186)

IL MEZZO NAUTICO E LE SUE INTERAZIONI CON IL TESTO-PAESAGGIO ADRIATICO

1.4 Adriatico orientale, Quarnero, Dalmazia, Albania e area balcanica

1.4.6 Franco Masiero e le rotte dalmate della Serenissima

L’opera odeporico-nautica Sulle rotte della Serenissima, affascinante resoconto di viaggio adriatico costruito da Franco Masiero sulle scie delle antiche galee veneziane, presenta una metodologia di redazione che si riflette anche sul sottomotivo adriatico in esame. Il resoconto, citato più d’una volta da Paolo Rumiz nel suo reportage adriatico che si analizzerà nel prosieguo dell’esposizione274, fonde due suggestive macrosituazioni di partenza. Da un lato si basa sull’accurato studio di antichi portolani, diari di bordo, codici e

272 F. Vegliani, Sbarcano gli italiani, in ivi, p. 179.

273 Una scena dello stesso tono descrittivo e con la medesima base storico-politica è raccontata utilizzando un vaporetto o un treno in Il cavallo Tripoli di Quarantotti Gambini: cfr. cap. 2, par. 2.2.7.

manoscritti veneziani; dall’altro, integra e completa lo studio con il diario di bordo di un viaggio reale, effettuato dallo stesso studioso a bordo del “Vistona”, potente ed elegante veliero di sedici metri, con l’esigenza di costruirsi un controcanto reale, attuale e odeporico delle memorie dei galeotti e degli “uomini da remo”.

Dopo una prima parte saggistica e storica che tanto spazio dedica alle imbarcazioni utilizzate dai veneziani per i loro traffici commerciali marittimi (divisi tra il piccolo cabotaggio adriatico e il grande traffico nel Mediterraneo e nell’Europa del nord attraverso l’Atlantico), dunque, Masiero passa alla sezione strettamente odeporica dell’opera, motivando questa scelta con la necessità di ripercorrere quei tragitti commerciali, con la voglia di dare loro una rappresentazione letteraria, un’immagine compiuta e attuale. Nella cornice di questa doppia finalità, il sottomotivo dell’interazione tra mezzo di trasporto e paesaggio adriatico sembra spesso vivere di nuova linfa, impreziosito dai paralleli diacronico-visivi a sfondo storico e odeporico. Il tessuto narrativo, nelle forme tipiche della letteratura di viaggio e del diario di bordo, è costantemente segnato dai paralleli con gli antichi viaggi e da particolari attenzioni riservate sia al paesaggio circostante, sia al “Vistona” stesso.

La dimensione descrittiva catturata dalla prua del veliero, durante la prima tappa del viaggio da Venezia a Parenzo, non si concentra tanto sulle ambientazioni del capoluogo lagunare quanto sull’alba che tinteggia l’orizzonte sul canale di Leme (Limski kanal); ma è con l’entrata a Pola che il paesaggio e la sua descrizione dalla nave sfruttano in pieno la notevole attitudine cronotopica, con un rapido parallelo visivo diacronico che coinvolge i mezzi nautici e il fondale scenico dell’alto Adriatico:

[A Pola] vi si arriva percorrendo una gran rada, brutta perché piena di magazzini e di cantieri: è bello immaginarla quando vi entravano le galee e vedevano solo colline, alberi e il teatro romano275.

Le suggestioni paesaggistiche dell’Adriatico dalmata, reinterpretate dal moto del veliero, non si fermano qui. Nei pressi di Berguglie (Brguljie) si scorgono un isolotto disabitato e un piccolo molo, con la solita e provvidenziale integrazione descrittiva delle barchette ancorate in rada. In rotta per Sebenico, costeggiando la fortezza di San Nicola già elogiata dal Vasari e oggi ormai in rovina, la città compare improvvisamente agli occhi dei naviganti, fotografata dalla nave con il suo nitore. Il ruolo del mezzo nautico nella narrazione si rafforza nel diario di bordo da Curzola a Cattaro. Mentre la navigazione prosegue in direzione di Cavtat (Ragusavecchia), lasciando sfilare Ragusa, il mare agitato e lo spazio interno e chiuso della nave innescano nuovamente il flashback storico che converge sull’immagine delle galee veneziane. Esse sono rievocate prima considerando la breve fase di mare lungo da ovest, quando le vele sbattono e all’equipaggio viene sovrapposta l’immagine dei prigionieri remanti; poi il passo delle stesse galee è messo in parallelo con quello della navigazione del “Vistona”, che procede verosimilmente alla stessa velocità delle imbarcazioni veneziane di secoli addietro.

L’agile veliero procede in direzione di Brindisi e poi di Corfù, in Grecia. Poche tracce della sua presenza rimangono bene impresse nella redazione del diario di viaggio: il momento in cui si confronta con un sottomarino jugoslavo, reso in similitudine un «cagnolino che va a fare la docile passeggiatina del mattino presto»276, l’orizzonte cupo e solenne delle Bocche di Cattaro nel quale si muove in silenzio. Notazioni paesaggistiche e antropiche fatte di antenne, paesini e ciminiere accompagnano anche l’entrata in porto a Brindisi, un momento in cui la strumentazione di bordo assume un ruolo fondamentale, dato che si delinea come tramite temporale per riferire ancora una volta della navigazione delle galee: la carta nautica, la bussola e il contamiglia sono infatti affini alla strumentazione di secoli addietro, e i risultati della navigazione sono sorprendenti, con una pressoché totale coincidenza delle due rotte.

1.4.7 La barca, il sogno. Un racconto “sospeso” di Giuseppe Bevilacqua

L’uomo dagli occhi ceruli, brevissimo racconto a sfondo adriatico277 di Giuseppe Bevilacqua, si configura come ennesimo e ottimo esempio delle potenzialità narrative del mezzo di trasporto natante in rapporto allo snodarsi della trama, ai paesaggi e alle suggestioni olfattivo-visive eventualmente presenti nelle ambientazioni. La descrizione della barca e il suo ruolo narrativo sono soffusi, impercettibilmente delineati, ma strategicamente posti nelle fasi iniziali e finali del racconto, quelle che si concentrano sull’approdo e sulla fuga dall’isola. Anche l’Adriatico è colto e fotografato velocemente, con il testo-paesaggio che si fonde con quello scaturente dalle descrizioni

dell’isola, anch’esse tratteggiate con decisione e rapidità. Tutta

l’ambientazione (barca compresa) è costruita all’insegna della levità, del chiarore, che conferiscono al testo-paesaggio (e, indirettamente, anche all’evolversi della vicenda) un’atmosfera onirica, da miraggio desertico. Questa tenuità, complice il massiccio uso dell’aggettivazione, aleggia sin dai primi paragrafi del racconto, subito associata sia alla barca che al paesaggio costiero insulare. Il racconto si apre proprio con l’entrata della barca nel porto di un’isola dalmata: anonima, quest’ultima, al contrario del natante, subito identificato con il nome di “Clelia II”, anch’esso avvolto da una slanciata leggerezza nei toni, nelle dimensioni, nelle forme e nelle linee del suo design.

Il natante si materializza senza indugio: è di proprietà del non meglio identificato professor Z., agiato medico, che

aveva comprato una barca di quindici metri, bianca e affilata come un airone. […] In un giorno abbacinante di luglio la Clelia II – questo era il

277

Il racconto è inserito in un’opera che racchiude i resoconti romanzati degli “incontri familiari” in Quarnaro tra Claudio Magris e Giuseppe Bevilacqua, autore del racconto in esame. Cfr. G. Bevilacqua, C. Magris, Itinerari dell’Adriatico, Bari, Palomar, 2007.

nome della barca – entrò nel porticciolo di un’isola dalmata, che dal mare sembrava una lunga duna278.

Come detto, la levità e il voluto senso di torpore visivo sono trasmessi anche dal sapiente uso di aggettivi che convergono su cromatismi tenui (con tonalità tra il giallo e il verde individuate in riferimenti visivi come la terra o i canneti), l’Adriatico e il suo cielo sembrano decolorarsi, sciogliersi nell’afa adriatica di luglio, di un’opprimente e incolore monotonia aerea. La descrizione del paesino insulare, quello per le stradine del quale il professore vivrà la sua onirica e misteriosa avventura, appare in sintonia visiva con tutto il resto; dalla barca esso appare come “colato” sull’altura maggiore dell’isola, una metafora e un accorgimento narrativo-descrittivo sempre molto cari a tanti scrittori dell’Adriatico. E proprio grazie alla “Clelia II” lo stacco nel ritmo narrativo è imperioso: metaforicamente, l’approdo della barca costituisce forse il momento preciso di disincaglio dalla “vita reale”, è il prodromo all’onirica e breve vicenda del professore, che qui non interessa. Interessa però notare come la barca, solido ponte con il reale e il conoscibile, si riappropri del suo ruolo: questo succede, “strategicamente”, nella parte finale del racconto, quella del ritorno per il protagonista alla vita reale, della fuga dal metaforico vagabondaggio nel paesino. La sagoma del natante gli offrirebbe anche un’ultima possibilità di rinunciare al reale, di buttarsi a capofitto nel surreale sogno, nella fuga da sé stesso, ma non c’è scampo. Il professore deciderà dunque di tornare, non semplicemente salendo a bordo della sua barca, ma facendosi da essa simbolicamente inghiottire nella sua confortevole pancia sottocoperta.

278 Ivi, p. 45. Come si nota, il nome del natante è individuato senza esitazioni, essendo forse l’unico punto di riferimento fisico e tangibile nel breve snodarsi della vicenda, contro gli altri elementi accomunabili sotto il segno dell’indefinito: i personaggi comprimari e il protagonista, le fasi oniriche, l’isola non geograficamente collocata.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 181-186)