IL MEZZO NAUTICO E LE SUE INTERAZIONI CON IL TESTO-PAESAGGIO ADRIATICO
1.3 Il medio e il basso Adriatico italiani
1.3.5 L’Albania, il Canale d’Otranto e l’incrociatore: Raffaele Nigro
Spostandosi in area adriatica pugliese, ci si dirigerà ora in un punto dove il mare si restringe fin quasi a far toccare le coste del Salento e dell’Albania. È in quel tratto che è ambientato Adriatico, dello scrittore e giornalista lucano Raffaele Nigro, un anomalo reportage che si avvicina notevolmente alla struttura del diario di bordo, una delle tante testimonianze scritte di tutto quello che era diventato il basso Adriatico alla fine del secondo millennio: teatro di contrabbando di armi e tabacco, di traffico di clandestini e di traversate dei disperati albanesi imbarcati su quelle fatiscenti e arrugginite imbarcazioni che la stampa in quel periodo definì “carrette del mare”, coniando una nuova e ancora oggi adoperata locuzione polirematica, che ricorre frequentemente nella produzione orale e giornalistica italiana. L’elemento equoreo e adriatico, come d’abitudine nella produzione narrativa dello scrittore215, è anche qui da considerare nella sua accezione accentratrice, quasi braudeliana.
Il reportage è strutturato attorno ad alcuni flashback a incastro. Protagonista è lo stesso giornalista-voce narrante, che naviga verso le coste dell’Albania a bordo dell’incrociatore “Medusa”, sulle tracce di una grossa nave mercantile alla deriva, carica di profughi. Grazie ai flashback, la figura di questo personaggio-narratore si affaccerà su due “finestre” che si aprono su due momenti cronologici diversi e lontani tra di loro: quello attuale della narrazione e quello, anteriore, che racconta le vicende del narratore da giovane, politicamente impegnato. Compaiono inoltre le figure della moglie e del padre, rievocato nel ricordo della sua avventura militare nel 1939,
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Cfr. M. Arriaga Flórez, L’Adriatico di Raffaele Nigro: il mare, i mari, l’utopia, in B. Van den Bossche, M. Bastiaensen, C. Salvadori Lonergan (a cura di), «…E c’è di mezzo il mare», cit., p. 230.
anch’egli imbarcato a bordo di una nave militare e rimpatriato in Puglia a bordo di un treno216.
Questa struttura conferisce alla narrazione un movimento più deciso, soprattutto se considerata in relazione al ruolo centrale che la nave militare, con le sue dinamiche di bordo impostate sulle gerarchie e sulle figure di comandanti e subalterni, e spesso anche nei suoi “incontri adriatici” con altri mezzi, assume nello svolgersi del reportage.
Il “Medusa” occupa la scena già nelle fasi iniziali, soprattutto a causa dei tanti rumori di bordo, tra meccanici cigolii della sala macchine e note musicali di una sinfonia provenienti dall’alloggio del comandante. Il Mar Adriatico è utilizzato a scopo di collante scenografico, per unire idealmente e in diacronia le tre figure protagoniste. L’incrociatore si segnala allora ben presto come ponte narrativo verso il (seppur brevissimo) ricordo della nave militare che vide il padre del giornalista imbarcato in un’altra guerra. In quest’orizzonte, la componente geografica dell’Adriatico si inserisce nei profili delle coste montenegrine e albanesi immaginate dal narratore, in navigazione verso est.
La narrazione, pervasa costantemente dai flashback, prosegue tra descrizioni della vita di bordo e degli stati d’animo dovuti all’avvicinamento all’obiettivo: il carico di profughi. Tocca stavolta a mezzi di trasporto civili provocare repentine impennate e modificazioni del ritmo narrativo. Scambiate per quelle dell’imbarcazione alla deriva, infatti, alcune luci avvistate al largo richiamano l’attenzione di tutto l’equipaggio, militare e civile:
Ci siamo precipitati sul ponte armati di telecamere, di taccuini, di binocoli. Tra trepidazione e supposizioni si è materializzato un traghetto della Venturis Ferries, proveniente da Patrasso. Mi ha ricordato i miti di Omero. Ma nessuno qui può lasciarsi distrarre dai miti, la mente è occupata dal fantasma di una nave alla deriva, un mercantile con duemila… tremila… cinquemila profughi217.
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Un breve accenno a questo “treno adriatico” si trova in questo lavoro, nel capitolo dedicato ai treni: cfr. cap. 2, par. 2.3.3.
La nave militare sarà poi affiancata da un placido e turistico traghetto greco, che risale, ignaro di tutto, verso la sponda italiana dell’Adriatico e il cui carico di rilassati e spensierati turisti è strategicamente collocato in antitesi con quello del “Medusa”; quel traghetto, con la bandiera greca che garrisce, non può sostenere la scena a lungo, e infatti si dirige verso nord, scomparendo e facendo rituffare il lettore nell’atmosfera respirabile a bordo dell’incrociatore.
Giunti a questo punto, si può prospettare una riflessione di più ampio respiro che abbia per oggetto i mezzi di trasporto nautici dell’Adriatico, così come rappresentati in certa letteratura. I destini e le speranze di una moltitudine di uomini sparsi per quel mare, ognuno con la sua storia, la sua ricerca, il suo obiettivo: tutto ciò, in fondo, è contenuto, simboleggiato e messo in potenziale interazione navigante proprio dai mezzi di trasporto che sono protagonisti di opere di ambientazione sovrapponibile o consimile a quella di Adriatico. Qui navi militari, gommoni, mercantili-bagnarola, elicotteri, aerei caccia, ogni mezzo è veicolo di emozioni e personaggi: giornalisti, umanità disperata alla ricerca spesso illusoria di benessere e opportunità dall’altra parte dell’Adriatico, militari che compiono il loro dovere.
Con il procedere della navigazione, approssimandosi alle coste dell’Albania, nessuno tra i membri dell’equipaggio e i passeggeri sfugge agli effetti di un ambiente marino eccessivamente (e sinistramente) afoso, torrido: uno dei vari volti dell’Adriatico, e non tra i più felici e concilianti. È proprio in momenti simili che l’incrociatore diviene, come già si è potuto constatare in narrazioni affini per stile, configurazione o tematiche, solido e provvidenziale rifugio che ripara temporaneamente non solo da eventi atmosferici e condizioni meteomarine sfavorevoli, ma anche da quelle perturbazioni mentali che la natura e il paesaggio possono provocare. Non deve allora stupire che anche il testo-paesaggio adriatico, in questo caso la costa albanese, sia rappresentato in sintonia con simili stati d’animo, zoomorfizzato in un mastodontico e malconcio cetaceo:
Il mare è rovente, un lago di petrolio in fiamme. In quest’afa anche il Comandante […] cerca refrigerio all’ombra delle paratie di poppa. […] anch’io rientro in coperta, mentre la costa albanese affiora dal mare, come una balena malata218.
Una gragnuola di tuoni squassa l’incrociatore. […] inciampo in alcuni marinai che si affrettano nel ventre della nave. I tuoni non si placano, scuotono la nave e mi tengono in apprensione219.
Ecco allora che l’incrociatore si identifica come unico vero scudo per tutto ciò che le dinamiche di bordo e di navigazione possono causare: sensazioni, rivalità, apprensioni, effetti di agenti atmosferici e sconquassi emotivi provocati da avvistamenti veri o presunti. Proprio grazie all’anima muta del “Medusa”, infatti, al lettore è offerta la possibilità di entrare lentamente in contatto con la psicologia di alcuni personaggi secondari come il comandante della stessa nave o il suo aiutante.
Il proscenio adriatico non è popolato solo dalla nave militare. Alcuni nodi narrativi e descrittivi sono infatti funzionali alla presenza di altri e diversi mezzi di trasporto: si tratta di aerei ed elicotteri militari, che atterrano proprio sulla nave e che, contestualizzati nel periodo di redazione del reportage adriatico, assumono valore di testimonianza dei tempi. A questo punto dell’opera, infatti, i punti focali della narrazione sono esclusiva proprio di tre mezzi di trasporto: l’incrociatore, un elicottero dell’Aeronautica militare che atterrerà sul ponte, il mercantile carico di clandestini e obiettivo della traversata del “Medusa”. Le pale dell’elicottero che staziona in coperta solleveranno polvere e vento, che velano telecamere e taccuini, giusto il tempo di consentire a un ufficiale dell’Aeronautica di recapitare un plico segreto al comando della nave ed eclissarsi, sempre a bordo del velivolo. La rotta del “Medusa” subisce alcune segrete modifiche, tali da suggerire ai giornalisti a bordo che il mercantile carico di profughi ha preso una nuova direzione nella sua deriva, ripiegando verso ovest e dunque avvicinandosi probabilmente alla nave militare. La sensazione è confermata dalla
218 Ivi, p. 65.
distribuzione di mascherine e guanti di lattice, per prevenire un eventuale rischio di epidemia, dato che la distanza dal mercantile diminuisce e il contatto con i profughi si fa sempre più probabile. La presenza nella narrazione di questo materiale antisettico e protettivo innesca un commento che abbraccia le tristi vicende storiche ascrivibili non solo all’Adriatico, ma a tutto il Mediterraneo, per bocca di un tenente di vascello di bordo: «Ecco il Mediterraneo […]. Perde il vento dell’Adriatico e si trasforma in una palude. È il mare degli ulivi, ma ci trovi sempre epidemie e guerre»220.
Il ritmo della narrazione è mantenuto teso grazie a un imprevisto incidente di bordo: i motori tacciono improvvisamente, bloccati da quella che è presumibilmente un’avaria, mentre quel tratto di Adriatico è interessato dalla bonaccia. I sospetti e le illazioni a bordo aumentano, ma si scoprirà che l’episodio è davvero causato dall’avaria di ugelli e turbine; l’incrociatore ripartirà presto alla ricerca del mercantile alla deriva.
Non devono però trascurarsi, a questo punto, il paesaggio e la sua descrizione. Esso infatti pare uniformarsi allo stato di calma indotta e coatta degli uomini a bordo: preoccupati e perennemente in stato di allerta i giornalisti, abbottonati e al limite della reticenza i militari. La scena adriatica che ne deriva è di forte suggestione letteraria, e anche in questo caso l’espediente della zoomorfizzazione dello scafo ben si presta a infondere una senso generale di negatività, immobilità, con toni degni di un thriller:
L’acqua inonda l’orizzonte, tinge il fondale del cielo, lo imputridisce. Non un gabbiano. Non un suono. […] Calma piatta e irreale. […].
L’incrociatore non dà segno di vita, è un cetaceo abbandonato. Il silenzio si è steso nei corridoi, sul ponte, nelle cabine221.
220 Ivi, p. 163.