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D e bar Jhwh: la ‘parola-evento’ nell’antico Israele

La nozione di ‚oracolo tragico‛: specificità, prerogative e meccanism

3.4 Una profezia che si autoavvera: la capacità causativa degli oracoli nella tragedia

3.4.3 D e bar Jhwh: la ‘parola-evento’ nell’antico Israele

‚Io, il Signore, parlerò; la parola che dirò si attuerà‛ (Ez. 12, 25, 28).

Il termine tecnico con cui più frequentemente l’Antico Testamento allude alla parola è dābār, usato circa 1500 volte, mentre il verbo che ne deriva, dibber, è usato quasi

338 Cfr. L. Dürr, «Die Wertung des göttlichen Wortes im A.T. und im antiken Orient», MVÄG, 42/I, 1938, pp.

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altrettanto spesso. Il costrutto debar Jhwh, parola del Signore, compare 241 volte, perlopiù

negli scritti profetici, soprattutto in Geremia ed Ezechiele.

Nell’antico Israele, per comunicare col suo popolo, il Signore si serviva di quattro strumenti: i sogni, i sacerdoti, i sapienti, i profeti. Non c’è dubbio, tuttavia, che fossero questi ultimi il tramite privilegiato attraverso cui giungeva la parola di Dio: essi sanno bene che le parole che pronunciano per ordine di Dio non sono un loro commento ma un’azione di Dio, che si avvicina al suo popolo nell’atto stesso in cui la sua parola è proclamata, come appare dal libro di Osea, ‚li ho sferzati per mezzo dei profeti, li ho uccisi con

parole della mia bocca‚ (Os. 6, 5).339

Il termine dābār era, in particolar modo, caratteristico e specifico della profezia: il popolo d’Israele si accostava alla parola del profeta con la fiducia e la convinzione che fosse realmente parola di Dio, e nella storia della profezia, la parola andava sempre più imponendosi su altri mezzi di rivelazione, come il sogno, mentre la sua ricezione prendeva il posto della possessione da parte dello spirito.

L’azione della parola divina si esplicava essenzialmente in quattro ruoli. Essa era creatrice di comunione con il popolo (è mediante la parola che Dio stabilisce la sua alleanza con Israele), mezzo di comunicazione di un messaggio, veicolo di esortazione (che poteva presentarsi sotto forma di ammonimento o di indicazione etica), e infine strumento esecutivo di Jhwh. Quest’ultimo punto è quello che interessa maggiormente la nostra ricerca.

La parola è il mezzo con cui il Signore porta a compimento la sua volontà. É grazie alla Parola che agiscono gli angeli: ‚Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli,/ potenti esecutori dei suoi comandi,/pronti alla voce della sua parola‛ (Sal. 103, 20) e ancora: ‚Tema il Signore tutta la terra,/ tremino davanti a lui gli abitanti del mondo,/ perché egli parla e tutto è fatto,/ comanda e tutto esiste‛ (Sal. 33, 9).

Quest’attività dinamica e creatrice della parola emerge anche dal frequente parallelismo fra parola ed opere (come in Sal. 33, 4 oppure in Sal. 106, 12 sgg.). La parola di

339 Per questa sezione cfr. B. Corsani, Parola, in: P. Rossano, G. Ravasi, A, Girlanda (a cura di ), Nuovo

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Dio presiede non solo il ciclo delle trasformazioni della natura, ma soprattutto il corso della storia secondo la volontà di Jhwh. Così si legge nel libro di Isaia: ‚Sarà tutta spaccata la terra,/ sarà tutta saccheggiata,/ perché il Signore ha pronunziato questa parola.‛ (Is 24, 3). Invece, in Geremia si trova: ‚Ecco io pongo in atto le mie parole contro questa città, a sua rovina e non a suo bene; in quel giorno esse si avvereranno sotto i tuoi occhi. *< ] io vi punirò in questo luogo, perché sappiate che le mie parole si avverano sul serio contro di voi, per vostra disgrazia.‛ (Ier. 39, 16; 44, 29).

Non solo quella di Israele ma anche la storia degli altri popoli è sottoposta al giudizio e all’azione della parola di Jhwh (cfr. Is. 5, 26 sgg e 45, 1 sgg.). La parola di Dio in bocca al profeta non solo annuncia il giudizio, ma lo provoca anche.

La nozione attiva, dinamica della parola trova la sua espressione più solenne nel racconto sacerdotale della creazione. Nel Genesi (cfr. Gen. 1, 1, 3, 6, 9, 11, 14, 20, 24, 26) la parola non appare come uno strumento nelle mani di Dio, separato dalla sua persona, ma è sempre ricondotta alla sua iniziativa. Come afferma B. Corsani: ‚Egli *il Signore+ crea parlando. Questa rigorosa unità fra Dio e la sua parola va tenuta presente in tutti i passi che parlano della parola come qualcosa di efficace: essa non lo è per se stessa, ma in quanto Dio la pronunzia.‛340 Il dābār si realizza quando si ha a che fare con qualcosa sul piano

spirituale.341

Nella Bibbia ebraica la locuzione debar jhwh, ‘parola di Jhwh’, ricorre circa 240 volte

ed indica , con poche eccezioni, solo un determinato tipo di discorso divino, cioè la parola di Jhwh diretta al profeta o quella che il profeta rivolge ai suoi contemporanei come parola di Jhwh. Tale espressione, dunque, allude quasi sempre alla rivelazione profetica e

solitamente ricorre in locuzioni più o meno fisse.342

Circa la metà delle occorrenze è attestata nella formula denominata parola-evento, un

costrutto con debar jhwh come soggetto del verbo hājâ (‘el) (nel senso di ‚accadere,

diventare‛). Questo sintagma è assente nelle autentiche parole della letteratura profetica

340 B. Corsani, op. cit., p. 1104.

341 Cfr. O. Grether, «Name und Wort Gottes im A.T.», BZAW, Berlino 1934. 342 Cfr. O. Grether, op. cit., p. 63 sgg.

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più antica: è con Geremia (VII-VI sec. a.C.) che la formula entra nelle parole del profeta (Ier. 1, 4 sgg.; 2, 1) per poi comparire stabilmente in Ezechiele (profeta del tempo dell’esilio), in Aggeo (Ag. 2, 10 sgg) e in Zaccaria (Zac. 1, 1-7; 4, 8; 6, 9; 7, 1-8.; 8, 1-18),

entrambi appartenenti all’epoca postesilica (a partire dal V sec. a.C.).343

Sotto l’impulso della profezia, l’opera storica deuteronomistica presenta la storia d’Israele come una storia dell’efficacia della parola di Jhwh.

Per quanto, invece, riguarda il contenuto, la formula debar jhwh trae origine da una

peculiare concezione della ‘parola di Jhwh’ in cui la parola non viene considerata come un’esortazione personale di Dio stesso, ma è intesa quasi come un’entità oggettiva, con un

proprio potere insito. Inoltre, come afferma W. Zimmerli, ‚nelle affermazioni

sull’adempiersi della parola di Jhwh è implicito anche il riferimento al carattere

eminentmente storico e alla capacità della parola divina di diventare evento.‛344

Secondo J. Szeruda, il nesso mille’ dābār (‚riempire di contenuto / completare la parola‛) nasce dall’idea che la parola ‚raggiunga la propria pienezza con l’adempimento; essa deve, per così dire, venir completata da Dio nel suo pieno contenuto.‛345 M. Noth

ritiene invece che il suddetto nesso vada inteso piuttosto come ‚portare ad effetto la

parola‛.346 Anche ‘āśâ dābār può significare ‚attuare la parola‛.347

Che parola ed evento fossero considerati come un’unità (e non come due fenomeni indipendenti) è provato anche dal fatto che dābār compare non solo come oggetto, come nelle formule finora analizzate, ma anche come soggetto mentre il significato rimane invariato. La parola di Dio dunque può jāsā ‘uscire’ (cfr. Gen. 24, 50; Is. 2, 3; 45, 23; 55, 11),

bô’ ‘arrivare’ (cfr. Deut. 18, 22; Ios. 23, 15; Iud. 13, 12-17; Ier. 17, 15; 28, 9; Ezech. 33, 33), hājâ

‘succedere’ (cfr. Deut. 18, 22; Is. 55, 11), kālâ ‘compiersi’ (Esdr. 1, 1; 2 Chron. 36, 22), qûm ‘durare, mantenersi’ (Is. 8, 10; 40, 8; Ier. 44, 28 sgg.), qārâ ‘colpire, incontrare’ (Num. 11, 23),

hiśśîg ‘raggiungere’ (Zach. 1, 6).

343 Cfr. W. Zimmerli, «Wort Gottes», RGG, VI, 1809- 1812. 344 W. Zimmerli, BK, XIII/I, 89.

345 J. Szeruda, Das Wort Jahwes. (Doctoral Dissertation, Basel.) Lodz 1921, p. 24 sgg. 346 M. Noth, BK, IX/I, 20.