IL MEZZO NAUTICO E LE SUE INTERAZIONI CON IL TESTO-PAESAGGIO ADRIATICO
1.1 Letteratura del mare, imbarcazioni e Mar Adriatico: coordinate critiche e teoriche
1.2.8 Stelio Mattioni e l’ossessione di una barca sulle rive dell’alto Adriatico
Rimanendo in area alto-adriatica, un romanzo ricco di spunti per questo lavoro è Vita col mare, del triestino Stelio Mattioni137. La totalità dell’ambientazione di fondo è prettamente adriatica, più precisamente collocabile in zona triestina. Il mezzo nautico, che grande importanza rivestirà nell’evolversi della vicenda, si manifesta immediatamente creando la giusta atmosfera di sorpresa sin dall’incipit, con il subitaneo attracco nel porto di Muggia138. Si tratta di una misteriosa barca di grosso tonnellaggio, denominata “La Flèche”, mai vista prima navigare o approdare in quelle acque: una barca che identifica materialmente l’elemento-chiave, in questo romanzo, di quel senso di mistero di cui il mondo letterario di Mattioni è pervaso139. Il comandante del naviglio è un francese di nome Lecocque: personaggio infimo, ributtante (e probabilmente il meglio riuscito del romanzo), ridotto alla semi-immobilità e grasso come un balenottero, utilizza le finestre della cabina di comando, al cui esterno non può e non vuole avventurarsi e a cui è “ancorato” da un seggiolone di legno appositamente costruitogli, come occhi sul mare e sulla città. Quella barca, potente tema-simbolo di tutto il romanzo, si segnalerà anche come principale reificazione della surreale e morbosa relazione amorosa tra due dei protagonisti: Piero, secondo del comandante della Flèche, e Angelina, donna contesa fra lui stesso
137 S. Mattioni, Vita col mare, Milano, Adelphi, 1973.
138 Ultima città italiana prima del confine sloveno, sita a poco sud di Trieste, geograficamente appartenente alla penisola d’Istria. Di questo comune giuliano, nel corso del romanzo, non saranno risparmiate notazioni di carattere storico e geografico, con la citazione dei monumenti principali, incorniciandoli in ulteriori notazioni paesaggistiche in cui trionfa soprattutto il mare, ma anche elementi accessori come macchie di vegetazione, perfino cespugli di bacche e more
139 Riguardo al concetto di “mistero” nella narrativa dello scrittore triestino cfr. A. Mezzena Lona, Mattioni e le interferenze dell’ “altrove”, in Breve viaggio nel mondo di Mattioni,
Breve viaggio nel mondo di Mattioni, Convegno tenuto a Trieste il 14 maggio 2003, Trieste,
Provincia di Trieste-Circolo della cultura e delle arti, 2003, pp. 35-38, nonché le numerose pagine dedicate all’argomento in B. Duda, Stelio Mattioni narratore, in «Archeografo triestino», s. 4, 2003, vol. LXIII (CXI della raccolta), pp. 459-591.
e un rude e aggressivo pensionante ospitato dalla donna, soprannominato “lo scimmiotto”140, che rimanda di continuo il momento di pagare la pigione e abbandonare la camera, nonostante i ripetuti inviti della proprietaria.
Per tornare al ruolo della barca in rapporto all’ambiente e al paesaggio adriatici, si deve innanzitutto precisare che essa si delinea come solido e unico centro di convergenza degli stati mentali di Piero141. In questo richiamo della barca e del suo universo metaforico sono evidentemente simbolizzate e concentrate microtematiche umane e marinaresche rivisitate dall’universo del mare: la necessità di movimento, di confronto, di conoscenza, il bisogno di avventura e di combattere la propria inquietudine. Piero è un marinaio, il suo pensiero non può che andare di continuo alla “Flèche”, soprattutto nei periodi in cui non naviga e va a fare visita ad Angelina, unico appiglio apparentemente saldo nella sua insofferente vita terricola. Proprio quella barca, che dopo alcune evoluzioni e colpi di scena della narrazione ha intanto cambiato proprietario, diventa infine l’ossessione di Piero, che spera di ritornarvi a bordo. In queste fasi del romanzo il contatto con la barca è fortemente cercato, e i toni generali sono degnamente incorniciati da un paesaggio adriatico avvolgente, delineato nella prosa descrittiva non solo tramite riferimenti a elementi naturali o architettonici, ma anche facendo ricorso a un’efficace elencazione di scorci istriani:
Ogni giorno, dunque, Piero si sedeva sul molo, vicino all’ormeggio della “Flèche”, e con le gambe penzoloni sull’acqua passava il tempo a non far nulla.
A sinistra si vedevano San Rocco, Punta Sottile, Punta Grossa, il filetto della diga; a destra si vedevano Zaule, San Sabba e il Punto Franco; di dietro, infine, il piccolo Mandracchio, la piazzetta di Muggia piena di gente,
140 Lo scimmiotto è anche il titolo della prima parte del romanzo.
141
A conferma della valenza nodale della barca nella narrazione, della sempre crescente e pura ossessione del marinaio verso essa, delle sue implicazioni simboliche e metaforiche nell’impianto narrativo del romanzo, cfr. ad esempio p. 61: «Quando Piero si svegliò, il sole era ormai alto e Angelina non gli era più vicina. Il suo primo pensiero andò alla barca che lo aspettava per partire, e fu quello che lo mise in piedi»; o, ancora, a p. 116: «solo la barca gli interessava […]. Una volta lì [in porto, dove la Flèche è agli ormeggi], infatti, non faceva che guardarla e riguardarla, prima in piedi, poi seduto sull’orlo del molo […]».
con le colline sullo sfondo, azzurre per la lontananza, che riuscivano sì e no a sopravanzare il campanile della chiesa142.
Il filo d’ossessione che lega Piero alla barca si fa sempre più evidente e teso, tanto che, in una nottata offuscata da una sbornia, il marinaio si rende conto dell’improvvisa scomparsa della barca dal molo di Muggia. Questo evento, alla luce delle vicende nel frattempo succedutesi, si traduce nel pericoloso e ben presto distruttivo vacillamento della sua stabilità mentale. Impossessatosi fraudolentemente di una piccola barchetta a motore, Piero decide di andare a Trieste nottetempo, sulle tracce della “Flèche”. Sono fasi del romanzo da cui possiamo isolare e analizzare due peculiari momenti adriatici, molto vicini sull’asse narrativo temporale ma figurativamente ben distinti: da un lato la partenza da Muggia, a bordo dell’insidioso “guscio di noce” rubato, con un mare poco visibile, riferimento scenico in armonia con un ambiente adriatico torvo, poco conciliante, così come confermeranno le accidentate fasi di navigazione sulle quali tra breve ci si soffermerà; dall’altro, l’agognato arrivo a Trieste, il ritrovamento della barca, un contesto paesaggistico adriatico più affascinante e rassicurante del primo143, in cui sono riconoscibili a un occhio attento i profili delle canottiere galleggianti sublimemente descritte da Pier Antonio Quarantotti Gambini nel suo L’onda
dell’incrociatore. È proprio lì che “La Flèche” è alla fonda, come se
attendesse Piero.
Tornando alla fase intermedia di questa microscopica traversata adriatica, essa merita di essere analizzata perché rappresenta un ottimo esempio della peculiarità di interazione tra il meccanismo narrativo, le dinamiche che si creano tra barca, sfera psicomotoria del personaggio (e dunque suo movimento nella scena) e cornice paesaggistica adriatica, con il mare che a contatto con la barchetta produce i suoi tonfi, in una navigazione sorprendentemente resa difficile dalle ridotte dimensioni del natante, la cui
142 S. Mattioni, Vita col mare, cit., p. 116.
143 Suggestiva e degna di nota è la fotografia di una Trieste “sottomarina”, ben costruita da Mattioni giocando con i contrasti paesaggistici tra le luci delle rive, il buio troneggiare degli edifici sul mare, lo sfumare dei loro profili nel cielo, un Adriatico portuale evanescente e quasi magico che sembra indulgere in un cenno di assenso all’intero e armonico quadro scenico, con i suoi saettanti guizzi luminosi; cfr. ivi, p. 129.
prossimità all’acqua confonde il marinaio nella notte adriatica. L’avvicinamento a Trieste si profila dunque difficile, anche per un esperto uomo di mare come lui, costretto a farsi guidare dall’odore del pesce per evitare i bragozzi alla fonda. L’Adriatico notturno, intanto, trionfa in tutta la sua dimensione metaforizzante e sinistramente oscura, tanto che Mattioni fa ricorso a un’efficace similitudine, perfetta nella sua concreta materialità ma attenuata da un contraltare cromatico quasi opposto:
Piero, sul suo guscio di noce, avvertì fin dall’inizio le difficoltà che l’aspettavano. Dall’alto di una barca vera, sarebbe stata tutt’altra cosa; ma con quell’acqua così vicina, e la notte contraria, tutto tendeva a confondersi davanti ai suoi occhi […].
[…] non vedeva che acqua, un’acqua nera nera e compatta, simile a una tavola di marmo. Era il mare; […] intimamente bianco, pieno di mulinelli, di nodi e di trucioli di spuma, sempre a passo di danza. Era il mare; e il mare, o lo si prende per il verso giusto o sono guai144.
La simbiosi della coppia tematica uomo-natante, affascinante momento letterario, con l’uomo che è artefice del proprio destino anche grazie alla sua perizia nel navigare e nella sua eterna sfida con il mare, sortisce i suoi effetti, con un’attenzione elevata al momento di contatto tra corpo umano e ligneo, con il timone quasi tramutato in propaggine della mano stessa. Lo schema narrativo segue, nello spazio di poche righe, un percorso lineare schematizzabile dalla sequenza nervi/mano/timone/navigazione/destino:
[…] sicuro di se stesso, si guardò la mano posata sulla barra e confusamente pensò che il suo destino dipendeva in buona parte dalle innumerevoli vene che, partendogli dalle dita, gli salivano lungo il braccio, diramandosi dappertutto per il corpo145.
In tale atmosfera, movimentata dalla difficile e avventurosa localizzazione della “Flèche”, irrompe un nuovo mezzo di trasporto: un treno
144 Ivi, pp. 125-126.
dal fischio insolente e molestatore, che darà non poco filo da torcere alla mente già fin troppo in subbuglio del marinaio in cerca della sua barca. Seppur non attinente al tema di questo capitolo, si vuole comunque menzionare il convoglio ferroviario proprio in relazione all’immagine e al ruolo della barca in questo momento della narrazione, in cui esso rappresenta l’altro estremo del binomio terra-mare, metafora e concretizzazione meccanica della direzione predeterminata, fissa e immodificabile impressa al movimento dal viaggio su rotaia, contro quella libertà rappresentata dall’andar per mare, dall’irregolarità delle rotte, dalla ribelle indipendenza della vela. Piero non può che ribellarsi a quel fastidioso e incombente sibilo meccanico di locomotore, in un urlo liberatorio che preclude all’entrata in acque portuali più tranquille e all’imminente ritrovamento dell’adorata “Flèche”:
[…] siccome il fischio della ferrovia insisteva, urlò: - Ma si può sapere cosa vuoi? Lasciami in pace! […]
Seguì un silenzio, la barca bordeggiava verso la Lanterna, in acque tranquille […]146.
A questo punto, e prima di seguire il marinaio negli istanti che precedono la sua fine, compaiono nel romanzo due scene in cui il paesaggio adriatico si manifesta intensamente, osservato in entrambi i casi dall’alto in tutta la sua suggestione scenica. Nella prima, il panorama adriatico è osservato dalla sommità di un edificio portuale: lo sguardo di Piero funge quasi da telecamera narrante, con un’inquadratura iniziale molto larga, distesa sui colli di Trieste e comprendente anche il castello di Miramare, scogliere e abitazioni abbarbicate, ma anche monumenti industriali come gru e insediamenti cantieristici; l’inquadratura si sposta in seguito sullo sterminato mare, per poi “stringere” proprio sulla “Fléche”, punto focale della panoramica e della narrazione. È proprio dalla coffa della barca che Piero, riuscito a issarsi fin lassù in preda ormai alla follia, interagisce appieno con il paesaggio sterminato che si trova davanti agli occhi, in un trionfo paesaggistico e visivo
che non può prescindere da elementi urbanistici e marittimi di quel lembo di Adriatico:
[Piero] vedeva il faro, la Lanterna, i segnali verdi e rossi delle dighe, e tutta questa luminaria lo fece finalmente sentire se stesso, unico al mondo, Padrone senza condizioni147.
Quello status di “Padrone”, con l’iniziale significativamente maiuscola, è ovviamente una condizione autoindotta, solo mentale e da sempre utopistica, che è il preludio alla morte, all’uscita di scena del personaggio che coincide con la fine del romanzo. E si tratta di una fine scenograficamente e concettualmente suggestiva, con uno schiocco di cima spezzata che propizia un ritorno a capofitto al mare e alle sue rassicuranti tenebre, seguendo un impulso volontario e consapevole dell’unica via di uscita, quasi candidandosi a nostrano epigono del Martin Eden di Jack London148.