IL MEZZO NAUTICO E LE SUE INTERAZIONI CON IL TESTO-PAESAGGIO ADRIATICO
1.4 Adriatico orientale, Quarnero, Dalmazia, Albania e area balcanica
1.4.2 Sul piroscafo con Augusto Giacosa nel “paese dei turbanti”
Sono tutt’altro che rare le relazioni di viaggio adriatico dall’una all’altra sponda, pubblicate alla fine del XIX secolo, a cui è attribuibile una decisa connotazione etnografica, effettuate anche a bordo di piroscafi naviganti sulle tratte interadriatiche esistenti in quel periodo e che spesso si rivelano non solo efficaci sorgenti visive nella descrizione dei paesaggi equorei e panoramici, ma anche prezioso strumento di indagine storica e socioculturale del periodo, non di rado collegati a viaggi in treno e carrozza. Si tratta di un filone abbastanza fertile della letteratura di viaggio e della letteratura adriatica, che sarà spesso oggetto di indagine in questo lavoro e che
225 La stessa Dalmazia è metaforizzata in navicella nelle Scintille, mentre è noto come il mare, pur non essendo depositario di consistenti e notevoli riferimenti, sia una sorta di macrotema della vita e dell’opera di Tommaseo. Per un’angolazione adriatica dell’opera tommaseiana e per i riferimenti ai suoi viaggi per mare in vapore, cfr. S. Roić, Tommaseo viaggiatore
adriatico, in V. Masiello (a cura di), Viaggiatori dell’Adriatico. Percorsi di viaggio e scrittura, Bari, Palomar, 2006, pp. 203-214.
226 N. Tommaseo, Dell’animo e dell’ingegno d’Antonio Marinovich, in Id., Opere, a cura di A. Borlenghi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1958, p. 682.
a esso riserverà molti spunti e conferme per il sottomotivo che interagisce con i mezzi di trasporto, soprattutto quelli nautici.
Rimanendo brevemente sull’arco cronologico tommaseiano appena esaminato, si può allora menzionare il “panadriatico” scritto odeporico di Bartolomeo Biasoletto227, redatto alla fine di un lungo viaggio in piroscafo228 e carrozza per l’Istria, la Dalmazia e soprattutto l’allora semisconosciuto Montenegro, intrapreso nel maggio del 1838 accompagnando il re di Sassonia Federico Augusto II, e pubblicato nel 1841. La relazione, oltre che intrisa di notazioni naturalistico-botaniche, è densa anche di spunti letterari e, ciò che qui interessa maggiormente, di riferimenti al sottomotivo adriatico in esame, seppur concentrati in poche pagine. La prosa odeporica del botanico italiano, infatti, oltre a soffermarsi necessariamente sulla divulgazione delle componenti etnografiche e storiche dei paesi visitati, regala attitudini e
rifunzionalizzazioni paesaggistiche dei mezzi di trasporto navali,
zoomorfizzazioni, scorci adriatici rielaborati dal mezzo natante, teatri portuali delle città costiere di Istria e Dalmazia descritti dal punto di vista del mezzo stesso, registrazioni delle reazioni degli abitanti alla vista del bastimento a vapore ancora sconosciuto per quei luoghi. Questa relazione non sarà qui compiutamente analizzata, dato che concede poco spazio alle pur numerose declinazioni del sottomotivo in esame, privilegiando la menzione delle osservazioni etnografiche e soprattutto botaniche del viaggio.
Compiendo invece un balzo in avanti di qualche decade, la presenza del nostro sottomotivo narrativo-descrittivo dell’Adriatico si può apprezzare più diffusamente nelle pagine di una corposa relazione odeporico-etnografica di Augusto Giacosa, pubblicata nel 1890 e ricca di interazioni con i mezzi di trasporto, un’opera adriatica poco conosciuta e scarsamente analizzata perfino negli studi più specialistici del genere, in cui l’esperienza odeporica del
227 B. Biasoletto, Relazione del viaggio fatto nella primavera dell'anno 1838 dalla maestà del
re Federico Augusto di Sassonia nell’Istria, Dalmazia e Montenegro, Trieste, Favarger, 1841.
L’opera è stata ristampata nel 2000 per i tipi della casa editrice leccese Pensa Multimedia, corredata di un saggio introduttivo di Vesna Kilibarda. Per una nota biografica dell’autore, cfr. V. Giacomini, voce Bartolomeo Biasoletto, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 10, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1968, pp. 288-290.
228 Segnatamente si tratta del “Conte Mittrowsky”, della compagnia di navigazione del “Lloyd triestino”, la quale comparirà spesso nelle prossime pagine dedicate alle prose del XIX secolo.
territorio visitato e raccontato è quasi equamente divisa tra carrozza e mezzo navale, con un ruolo non marginale affidato al treno, che però non sarà preso in esame dato in questo studio, dato che riguarda territori dell’entroterra balcanico. La particolarità che contraddistingue lo scritto è quella di individuare nel copricapo tipico dei Balcani orientali una sorta di concretizzazione etnologica, filo conduttore della lunga ricognizione adriatica balcanica, e prezioso valore aggiunto della relazione di viaggio. Con le suggestioni adriatiche di Charles Yriarte ben impresse nella mente, spesso citate nel suo lavoro, a conferma della loro grande utilità nella fase propedeutica al suo viaggio229, Giacosa parte da Ancona alla volta di Zara, cominciando una ricognizione di tipi umani e di costumi locali che lo accompagnerà fino a Sarajevo e all’ “Oriente slavo”.
Le prime notazioni odeporiche delineate a bordo del piroscafo sono un concentrato di informazioni sociologiche e paesaggistiche di quel tratto adriatico fotografato alla fine del XIX secolo, e il mezzo di trasporto è ovviamente insostituibile medium letterario-culturale per quello che rappresenta un intento secondario dell’autore. Giacosa, infatti, introduce lo scenario proprio mentre si trova a bordo del piroscafo della “Società di navigazione generale italiana”, compagnia della quale menziona linee, orari e destinazioni, non lesinando pareri sull’organizzazione e soprattutto tenendo in debita considerazione la concorrenza delle sempre più competitive strade carrozzabili del recente sistema stradale della Bosnia ed Erzegovina. I profili socioeconomici del resoconto diventano ben definiti, in seguito, proprio grazie al piroscafo. Se inizialmente esso è fonte di riflessione sull’opportunità di inaugurare nuove linee italiane di comunicazione per le città di Bari e Ancona con Spalato, la quale sta per potenziarsi grazie ai collegamenti stradali con i paesi dell’interno, sarà la scarsezza di passeggeri sulla linea per Zara a suggerire allo scrittore-viaggiatore più di un dubbio sulla situazione economica della linea stessa. L’osservazione si sposta presto sull’ambito
229 Riguardo al cortocircuito semantico delle locuzioni “letteratura di viaggio” e “letteratura da viaggio”, cfr. E. Guagnini, L’arcipelago odeporico. Forme e generi della letteratura di
viaggio, in G. Scianatico, R. Ruggiero (a cura di), Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, Bari, Palomar, 2007, p. 29, ora in Id., Il viaggio, lo sguardo, la scrittura, cit., p. 1.
descrittivo e paesaggistico: accompagnata dal beccheggio del piroscafo, la scena adriatica si condensa nei suoi più tipici elementi (cromatici, deittici, portuali, antropici e antropologici), e con altre navi a fungere da preziosa e “parlante” componente scenica:
Le bianche case di Zara (Zadar) appariscono da lontano a chi arriva dal mare grigiastre come quelle di Carrara: alle 5 pomeridiane il Napoli [è il nome del piroscafo su cui è imbarcato lo scrittore] si arresta presso la banchina del porto, fra una nave da guerra a sinistra, e a destra il Delfino, piroscafo del Lloyd in partenza per Corfù.
La banchina è piena di facchini affaccendati, nel loro caratteristico costume slavo dal berrettino rosso, rotondo, appuntato, e di donne dalle forme sviluppate, che a passo lento, lungo, pesante e cadenzato lavorano quanto gli uomini a portar pesi sopra il capo230.
La navigazione e l’interazione tra il mare e lo scafo regalano al lettore i consueti quadretti, corredati dagli elementi cromatici e antropici dell’Adriatico, con una prosa descrittiva che spesso si vena di enfasi pittoresca e di attenzione al dettaglio scenografico. Lo scrittore, proprio grazie allo scafo che fende le acque e “serpeggia” tra le isole, si sofferma sul contrasto cromatico e faunistico percepibile tra le rive continentali e isolane, spruzzate le une di vigneti, boschi e bianchi paesini, le altre di fortilizi, castelli, scogli aspri e l’immancabile leone di San Marco, vessillo litico di una Repubblica Serenissima che, all’epoca della redazione del resoconto, era tramontata da nemmeno un secolo. La tavolozza adriatica osservata dal mezzo nautico esercita un grande impatto visivo nella zona del fiume Cherca (Krka) e della sua cascata, dove, preso a noleggio un battellino a vapore (preferito alla via di terra e alla polverosa carrozzabile), dirupi, scogliere frastagliate, picchi e canali non tardano a comporre un ambiente accostabile a quello nordeuropeo, evocando (e non sarà l’unica occasione) l’immagine del fiordo231.
230 A. Giacosa, Nel paese dei turbanti. Viaggio in Dalmazia, Erzegovina e Bosnia, Palermo, Libreria internazionale L. Pedone Lauriel di Carlo Clusien, 1890, p. 21.
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Anche nello scritto odeporico di Giuseppe Modrich, che si analizzerà nel paragrafo seguente, lo stesso scenario è osservato a bordo di una barca, con una fase descrittiva molto dinamica che sfrutta appieno le potenzialità dell’effetto ingranditore della navigazione. La
Anche alcune coordinate temporali giungono a inserirsi nell’organicità della prosa. Sono infatti molto frequenti i riferimenti alla puntualità delle linee di navigazione232, e siamo dunque di fronte a una nuova componente del sottomotivo adriatico in esame, efficace nel dipingere uno scenario di quei tempi, sotto forma di relazione di viaggio. Nella navigazione da Zara a Sebenico, per esempio, il piroscafo emette il suo deciso fischio «alle 11 ant. in punto, senza nemmeno un minuto di ritardo nell’orario stabilito […]»; da Sebenico si mollano gli ormeggi «alla esatta ora dell’orario, con puntualità assolutamente militare», e si attracca a Spalato «alle 10,15 ant., ora stabilita dall’orario»233, dove il piroscafo in manovra d’attracco entra inevitabilmente in competizione scenica (perdendola) con le mura del palazzo di Diocleziano.