IL MEZZO NAUTICO E LE SUE INTERAZIONI CON IL TESTO-PAESAGGIO ADRIATICO
1.4 Adriatico orientale, Quarnero, Dalmazia, Albania e area balcanica
1.4.10 Viaggi, isole e barche: il testo-paesaggio di Hans Kitzmüller
Sono almeno due le opere di Hans Kitzmüller, scrittore, giornalista e traduttore nato nel 1945 a Brazzano, in provincia di Gorizia, che offrono diversi spunti a questo capitolo dedicato ai mezzi di trasporto del mare. In
entrambe, pienamente appartenenti al sottogenere della letteratura di mare, si addensano numerosi topoi a essa riferibili.
La prima opera che si propone, Arcipelago del vento, è la trascrizione degli appunti di un viaggio per mare molto particolare: quello da un’isola all’altra, la cui trasposizione su pagina si concretizza in una sorta di isolario moderno287. L’opera è strutturata come una lineare raccolta di impressioni odeporiche. L’intreccio, la caratterizzazione dei personaggi (soprattutto quello dello skipper), le ambientazioni, il tema del “viaggio insulare”, le suggestioni dell’Adriatico orientale e delle isole della Dalmazia sono tutte tematiche che si incastrano perfettamente con lo spirito e con i contenuti di questo lavoro. Soprattutto, dunque, interessa in questa sede il ruolo della barca come mezzo di trasporto “vivo”, “parlante”, casa-prigione galleggiante, analizzata attraverso il percorso suo e dell’equipaggio da Ragusa a Cattaro, dalle Isole Elafiti (Elafitski otoci) a Meleda, da Lissa (Vis) a Spalato.
Già prima di mollare gli ormeggi, fisici e metaforici, lo scrittore-viaggiatore introduce nella narrazione proprio la barca su cui si compirà il viaggio di diciotto giorni per le isole dalmate. Lo fa con entusiasmo, parlando delle sue imprese compiute per i mari di mezzo mondo, raccontando anche le origini di quel suo nome affascinante e spiazzante: essa si chiama infatti “Serengeti”, nome che evoca terre desertiche e spettrali, pianure sconfinate.
Focalizzando l’attenzione sul mezzo di trasporto, dunque, l’autore introduce e rafforza la sensazione di fascino che da esso emana, ciò che contiene una precisa esigenza narrativa. Il nome e il fascino del grande yacht, infatti, sono intimamente collegati al personaggio dello skipper, Toni Plešič:
La sua bella barca […] porta lo strano nome di Serengeti. In mare aperto, quando all’orizzonte non vi era più alcuna terra in vista, Toni si ripeteva sempre: «Ecco, la mia Serengeti!». Evocava così la steppa della zona del Serengeti nel nord della Tanzania, una vastissima area desolata quasi priva di vita. A tal punto lo aveva sedotto il carattere desertico del mare aperto288.
287 Tale tipologia di isolario, per ammissione dello stesso autore-narratore, non deve essere schiava delle definizioni, ma semplicemente aderire alla sua dimensione di racconto: cfr. H. Kitzmüller, Arcipelago del vento, Lint, Trieste, 2003, p. 152.
Emerge la nitidezza di questo accostamento ideale di spazi così naturalmente e fisiologicamente diversi, ma che con convinzione comunicano al viaggiatore e al lettore il potenziale metaforizzante. La barca, dunque, con quel nome e con il rapporto particolare che da una vita la lega al suo comandante, si presenta all’inizio del diario di viaggio già carica di simbolismi, di fascinosa storia.
Mettendo in secondo piano il natante, sulla cui importanza letteraria nella narrazione si tornerà presto, conviene ora spostare l’attenzione sulla descrizione di uno dei momenti iniziali del viaggio di Kitzmüller, quello in cui il narratore si trasferisce in traghetto da Ragusa all’isola di Lacroma. La descrizione di alcune manovre di bordo, opportunamente interagenti con il testo-paesaggio dalmata, si aggancia all’atmosfera di vertigine indotta dal roteare del mezzo di trasporto e dal contemporaneo bombardamento visivo provocato del paesaggio adriatico orientale costiero. Grazie alla presenza scenica del mezzo di trasporto e alle dinamiche del suo movimento per mare, il racconto si tramuta inizialmente in un vorticoso e sfuggente impianto visivo, modellato dalla presenza delle consuete componenti del paesaggio costiero,
architettoniche e non, le quali sembrano fondersi con tecnica
paracinematografica:
La manovra del traghetto per Lacroma che, tolti gli ormeggi e staccatosi dal molo girava su sé stesso a marcia indietro, mi provocò uno stordimento: una giostra di torrioni, campanili, muraglie e barche che mi ruotava attorno289.
Il traghetto completa la sua manovra, molla gli ormeggi e prende la via per Lacroma, rallentando il ritmo, riportando la mente del viaggiatore, concentrata ora su meccanismi che agiscono sull’elaborazione del momento della partenza, su “binari” meno roteanti, e dunque comincia la sua breve traversata. Sono proprio i movimenti e i rumori tipici del traghetto, in sintonia con i suoni della natura e del mare, a indurre una (temporanea) sensazione di
“placidità adriatica” man mano che ci si avvicina all’isola, quando se ne cominciano a intuire i contorni e infine quando la si avvista:
Avvicinandosi all’isola su un mare calmo, lo stridore di cicale fra le piante si faceva sempre più forte, quasi si confondeva con lo sciacquio a prua o con il sommesso rumore del motore290.
Ma il senso di vertigine non tarda a ritornare al momento di approssimarsi all’isola e di sbarcarvi. Anche in questo caso la piacevole sensazione di stordimento è causata dal combinato letterario-descrittivo tra le componenti paesaggistiche e il traghetto, sempre peculiare punto di vista:
All’ingresso nella baietta […] ho provato un senso di vertigine notando quanto fosse profonda l’acqua limpidissima. Più che galleggiare il barcone sembra levitare sul fondo marino291.
Subito dopo esser sbarcato, non più schiavo del rollio del traghetto e dei rumori di navigazione (lo sciacquio, la sala macchine, le sirene), il viaggiatore ritorna a prendere contatto con la terraferma e l’ambientazione cambia, diventando quasi bucolica, calma, gentile. Mutano le superfici calpestate e percorse, la natura; non ci sono mezzi di trasporto a fungere da mediatori di sensazioni, se non le suole delle scarpe, che calcano piacevolmente la terra dell’isola cosparsa di aghi di pino e offrono un notevole contrappunto scenografico alla maestosità dell’Adriatico, di quelle acque da cui emergono le numerose isole dalmate.
Su un’altra nave arriveranno i compagni di viaggio del narratore, che li attende sul porticciolo della baia di Gravosa. Per ingannare l’attesa, la mente di chi attende è rapita da alcune osservazioni incentrate sui porti e sulle loro dinamiche, sul loro popolarsi quando una nave si avvicina al molo per ormeggiare e scaricare i passeggeri. La vita stessa del porto è ovviamente legata alla presenza e all’andirivieni di scafi. Proprio un traghetto diventa
290 Ibidem.
protagonista di una scena in cui si descrive un banale e ordinario attracco, non vissuta direttamente dal narratore ma proposta come esempio dell’animarsi del porto stesso, tra mercatini, osterie o piccoli bar. In particolare, il traghetto simboleggia il teatro di un momento molto particolare e quasi impossibile da individuare precisamente: quello in cui l’ultimo passeggero è appena sbarcato, lasciando per un vuota la pancia del mezzo natante per un etereo e sospeso momento, in attesa che essa si riempia a cominciare dall’imbarco del primo passeggero della tratta di ritorno:
[…] appena il traghetto si accosta di poppa alla banchina […] tutto diventa più veloce e frenetico: l’enorme portellone si apre per calarsi come un ponte levatoio e un folla di passeggeri sciama fuori assieme agli autoveicoli. C’è infine un attimo inafferrabile, quasi nessuno rimane a coglierlo: quello nel quale, quasi nello stesso momento, sbarca lento l’ultimo passeggero e s’imbarca frettoloso il primo del viaggio di ritorno292.
Una scena molto simile è proposta al lettore nelle osservazioni dall’isola di Giuppana (Šipan), nelle Elafiti. L’animarsi del porto e la tratta abitudinaria della motonave con i suoi bizzarri carichi sono immagini già viste e interiorizzate, seppure trasmesse al lettore grazie a una sequenza temporale molto incisiva, ma a impreziosirle c’è in filigrana quel senso di appartenenza del traghetto all’isola, la materializzazione letteraria di quel filo invisibile ma robustissimo che lega il mezzo nautico agli isolani e alle loro vite, e che Kitzmüller qui identifica nel sentimento di gratitudine che essi provano nei suoi confronti.
Il traghetto, dunque, si rivela come oggetto di moderno valore etnologico, considerata l’importanza della sua funzione soprattutto per l’ambiente insulare, ovverosia quella del trasporto di uomini e merci. La vita di un’isola (adriatica) è in fondo anche fotografabile e raccontabile ricorrendo all’analisi di particolari socioculturali e letterari come questi:
La partenza del traghetto, le manovre lente, il fumo che, soffiato dal vento, investe l’edificio sul molo, il molo di nuovo deserto quando il Poštira scompare nel canale di Kavljat. Questa motonave fa ormai parte delle isole. […] A certe ore determina una composta animazione al porto di Šipanska Luka, sul molo. Per gli isolani delle Elafiti, il Poštira è anche oggetto di gratitudine, perché li aiuta a risolvere qualche piccolo problema quotidiano. L’attendono con carriole e carretti per trasportare a casa provviste, qualche elettrodomestico nuovo o portato a riparare, casette d’acqua minerale e birra. Oggi un uomo è sceso portando in bilico sulla testa un materasso ancora in cellofan293.
Arcipelago del vento offre anche concisi spunti narrativi riferibili al
mezzo di trasporto considerato come protagonista esclusivo della vicenda narrativa o di una circoscritta fase della prosa. Il riferimento non è al mezzo di trasporto con cui si compie il viaggio, ma alla contiguità narrativa con le vicende di un’altra nave, che in un certo senso reifica una testimonianza in quanto elemento osservatore “esterno”.
Succede per esempio nel breve “racconto nel racconto” che vede come protagonista il fornaio Meni Pek, soprannome di Domenico Coceancig, combattente della Prima guerra mondiale alle Bocche di Cattaro e ultimo marinaio vivente della Marina militare austroungarica. La vicenda è suggerita allo scrittore da un momento in cui il “Serengeti” è in difficoltà, proprio durante la navigazione verso le Bocche: il vento è forte e contrario, tanto che è necessario invertire la rotta e cercare riparo e momenti più propizi a Ragusavecchia. Al comandante viene perfino l’infelice idea di improvvisare un’esercitazione d’emergenza a bordo, con il beccheggiante “Serengeti” che per un attimo si trasforma in opprimente e inquietante giostra sull’Adriatico.
È in questo contesto topico, dunque, che al narratore torna in mente la figura di Meni Pek, arruolatosi in marina e impiegato come fornaio sull’incrociatore “Saida”, che faceva base sulle Bocche, ma che gli riservò quattro anni di scorribande belliche per l’Adriatico, tra Pola e Otranto. Non si parla direttamente dell’incrociatore, ma gli sprazzi di vicende biografiche consumatesi a bordo di esso sono immagini molto efficaci nella narrazione.
All’incrociatore è dunque assegnato un doppio ruolo: ponte narrativo per introdurre personaggi di contorno o vicende incentrate sulla geopolitica adriatica, ma anche privilegiato punto d’osservazione; dal ponte del Saida ancorato a Pola proprio Meni Pek assistette all’affondamento della Viribus Unitis (ancora l’immagine delle navi che si fronteggiano, che si scrutano in Adriatico), e quella
fu una visione angosciante, […] non per sentimenti patriottici, ma per aver visto scomparire in quel modo la nave più prestigiosa che avesse mai visto e che aveva sempre pensato invincibile294.
Tentando nuovamente la navigazione verso le Bocche di Cattaro, con un mare stavolta propizio, la navigazione fila liscia come la superficie acquea. Nelle asciutte e stringate osservazioni da giornale di bordo si percepisce bene la calma che tutta la struttura del “Serengeti” comunica grazie alla tranquillità temporanea di quella zona dell’Adriatico, in un’efficace sinergia con i profili delle coste a poppa e a prua:
Un fresco nordovest che variava dai tre ai cinque nodi ci ha accompagnato sino all’ingresso nelle Bocche di Cattaro. Navigazione perfetta. Non abbiamo fatto un solo errore nel regolare ogni tanto il genova295.
Subito dopo i tecnicismi, ecco giungere il momento della notazione paesaggistica dell’Adriatico orientale, che non può a questo punto tacere la sua bellezza ed evitare di imporsi allo sguardo del viaggiatore, e questa sensazione immancabilmente sortisce effetto anche sulla percezione temporale, con l’intuizione dell’incombente confine tra Albania e Montenegro:
Lo sguardo a poppa verso Ragusa che si allontanava, oppure a sud, verso il profilo dei primi rilievi albanesi che ancora un po’ si confondeva nella foschia; il tempo, alcune ore, è passato velocemente296.
294
Ivi, p. 57.
295 Ivi, p. 67.
L’ennesima navigazione, stavolta tutta a vela, dalle Bocche a Ragusavecchia è l’occasione per ripresentare nelle pagine del diario l’interazione della coppia natante-navigante e la vera percezione dei movimenti della barca, del timone, del vento. Il corpo e i movimenti del narratore, per l’occasione timoniere, sembrano in questa fase essere in perfetta sincronia con quelli della nave. È nei momenti di silenzio come questi, innescati e mediati dall’imbarcazione, che tali sensazioni si rafforzano, e il muto comunicare tra lo spazio oggettivo dell’ambiente di bordo e quello soggettivo del narratore si compenetrano. È in quei silenti istanti che
la percezione chiara del vento e del mio corpo sulla barca si confondeva con la sensazione di un presente che sembrava sottrarsi al passato, per divenire un sicuro movimento uniforme: scopro una specie di stabile futuro, in quel restare sospeso galleggiando, ma continuamente sospinto […]297.
Ancora una volta, dunque, si intuisce quante influenze la commistione tra meccanismi odeporici, paesaggio adriatico, natante e navigante esercitino non solo sulla percezione spaziale o estetica, ma anche su quella temporale del viaggio stesso. Questa esibizione di istantanee e impressioni adriatiche si traduce in un linguaggio per immagini, fotografico, nonostante la tenuità delle luci che lottano contro l’oscurità della notte adriatica:
Al buio, il tempo in mare ha la velocità di immagini luminose ora persistenti ora disordinate. Come quando ad esempio, al ritorno, in navigazione notturna a motore su un mare liscio come una tavola, costeggiando nella sua lunghezza una Korčula buia, punteggiata da rare fioche luci, ripenso a […]298.
Si omette volontariamente l’oggetto del ricordo dello scrittore. Importante è focalizzarsi sull’atto mentale, sull’intimo rivangare indotto dalla
297 Ivi, pp. 79-80.
navigazione e dal tempo soggettivo scandito dal motore o dalla vela, beatamente indotto dalla cornice notturna del Mar Adriatico. Lo scorrere del flusso temporale sulla barca è sempre evocativo di immagini, e lo si è potuto verificare in una grande varietà di situazioni, anche in questa fase notturna. Basta lo sfolgorio di due fulmini a illuminare tenebrosamente la terraferma, fissando per un attimo eterno i profili dei monti e delle isole, e inghiottendoli subito dopo nell’oscurità. La navigazione prosegue a vela, silenziosa, congelando la percezione temporale, quasi annullandola. Con essa, l’intensità della descrizione del paesaggio si riduce fin quasi a interrompersi, per poi ricomparire con l’alba, che consente finalmente al viaggiatore di scorgere e annotare il consueto trionfo cromatico del paesaggio adriatico.
La barca, la libertà di movimento per il mare, la possibilità di cambiare piani e progetti di navigazione anche all’ultimo momento, sono tutti indicatori preziosi per chi deve redigere un diario di viaggio, sia esso un isolario o un altro tipo di resoconto. Quando il redattore del diario propone dunque all’equipaggio di cambiare i piani di navigazione e dirigersi verso l’isola di Lagosta (Lastovo), l’ipotesi suscita alcune divergenze, ma si trasforma ben presto in una concreta presa di posizione, e alla fine si decide di dirigere il “Serengeti” verso la piccola isola a sud di Curzola.
Anche durante l’ennesima micronavigazione notturna per
l’Adriatico299 gli ambienti di bordo si trasformano in galleggianti ispiratori di considerazioni pseudofilosofiche, con uno scambio di vedute tra lo scrittore e lo skipper, rintanati nel pozzetto a discorrere sul cielo, sul pulviscolo atmosferico, sulle stelle e sul mare. Da qui si giunge all’elaborazione di un’interessante declinazione del rapporto natante-navigante, riflessione già emersa nelle pagine di Kitzmüller in forma di monologo300: quella dell’intima
299 La breve navigazione notturna qui menzionata è introdotta e conclusa, come d’abitudine nella cifra stilistica dello scrittore, da rapidi tecnicismi, facendo uso di sintagmi costruiti su un lessico specifico della navigazione e del mezzo di trasporto, che conferiscono alla narrazione una decisa e gradevole impronta: «abbiamo quindi levato l’ancora», «bella navigazione notturna con il pilota automatico», «prua rivolta verso Lastovo», «bisognava regolare uno o due gradi in più o in meno», «qualche onda larga [provocava] un seppur minimo scarroccio»: ivi, p. 164 e passim),
e quasi sovrannaturale relazione tra barca e marinaio, tra legno viaggiante e corpo umano viaggiatore, per bocca dello skipper Plešič, secondo il quale
a forza di navigare ritrovi anche il vero rapporto del tuo corpo con ciò che esiste veramente nello spazio in cui ti muovi. […] Andare a vela, in un certo senso, ti rimette al tuo posto. Perché fra te, la tua barca e il vento non c’è altro che la vela che hai regolato […]301.
Quando l’equipaggio è in vista dell’isola di Lagosta, il mezzo di trasporto veicola e descrive prosaicamente il momento dell’attracco. Avendo evocato la figura di Joseph Conrad, il narratore sta commentando un’opera dello scrittore polacco, segnatamente La linea d’ombra, descrivendone alcune delle scene più “apocalittiche” (l’equipaggio debellato dalla pestilenza, un mare incredibilmente immobile che fa pensare quasi a uno stato materiale semisolido, la rassicurante ma opprimente disposizione delle stelle). In quel momento, all’immagine dello scafo conradiano con il fianco accarezzato dalla spuma del mare viene sovrapposta quella del “Serengeti”, anch’esso accarezzato da ali di spuma.
Ecco di seguito la sequenza narrativa, a partire proprio dal momento della dissolvenza incrociata che prelude al racconto dell’attracco, impreziosito, com’è ormai naturale aspettarsi, da rilievi paesaggistici, storici e architettonici dell’isola e del mare che la lambisce:
Sul fianco della nave [quella del romanzo di Conrad] sorgeva un bianco, esile crinale di spuma, sottile, molto sottile. Due ali di spuma prendevano a scorrere sui fianchi della nave…
E due ali di spuma presero effettivamente a scorrere sui fianchi della Serengeti.
Lastovo a quattro-cinque miglia. […] Guardavo il prospetto dell’attracco […]. L’attracco di Sv. Mihovil è un ampliamento dell’antico porticciolo di Lastovo in una piccola baia ai piedi di una costa alta, una parete verdissima