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Giani Stuparich: isole, traghetti, ricordi e incontri

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 94-103)

IL MEZZO NAUTICO E LE SUE INTERAZIONI CON IL TESTO-PAESAGGIO ADRIATICO

1.1 Letteratura del mare, imbarcazioni e Mar Adriatico: coordinate critiche e teoriche

1.2.7 Giani Stuparich: isole, traghetti, ricordi e incontri

Altri e numerosi scrittori, come vedremo, hanno donato alla letteratura dell’Adriatico intensi momenti correlati alla nave interagente con il paesaggio. Rimanendo nella zona dell’Adriatico settentrionale, spingendoci anzi ancora più a nord rispetto alla laguna di Comisso, ci si concentra ora su un magistrale racconto breve a sfondo adriatico. Nel suo L’isola121, lo scrittore triestino Giani Stuparich mette al centro della narrazione un delicato e amorevole confronto tra un padre malato e suo figlio, entrambi a bordo di un traghetto che li condurrà sulla patria isola adriatica. Macrotemi letterari come l’incontro122, la malattia, il viaggio e dunque la partenza e il ritorno123. L’isola restituisce egregiamente le suggestioni e le polisemie di questo viaggio, densissimo di emozioni e rimpianti suggeriti, appena sussurrati. Nella corsa di questa altalena di sentimenti i mezzi naviganti, a bordo dei quali padre e figlio giungono all’isola patria e da essa si congederanno, giocano un ruolo in effetti soltanto secondario, soprattutto in relazione ai piani descrittivi e metaforizzanti connessi all’uso dello sfavillante paesaggio adriatico e di un

topos potente come quello dell’isola, a cui sono senza dubbio subordinati.

Sarà inevitabile, allora, dedicare molta attenzione a temi del ritorno e soprattutto, ancora più centrale, dell’incontro, invece che alle dinamiche del viaggio e all’interazione del natante con il mare e il paesaggio, poiché nel racconto sono proprio questi due temi a rappresentare i veri nodi dell’impianto

121 Il racconto è stato pubblicato da Einaudi nel 1942, e ha visto una nuova edizione per i tipi della Edizioni dello Zibaldone, nel 1959. Qui si cita dall’edizione Il Ramo d’Oro, del 2003.

122

A proposito del tema dell’incontro in letteratura, cfr. R. Luperini, L’incontro e il caso.

Narrazioni moderne e destino dell'uomo occidentale, Roma, Laterza, 2007, nonché, in ambito

(non esclusivamente) francese, J. Rousset, Leurs yeux se rencontrèrent. La scène de première

vue dans le roman, Paris, Corti, 1984.

123

Le tematiche presenti e sfiorate o sviluppate nello snodarsi del racconto di Stuparich, in effetti, non si esauriscono nella malattia del padre e nei succitati temi. Come giustamente nota Elvio Guagnini, si scorge in esso una serie di «riflessioni intorno a grandi temi dell’esistenza: le età della vita, la vecchiaia, la vita come lotta fisica, la malattia, la fatalità della morte, […] la paura, la rassegnazione, il senso di ineluttabilità della morte (anche della propria) che accompagna la vicinanza a una persona cara che si avvia alla fine»: E. Guagnini, Paradigmi

narrativi, paradigmi esistenziali. Su L’isola di Giani Stuparich, in G. Stuparich, L’isola,

Trieste, Il Ramo d’Oro, 2003, p. 12. Lo stesso Guagnini fa riflettere sul peso dell’attenzione ai bilanci esistenziali presente in alcune opere paradigmatiche che vertono sulla malattia, sul contatto con persone malate, citando come esempi La montagna incantata di Thomas Mann, il moraviano Inverno malato e La veranda di Salvatore Satta: cfr. ivi, p. 7.

narrativo, ancor più carichi di tensioni emotive, ancor più desiderati dai protagonisti a causa della malattia del padre, della sua prossimità alla morte, del suo evidente e genuino piacere di ritornare all’isola con il figlio adulto, sano e forte. Già l’incipit, dal tono rassicurante e dalla tecnica per un certo verso affine a quella del piano-sequenza cinematografico, corrobora tale considerazione, con un lessico attento alle dinamiche e alla spazialità del mezzo di trasporto, trattato con dolcezza anche dalle acque, espediente ideale per infondere un senso di pacatezza alla fase iniziale della vicenda:

La piccola, bianca motonave usciva dal porto. L’anfiteatro della città, staccandosi e girando, s’incantava roseo sotto il primo sole. Già l’atmosfera era tremula per la calura. Fuori del porto si respirava meglio. L’azzurro del mare aperto, su cui si polverizzava l’oro della luce, accoglieva festoso la prora ingenuamente ardita. I passeggeri erano tutti sopra coperta a godersi lo spettacolo124.

Il figlio, si diceva, vive in montagna, e proverà dapprima una sorta di contrizione a lasciare le sue tranquille e rassicuranti montuosità. Il racconto è ben presto pervaso da un giocoso contrasto tra Adriatico natio e vita attuale. La decisione di rispondere alla chiamata del padre malato è presa di getto, e Stuparich ce lo dimostra altrettanto velocemente nello spazio di poche efficaci righe, con “flash narrativi” che immortalano il suo brevissimo viaggio verso il punto di incontro e di partenza, in un susseguirsi di mezzi di trasporto e di paesaggi, dal ripido sentiero di bosco attraversato a piedi, alla corriera presa appena in tempo, alla pulita stazioncina alpina, da dove il treno lo condurrà in città nel giro di poche ore, sul mare, sull’Adriatico. Repentinamente (e poi in un turbinio di fragranze, di sensazioni il cui livello di percezione sensoriale è veramente elevato) lo vediamo già passeggiare

sul ponte della nave. Il sangue, avvezzo all’aria di montagna, gli pesava un poco nei polsi e nel cervello; ma già s’adattava al mare. […] Era il suo mare: il regno aperto dei suoi anni adolescenti, il rifugio […]. Bastava l’odore, perché riprovasse il contatto quasi carnale con quell’immenso

corpo liquido che lo aveva sostenuto, sbattuto, accolto infinite volte. Il vento continuo della navigazione, dal sapore salmastro, gli dava una leggera ebbrezza, come di respiro in un più ampio, eccitante respiro125.

Ecco dunque che a un natante in navigazione per l’Adriatico è conferito il potere “para-proustiano” di agire come catalizzatore di memorie, di riportare istantaneamente alle origini, adempiendo egregiamente al suo compito di evocatore galleggiante, tramutandosi in ponte metaforico e mentale verso la riappropriazione dei ricordi giovanili così legati al mare (Adriatico) dell’adolescenza. Tale funzione rievocativa interviene anche quando il figlio osserva il padre, seduto, sorridente ma con la poco consapevole tristezza arrecata dalla malattia paterna. La mente del figlio si sorprende allora a rievocare un altro quadro odeporico, su un piroscafo forse molto simile a quello, a bordo del quale aveva accompagnato il papà vent’anni prima verso la Dalmazia, timido ragazzetto, lui, alla scoperta di un mondo lontano dai luoghi rassicuranti dell’infanzia, e vigoroso e gaio il genitore, in perfetta salute. Il raffronto tra le due situazioni è impietoso, e le dinamiche del viaggio sulla motonave intervengono a descrivere tale spietata evidenza, insieme con l’inevitabile scorrere paesaggistico dell’Adriatico e dei suoi chiarori:

E adesso quel dio appoggiava la schiena e la nuca a una parete di legno, per farsi cullare, nella propria stanchezza, dal tranquillo moto della nave. I suoi occhi malinconici seguivano il profilo lontano della costa, morbida di luci azzurre e rosee, con le casette sparse qua e là a mucchi, come dei greggi intorno ai campanili, sullo specchio delle insenature126.

Eppure, quella motonave sembra già avere un effetto benefico sul padre, ormai quasi irrimediabilmente intaccato dal tumore all’esofago. Interessante è anche un mirabile accorgimento stilistico usato da Stuparich, grazie al quale il lettore può osservare i natanti dell’Adriatico (accompagnati dal familiare contorno di luci, sfumature, colori e stridii di gabbiani) interagire con i vapori e le vele, obbligando il figlio a fare i conti con i fantasmi della

125 Ivi, pp. 20-21.

mente che, travestiti da ricordi, prendono il sopravvento sugli stimoli visivi che promanano dal mare. Mentre «esili vaporetti fumavano lungo la costa col moto buffo di giocattoli», infatti, «[…] un’altra interna visione, chiusa e fredda, quasi spettrale gli si sovrapponeva a quegli ampi quadri luminosi […]. Un liscio, freddo, metallico gabinetto di radiologo»127. Ecco il contrasto, duro e impietoso, rafforzato anche dalla contrapposizione aggettivale dell’allegro incedere dei vaporetti “giocattoli” e la visione “chiusa”, “fredda”, “spettrale”, “metallica”. Proprio la motonave è in seguito trasformata in un galleggiante teatro di rivista o di avanspettacolo, quando il figlio punta lo sguardo sui tranquilli passeggeri che a lui, tristemente consapevole della fragilità del padre che calpesta quello stesso ponte, paiono sfacciati attori di una commedia. Si tratta di un teatro che esige i suoi riti e le sue interpretazioni nella commedia sociale che ospita in ogni sua tratta. Anche in questo caso tutto si gioca sulla contrapposizione dei ruoli, dei passeggeri (in apparenza) sani e felici, osservati anche nelle ordinarie conversazioni conviviali, come nella sala da pranzo di bordo, dove

si accomodavano con quel misto di sussiego e d’ilare curiosità che rende il tono socievole ai pasti di bordo, quando il mare è calmo. «Un olio, un vero olio» […]. «Mai visto, e sì che lo conosco, un Quarnero così docile»128.

Il viaggio intanto prosegue. L’Adriatico rimane docile e piacevolmente navigabile, ma si allarga, diventa ora “sconfinato”, scintillante, con l’orizzonte invaso dalla foschia, suggerendo (seppur per poche righe) un’atmosfera sospesa, che sfiora l’onirismo e che non è destinata a durare. Mentre il piroscafo, complice il pomeriggio marino, trasmette ai suoi passeggeri un inconscio benessere, si giunge ormai in vista dell’arcipelago, a distanza ravvicinata rispetto all’isola. Ci si avvicina dunque alla destinazione dei due protagonisti, l’aria di approdo contagia anche gli altri passeggeri che, scorgendo ormai la terra così vicina, si levano, si animano. Anche il piroscafo si adatta alla levità dell’approdo dopo una placida navigazione. L’entrata in

127 Ivi, pp. 26-27.

porto mette il lettore di fronte all’impatto di padre e figlio con l’isola, e i due già cominciano a evocare ricordi del passato, identificando dal ponte della nave la casa ormai in rovina. Intanto Stuparich riporta magistralmente fragranze e colori d’Adriatico:

[…] tra le chiome azzurrate degli olivi traspariva il cielo più carico; nell’aria ferma era una fragranza che allietava, gli aromi della terra si fondevano con l’odore del mare: pino, menta e oleandro con salso e con l’alghe129.

In questa “rappresentazione adriatica” del tema del ritorno, che, come già accennato, ha qui una massiccia carica di emotività e di valori intrinseci, considerata la malattia del padre e il tentativo ultimo di riavvicinarsi a suo figlio con il viaggio e il soggiorno all’isola, l’attracco in porto del piroscafo assume un preciso significato, una sua ragione di essere: ancora una volta è quasi come se il mezzo di trasporto comunicasse con i suoi passeggeri, come se volesse infondere loro un’allegra e positiva serenità, simboleggiata dall’arrivo senza patemi. L’influsso benefico, seppur illusorio (come in fondo sanno bene il lettore e i personaggi stessi), viene estrinsecato dalla speranza autoevocata del figlio che, felicemente stupito, vede il padre improvvisamente più vivace. Il momento è quasi di sospensione illusoria ed estraniante, accompagnata dal momento dell’ormeggio del piroscafo:

Mentre la nave attraccava al molo, nel lieto affaccendato brusio dell’arrivo, il figlio si lasciò penetrare dalla dolce e improvvisa, per quanto assurda, speranza. […]. Volse l’immaginazione al momento in cui gli avrebbe potuto dire con tutto il fervore dell’anima: «Sei guarito, papà». […].

- Hai fatto bene a chiamarmi giù dalla montagna. Quant’è bella l’isola130.

Il racconto e le vicende dei due proseguono, si evolvono, arrivano alla conclusione. È il momento finale quello che ci interessa e che ci apprestiamo ad analizzare. È infatti allora che ricompare il piroscafo, stavolta con un

129 Ivi, p. 37.

compito più ingrato rispetto all’iniziale viaggio verso l’isola: padre e figlio sanno che tutto volge al termine. Il padre si oppone decisamente a recarsi al vapore trasportato da qualcuno o qualcosa: vuole andarci con le sue gambe (ma cederà, acconsentendo ad essere accompagnato sottobraccio dal figlio). Il distacco è simboleggiato dall’allontanamento fisico dall’isola a bordo di quel gigantesco e galleggiante contenitore di emozioni e tensioni, circostanza in cui l’Adriatico fa da vigoroso contrappeso descrittivo, con il suo potente fulgore. Anche qui la visione è proposta con tecnica affine a quella cinematografica, con toni “crepuscolari”:

Sul piroscafo, il padre volle restare in coperta per salutare la sua isola; poi scese nella cabina.

Il figlio vide l’isola impiccolire, svanire all’orizzonte nell’immenso bagliore del mare. Fu quello il primo momento ch’egli ebbe precisa e semplice la coscienza di che cosa perdeva perdendo suo padre131.

La presenza nautico-adriatica nell’opera di Stuparich non si esaurisce con il piroscafo de L’isola, ma regala una moltitudine di natanti in navigazione tra Istria e Dalmazia, soprattutto incorniciati tra il paesaggio istriano e la spola tra le varie città costiere istriane. La concentrazione più elevata di questi motivi della narrazione si rinviene probabilmente nei suoi

Ricordi istriani, nelle cui maglie si alternano traghetti, barchette, pilotine,

grandi navi, vaporetti, velieri. Il delicato equilibrio tra la dimensione pittorico-descrittiva e quella biografica sembra raggiungere la vetta proprio con la presenza dei mezzi di trasporto che solcano l’Adriatico dell’infanzia. Sarà allora agevole ritrovare e isolare i sottomotivi adriatici relativi ai mezzi di trasporto presenti in essa.

Seguendo l’ordine di pubblicazione, in I doni dell’Istria il tema della partenza per mare del padre si completa perfettamente soltanto con la descrizione del vaporetto, della sua navigazione nelle acque istriane, soffermandosi lo Stuparich bambino sulla scia prodotta dal mezzo di trasporto, il cui bianco spumeggiare quasi lo ipnotizza, mentre il vaporetto

scompare dalla vista e dalla prosa descrittiva. Il motivo del viaggio a bordo dei piroscafi è dunque ricorrente, e risulta amplificato nel racconto Viaggio a

Cherso, in cui risalta soprattutto perché rappresenta la descrizione intima e

personale del primo viaggio in piroscafo. Nella narrazione (in prima persona), testo-paesaggio adriatico e componenti strutturali e di bordo riferibili al traghetto plasmano dunque un impasto narrativo saldo, in cui si inseriscono alla perfezione non soltanto gli elementi meccanici e strutturali del piroscafo, ma anche quelli acquatici, naturali e antropici propri di quell’area alto-adriatica, così cara a Stuparich:

Un vero, grande vapore, i lunghi ponti affollati di passeggeri, le macchine da guardare, scale e scalette da salire e scendere, e quel gran mare azzurro da ogni parte; il moto delle eliche e la scia spumeggiante […].

Ero allora troppo ragazzo per osservare la costa che accompagnava da lontano il nostro viaggio e che avrei, pochi anni dopo, cominciato a scoprire e a conoscere in ogni scoglio e in ogni insenatura […]132.

Non pochi tra i racconti racchiusi in Ricordi istriani giocano con il motivo stuparichiano del “vaporetto autobiografico”, a cavallo dei ricordi d’infanzia e adolescenza. In gran parte di essi l’orizzonte adriatico funge solo apparentemente da mero fondale scenico, compenetrandosi volentieri con la dimensione territoriale. Ecco allora che il vaporetto per Muggia viene reso oggetto di similitudine con il tram, essendo in grado di trasportare agevolmente e velocemente i triestini di sangue istriano che nella cittadina possono ascoltare il richiamo delle origini. Capodistria, invece, è considerata come entità territoriale e urbana più lontana, a dispetto della contiguità geografica e chilometrica con Trieste. Il vaporetto deve infatti compiere un itinerario più lungo, allungando il tempo a bordo e la percezione del testo-paesaggio: nella descrizione nostalgica dei vaporetti in servizio da e per Capodistria fa la sua apparizione anche la figura di Nazario Sauro. Non manca, tra i motivi di questi racconti, lo sfondo piscatorio adriatico. Il

132

G. Stuparich, Viaggio a Cherso, in Id., Ricordi istriani, Udine, Editoriale FVG, 2007, p. 19. L’edizione originaria dell’opera era stata pubblicata nel 1961 a Trieste, dalle Edizioni dello Zibaldone.

racconto La pesca rappresenta una sorta di breviario minimo su imbarcazioni, tipologie di natanti e di pesca, velatura e suoi cromatismi, uso del remo in ambiente istriano:

Spesso saltavamo nelle loro barche [dei pescatori di Isola d’Istria (Izola)], quelle barche snelle e solide, di tipo piratesco, con la grande vela triangolare e il fiocco, per lo più di colore arancione. […]. Sul mare brillante, vicino, da una parte, il promontorio d’Isola; dall’altra, lontana e come velata, Trieste, signora del golfo133.

Un altro vaporetto, adibito al trasporto passeggeri per la costa istriana, incrocia le rotte della dimensione personale narrata nel racconto La basilica

Eufrasiana, in cui l’attenzione è concentrata quasi esclusivamente sugli

ambienti interni del natante grigio, in forza alla società di navigazione “Istria-Trieste”. Il soffermarsi sulle ambientazioni, i corredi e gli arredi di bordo determina una minore presenza di motivi descrittivi di mare o di costa. Stuparich indugia infatti sull’odore del legno e delle cime, sulla sala macchine, su bompressi e parapetti, non trascurando quello che sarebbe impossibile omettere, e cioè il testo-paesaggio istriano, qui forse esaltato al meglio nella sua interazione con l’universo del traghetto in lenta navigazione, colto nella sua sommessa vitalità:

E vedo ancora, passeggiando in coperta, le insenature e le penisolette della costa, gli scogli, gli isolotti, le cittadine di campagne […]. E ogni tanto sento pulsare le macchine, girare il timone, spumeggiare sotto le eliche […]134.

La presenza così marcata di oggetti come le dotazioni di bordo e le attrezzature della nave, nonché ovviamente quella degli stessi natanti, autorizza a considerare questo universo nautico come vero e più evidente richiamo autobiografico nella memoria e nella narrazione dello scrittore triestino. La conferma a tale affermazione può arrivare soffermandosi sulla

133 Id., La pesca, in ivi, p. 50.

tecnica dell’enumerazione (per accumulazione) a sfondo nautico che Stuparich adopera per raccontare la profonda commozione che egli provava alla vista dei velieri in giovane età, non disdegnando l’utilizzo di lessico specialistico, attingendo dallo sterminato serbatoio della microlingua afferente al mondo della navigazione:

Stavo ore e ore in ammirazione di un brigantino ancorato nel porto, di una goletta attraccata alla riva; mi perdevo fantasticando fra sartie e pennoni, coffe e colombieri; rande, fiocchi, parrocchetti […]. E difatti il mio sogno era di navigare […] su qualche bastimento a vela, su un barco, su una

polacca o su una scuna135.

Lo stesso racconto offre anche la possibilità di estrapolarne una linea di narrazione il cui percorso vede come punti nodali la rappresentazione della nave in relazione a diverse fasi di vita del narratore e del suo universo familiare. Si passa, infatti, dall’iniziale attenzione ai velieri “reali” e osservabili dal vero nella loro fisicità lignea e grazie all’intermezzo “lessicale” citato in precedenza, alla rievocazione dell’immagine del padre, infante a bordo di velieri in navigazione, aggrappato ai pennoni e allegramente calpestando le doghe della coperta.

Nel racconto La prima vela ritorna la compagnia di navigazione “Istria-Trieste”, citata con la “Capodistriana”, entrambe largamente utilizzate dal narratore durante le estati istriane della sua gioventù, grazie al servizio di trasporto offerto dai vaporetti bianchi con i loro piccoli fumaioli neri fasciati di rosso. In questo caso il connubio vaporetto-Istria si rinsalda, divenendo una quasi-sinonimia, una sovrapposizione simbolica a sfondo autobiografico. Esaltati dall’ambientazione adriatica, infatti,

Quei vaporetti avevano, per così dire, le caratteristiche somatiche, avevano l’odore dell’Istria; e noi, montati a bordo, era come se fossimo già su terra istriana. Quando essi si staccavano dalla riva […] era sempre in noi […] una specie d’ebbrezza136.

135 Id., Velieri lussignani, in ivi, p. 101.

1.2.8 Stelio Mattioni e l’ossessione di una barca sulle rive

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 94-103)