IL MEZZO NAUTICO E LE SUE INTERAZIONI CON IL TESTO-PAESAGGIO ADRIATICO
1.3 Il medio e il basso Adriatico italiani
1.3.3 Il “levantazzo” di Mallardi
Mare Adriatico, barche, vento, pescatori e pesci: di tutto questo è infarcito il poco noto Levantazzo di Antonio Mallardi, delizioso romanzo marinaresco a sfondo piscatorio e spiccatamente adriatico, narrato in prima persona, totalmente focalizzato sui mezzi di trasporto (soprattutto, come si vedrà tra poco, su una barca, il cui acquisto da parte del protagonista rappresenterà l’occasione di cambiare vita).
Un’opera di amplissimo respiro marinaro, dunque, che nel suo sviluppo offre una visione quasi etnologica della Puglia marittima (settentrionale e isolana) della fine degli anni Sessanta del XX secolo:
191 Ivi, p. 436.
tecniche di pesca, dinamiche del viaggio cristallizzate negli eterni momenti della partenza e del ritorno, “irruzioni” nel microuniverso dei pescatori (naviganti o stanziali che siano), continui riferimenti al lessico specifico. La presenza del basso Adriatico è avviluppante, fortissima. Questo romanzo presenta anche alcune analogie con i toni delle opere marinare-piscatorie di Giovanni Comisso o Biagio Marin e, cifra stilistica a parte, le ambientazioni e alcune tecniche descrittive del paesaggio e della vita dei pescatori appaiono spesso quasi sovrapponibili. Una coincidenza, questa, tanto più notevole se si considera che avviene sulla sponda adriatica italiana, geograficamente speculare di quella orientale.
I sapori, le istantanee, gli odori, le brezze dell’Adriatico travolgono il lettore già nel capitolo iniziale, in cui Mallardi rivaleggia ironicamente, rendendogli omaggio, con Moby Dick e con il suo celebre incipit, coinvolgendo immediatamente nella sfida (dichiaratamente persa in partenza) anche i teatri galleggianti dell’incontro-scontro tra uomo e mare: le navi. Il protagonista Antonio, infatti, ridimensiona la personale vicenda che si appresta a raccontare, paragonandola a un mezzo nautico minore rispetto al veliero del capolavoro di Melville. Il ridimensionamento coinvolge, ovviamente, anche i mari: non di oceani e pesca di balene racconterà Antonio, ma di un mare più ridotto e di tempeste meno impietose, a pescare le “vope” e non mostri biblici; un mare
Dove i venti girano vivaci, dove una brezza c’è sempre, […] dove il gabbiano trova l’aria ancora leggera dei Balcani e degli Appennini al taglio delle sue ali, dove il delfino, ultimo dei leviatani, gioca felice nelle acque lievi e verdi e azzurre193.
Se Levantazzo è in fondo anche la storia di una barca, i viaggi per mare tra le isole Tremiti, il Gargano, il Molise e Bari rappresentano la spina dorsale della narrazione di orizzonte adriatico: è esclusivamente grazie al racconto dei quotidiani viaggi piscatori che il lettore entra in confidenza con i personaggi, impara a conoscerli, si abbandona al piacere della lettura.
La barca compare subito come protagonista, immediatamente individuata come oggetto-simbolo della sterzata biografica, del cambio di vita cercato e voluto dal protagonista Antonio, che è tutto tranne che pescatore, essendo infatti un violoncellista barese ormai disilluso dal suo lavoro di suonatore per matrimoni o battesimi in chiesette scalcinate della “Bari vecchia”, quella racchiusa nelle mura del centro storico. L’incontro fatale con la barca arriva dunque quando Antonio è in questa condizione personale di incertezza e inquietudine, di stordimento emotivo. I momenti dell’incontro con lo scafo e dell’acquisto sono descritti velocemente, ma vale la pena di considerare l’inusuale appiglio narrativo di cui Mallardi si serve per raccontarli, incentrato sulla tattilità del materiale ligneo. Il violoncello, strumento di sostentamento personale, è divenuto per il musicista nient’altro che un’insignificante accozzaglia di legno e ferro; quando, passeggiando nella zona del Fortino, adocchia le barche da pesca ormeggiate al molo, l’epifania è istantanea: il legno attraente194 è adesso quello degli scafi, in particolare quello del “Sacro Cuore”, nome della barca che decide di acquistare sotto l’impulso irrefrenabile del cambiar vita e che sarà il mezzo per la sua lenta ma costante e agognata iniziazione al duro lavoro del pescatore, dell’uomo di mare.
I primi quadri narrativi di navigazione in acque adriatiche comunicano abilmente la sensazione dura e gioiosa dell’apprendistato di Antonio, che praticamente vive sul suo “Sacro Cuore”, insieme con l’equipaggio di vecchi ed esperti pescatori che è riuscito a radunare e assumere. Non mancano descrizioni di scorci di terre adriatiche osservate dallo scafo, come questa, breve e notturna:
[…] il fascio di luce azzurra del faro ci accompagnò per un po’ illuminando a tratti tutte le nostre cose, mentre dalle montagne del Gargano un sibilo di aria gelida scendeva fino a noi facendoci tremare195.
194
Degna di menzione è l’esclamazione sineddochica di Antonio: «Che bel legno, pensai guardando una barca: come mi piacerebbe averla […]»: ivi, p. 8.
Prima di seguire la rotta di ritorno verso Bari, vale la pena di citare e analizzare un episodio che coinvolge due mezzi di trasporto, e che si colloca in quella sottocategoria di motivi o topoi relativi agli incontri di mezzi di trasporto in area adriatica, che abbiamo già considerato in altre fasi di questo lavoro. Si tratta dell’avvistamento, da parte della piccola barca di pescatori, di una gigantesca petroliera, che innesca alcune osservazioni simboliche grazie alla contrapposizione parallela tra dimensioni, suoni e rumori, attrezzature e dotazioni di bordo. Questo confronto assume quasi i toni di un metaforico elogio della semplicità a spese di quel senso di complicazione e industrializzazione che promana dalla solenne ma anonima petroliera dall’esasperata meccanica. L’uso calibrato dell’aggettivazione pare finalizzato a enfatizzare il ruolo di quella operosa barchetta:
A un certo punto incrociammo un’enorme petroliera che ci passò accanto sprofondata, lenta, gravida di carico e inanimata. […] tutto un intrico di tubi e verricelli, sembrava che la nave procedesse da sola; poi dietro alle vetrate del ponte vidi due uomini minuscoli, immobili. Sulla nostra barchetta, un misero pezzo di legno, tutto invece formicolava di gesti, di uomini, di fatica. I motori rombanti della petroliera coprirono per un attimo tutti i rumori sulla barca, lasciandoci poi come una piccola cosa dimenticata su quel mare […]196.
Avanzando nella narrazione, ci si trova ancora a Bari, sul mare, nuovamente al momento di una partenza, l’ennesima. Dopo l’inverno, e dopo che l’Adriatico si è acquietato un poco, l’equipaggio decide infatti di cercare il pesce allontanandosi dalle coste, verso orizzonti più aperti, verso l’isola di Pianosa. Navigando verso questa nuova e potenzialmente propizia avventura emerge presto l’antitesi spaziale che la struttura del racconto in questa fase costruisce, prospettata esclusivamente grazie all’alternarsi di visuali del mare e della barca.
I due estremi descrittivi dell’impianto scenografico sono un Adriatico “cittadino”, idealmente e materialmente dotato di connotati urbani, e la
pseudo-sconfinatezza dell’alto mare. Si tratta di due modi di vita davvero diversi, seppur complementari e accomunati dall’elemento acqueo. Il malessere che i pescatori provano non potendo andar per mare, e dunque non essendo in grado di provvedere al sostentamento della famiglia, è riassunto in un efficace sintagma contenuto nella narrazione: “malattia di casa”. Una casa che è teatro di attività solo ausiliarie alla pesca vera e propria, svolte in prevalenza da donne e bambini, che accentua il divario tra la gente di mare e quella che rimane sulla costa a lavorare e sopravvivere.
La città, il porto e la loro visione angosciano il narratore-protagonista Antonio, che si accorge di come l’atmosfera cambi sulla sua pelle e in tutto il suo essere non appena salpato per il (seppur relativamente breve) viaggio verso le isole: gli orizzonti si allargano non solo metaforicamente, l’aria e tutto l’ambiente si arricchiscono di salubrità, così come i suoi pensieri. Mollati gli ormeggi, dunque, con l’allontanamento dal porto e con le isole come meta, assistiamo a un serrato e graduale susseguirsi di cambiamenti, grazie al mare prima, alla sfumatura marittima e navigante poi, per arrivare alla modificazione dello stato psichico: dalle acque semimelmose a causa degli scarichi di piroscafi al mare più puro, a tutti i membri dell’equipaggio, che ci comunicano per bocca di Antonio il senso di gioia speranzosa, con lo sguardo fisso sulla sopraggiungente e bianca cattedrale di San Nicola, essa stessa resa in similitudine come una meravigliosa nave incastonata sulla terra.