1.5 L'ingombrante presenza dell'oracolo delfico nella tragedia attica
1.5.2 I responsi ‚delfici‛ nella tragedia greca
1.5.2.2 Gli oracoli della tradizione e la loro “genesi delfica” nella tragedia
Proviamo a studiare i risultati che emergono dall'analisi del precedente "catalogo". Esaminiamo diversi casi di come alcuni degli oracoli più noti, ereditati dalla tradizione mitica come originariamente non delfici, acquisissero una forma delfica nelle tragedie attiche.
Gli oracoli concernenti la leggenda di Oreste furono delfici fin dall’inizio: può darsi anzi che all’origine della leggenda di Oreste non vi fosse alcun oracolo e che la vendetta
144 Il responso è attribuito a Delfi e attestato in forma indiretta da Demon 327.17J ap. Schol. vet. in Eur. Rhes.
251 e da Esichio, E6742. Nella medesima forma, con riferimento ‚al dio‛ ma senza la specificazione della sede oracolare, esso è riportato in: Fozio, Lex. 1. 218 Naber e in Suda E3254 (cfr. J. Fontenrose, op. cit., pp. 382- 3, responso L73).
145 Il responso è attribuito a Delfi e attestato in forma indiretta in: Schol. vet. in Eur. Rhes. 251, in App. Prov. 2.
85, Prov. VB Zen. Athoos 34 ap. Miller, in Mél. 352, in Diod. 4. 33.11; vi si fa invece allusione in Apollod. 3. 9.1. Nella medesima forma, con riferimento ‚al dio‛ ma senza la specificazione della sede oracolare, è riportato in Fozio, Lex. 1, 218 Naber, in Suda E3254, mentre vi si fa allusione come ‚oracolo‛ in Hyg. Fab. 100. 1 (cfr. J. Fontenrose, op. cit., p. 383, responso L74).
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fosse prescritta direttamente dallo spettro di Agamennone (un po’ come nell’Amleto di
Shakespeare). Del resto, in tutti i passi dell’Odissea in cui compare Oreste146 non si accenna
mai ad alcuna profezia divina: egli, per dovere filiale, vendica la morte del padre uccidendo il traditore Egisto e l’omicidio della madre è appena accennato, mentre nell’Orestea di Eschilo esso costituisce il principale nucleo tragico e questo ha reso necessaria la presenza di una parola divina. Il dilemma del giovane rispetto al matricidio doveva essere risolto nei termini dell’obbedienza ad un ordine del dio.
Ora, poiché la leggenda di Oreste arriva a questo punto quando ormai il santuario di Delfi aveva guadagnato prestigio, il dio che viene inserito nella vicenda di Oreste è Apollo Pitico. Ma probabilmente non fu Eschilo ad introdurre questo elemento: come osserveremo in seguito, l’intervento del dio in favore del giovane matricida compariva già
prima di Stesicoro, nella trilogia dell’Orestea, ispiratrice dell’omonima eschilea.147
Anche se l’oracolo delfico sicuramente si è inserito nella leggenda di Oreste prima di Eschilo, le Coefore e le Eumenidi presentano le attestazioni più antiche dei responsi L7 (PW 139) e L8 (PW 602), e ad essi si attengono Sofocle, Euripide e gli autori successivi quando rappresentano Oreste che riceve l’esortazione al matricidio da parte del dio di Delfi; tuttavia Eschilo è l’unico ad articolare e a presentare una forma elaborata del
responso L7 nelle Coefore (vv. 270-296).148
Nella leggenda presente in Xanto e in Stesicoro è probabile che Oreste tornasse a Delfi dopo il matricidio solo per ricevere una purificazione: è significativo che L8 (che possiamo in ogni caso considerare un responso seppure emesso in maniera non usuale), ossia l’ordine di andare ad Atene per subire il processo, sia probabilmente un’invenzione
di Eschilo, forgiato per necessità drammaturgiche.149
146 I, 29-43, 298-300; III 193-198, 243-310; IV 514-547; XI 387-464; XIII 383-384; XXIV 19-22, 95-97. 147 Cfr. infra, cap. 2.2.1 ‚Orestea‛. Antiche e nuove divinità nell’Atene democratica.
148 Sulla natura di tale ‚esortazione‛ del dio e per un’analisi di tale responso, cfr. infra, cap. 3.6, La lacerazione
interiore fra δαίμων ed ἦθος: la parola dell’oracolo e la ‚responsabilità‛ dell’eroe tragico.
149 Eschilo, apparentemente, unisce la leggenda delfica con una ateniese in cui Oreste tornava ad Atene per
essere assolto, un αἴηηνλ dell’Areopago. Su tutta la questione delle fonti per L7 / L8, cfr. J. Fontenrose, op. cit., pp. 108-110 (e p. 110 n. 25).
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Il ciclo tebano di Laio ed Edipo sicuramente preesisteva all’VIII sec. a.C., e la leggenda originaria doveva già contenere responsi profetici e oracoli anonimi o, più probabilmente, attribuiti ad un veggente tebano, come Tiresia, oppure ad Apollo Ismenio, se il culto del suo oracolo si era già insediato: è chiaro come la leggenda di Edipo si fosse sviluppata e diffusa secondo versioni differenti prima che l’Oracolo di Delfi entrasse nella storia, cosa che, probabilmente, accadde intorno al 600 a.C. Dopo tale data, l’attribuzione delfica è probabilmente dovuta alla crescente tendenza a legare gli oracoli delle leggende ad Apollo Pitico (o può anche darsi che fosse lo stesso clero di Delfi a rivedicare il famoso oracolo di Laio come proprio).
Ora, i due oracoli più famosi legati al ciclo tebano, quello dato a Laio (che lo metteva in guardia dal generare figli) e quello rilasciato ad Edipo dopo che era stato chiamato ‚πιαζηὸο παηξί‚ (Edipo re, v. 780), appartenevano già a questo ciclo leggendario. Tuttavia, mentre il secondo, come appare anche nella tragedia, probabilmente era ‚delfico‛ fin dall’inizio, riguardo al responso dato a Laio, sebbene comunemente associato a Delfi, apparentemente un’attribuzione ‚delfica‛ non è stata mai universalmente accettata.
Né Sofocle né Euripide dicono mai che esso fu pronunciato da Apollo di Delfi: Sofocle, nell’Edipo re, parla solo di ‚Apollo‛, senza specificare il sito oracolare, mentre Euripide, nelle Supplici e nelle Fenicie, dice semplicemente che fu Apollo a mettere Laio in guardia dai rischi che avrebbe comportato avere un figlio. A parte l’influenza che inevitabilmente venne esercitata dai tragici, di fatto le fonti che non specificano che L17 sia
un responso ‚delfico‛ sono considerevolmente più numerose delle altre.150
La leggenda di Edipo è basata su una vecchia storia popolare: solo in un secondo momento essa ha ricevuto una versione ‚tebana‛, i suoi protagonisti sono divenuti i
150 Soph. OT 713-14, 853-54, 906-908, 969-970, 1176; Arg. 3 Soph. OT; Triclinius in Soph. OT 883, 916; Eur.
Phoen. 17-20, 1598-99; Arg. 6 Eur. Phoen.; Schol. vet. in Eur. Phoen. 26. Anth. Pal. 14. 67; Origen Cels. 2. 20, p.
406; Chalcid., Tim. p. 244; Lucian, Zeus Cat. 13; Oinomaos ap. Eus. PE 6.7, p. 258c (259c); Alb. Plat. Epit. 26.2; Zen. 2. 68; Max. Tyr. 19.5; Androtion 324.62J ap. Schol. in Od. II. 271; Carn. ap. Cic. Fat. 14.33; Hyg. Fab. 66.1; Lact. Plac. Theb. I. 61; Vat. Myth. II 230; Apollod. III 5.7; Malalas p. 49; Kedr. p. 45; Suda Οη34; Epict. 3.1.16; Chrysippos ap. Eus. PE 4.3, p. 139a; Eust. Od. II. 270, p. 1684.
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sovrani di Tebe, e il trivio in cui Laio è stato ucciso (originariamente in Beozia) è divenuto quello della Focide in cui convergono le strade da Delfi e da Daulia.
Nella forma originaria, probabilmente erano le Moirai ad apparire il giorno della nascita del bambino e a predire l’infausto destino ai suoi genitori: quando poi la storia ha assunto i contorni della leggenda di Edipo, al posto delle Moire è subentrato un κάληηο come annunziatore del destino del bambino, probabilmente Tiresia fin dall’inizio. Dal momento che nei drammi tebani di Sofocle, il ruolo di Tiresia è sempre cruciale, talmente influente da non richiedere la presenza dell’oracolo di Delfi, Carl Robert si chiede perché Laio abbia avuto bisogno di recarsi a Delfi per consultare Apollo quando avrebbe potuto
parlare con Tiresia o avere a disposizione Apollo Ismenio.151 Dal momento che
quest’ultimo è completamente assente dalla leggenda di Edipo, possiamo supporre che Apollo entri nella storia direttamente come dio di Delfi, ma anche che non fosse lui originariamente a pronunciare la profezia, se non come ispiratore di un indovino.
In un’altra versione della leggenda, la profezia era sostituita dalla maledizione che Pelope aveva rivolto contro Laio per aver sedotto suo figlio Crisippo, il cui contenuto concerneva il fatto che non avesse figli altrimenti, se ne avesse avuto uno, sarebbe stato ucciso da questo.
I quattro trimetri di Euripide (ὁ δ' εἶπελ· ω̙ Θήβαηζηλ εὐίππνηο α̗λαμ, / κὴ ζπεη̃ξε ηέθλσλ α̗ινθα δαηκόλσλ βίαη·/ εἰ γὰξ ηεθλώζεηο παη̃δ', ἀπνθηελεη̃ ζ' ὁ θύο,/ θαὶ πα̃ο ζὸο νἶθνο βήζεηαη δη' αἵκαηνο. Eur., Phoen., vv. 17-20) esprimono il responso oracolare con le parole della
maledizione di Pelope, sebbene il poeta non menzioni né quest'ultimo né Crisippo.152
Nell’Edipo re di Sofocle, probabilmente, era contenuta la forma originale della profezia a Laio, così come era presente nella leggena tebana: ‚Se a te e a Giocasta nascerà un figlio, tu
morirai per mano sua‛. Nei Sette contro Tebe, Eschilo ripete per tre volte il messaggio che
Apollo dà a Laio (ηξὶο εἰπόληνο ἐλ / κεζνκθάινηο Ππζηθνη̃ο / ρξεζηεξίνηο ζλῄζθνληα γέλ-/ λαο α̗ηεξ ζῴδεηλ πόιηλ, vv. 746-749), cioè che per salvare la sua città sarebbe dovuto morire
151 C. Robert, Oidipus: Geschichte eines poetischen Stoffs im griechischen Altertum, Weidmann, Berlin 1915, pp. 64-
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senza avere mai generato un figlio: questa, tuttavia, non sembra un’altra versione del responso, bensì un’innovazione eschilea che contempla il futuro espisodio della guerra dei Sette. L’intero testo del responso è espresso in esametri solo in Arg. 5 Eur. Phoen., e non sotto forma di proibizione né di comando condizionato: Laio avrà un figlio, ma è destinato
a morire per mano sua, così Zeus porterà a compimento la maledizione di Pelope.153
Al contrario, il responso dato ad Edipo sembra essere stato attribuito all’oracolo di Delfi fin dall’inizio: tutte le fonti154 specificano che si tratta di Delfi, eccetto il Myth. Vat. II
(230) che riporta semplicemente:‚(Oedipus) ivit ad templum ut quaereret‛. Apollodoro e Zenobio aggiungono al responso anche il fatto che l’oracolo avesse messo in guardia Edipo dal tornare nella sua terra natìa: Sofocle non inserisce questa proibizione nel responso, ma essa può essere dedotta dai vv. 794-797 (Κἀγὼ 'παθνύζαο ηαπ̃ηα ηὴλ Κνξηλζίαλ / α̗ζηξνηο ηὸ ινηπὸλ ἐθκεηξνύκελνο ρζόλα / ἔθεπγνλ, ἔλζα κήπνη' ὀςνίκελ θαθσ̃λ / ρξεζκσ̃λ ὀλείδε ησ̃λ ἐκσ̃λ ηεινύκελα).155
Per quanto invece riguarda le Supplici di Euripide, sebbene gli studiosi156 dicano
spesso che Adrasto abbia ricevuto un oracolo delfico, rivedendo tutte le fonti non ve n’è
alcuna che metta direttamente in relazione il responso L27 con Delfi.157 L’unica
testimonianza certa dell’attribuzione delfica di tale oracolo è la citazione da parte di uno scoliasta di Euripide del responso in versi di Mnasea (dal momento che Mnasea ha compilato una raccolta di oracoli delfici): ‚῾Ο ρξεζκὸο ὑπὸ Μλαζένπ [frg. 48] νὕησο ἀλαγέγξαπηαη· θνπξάσλ δὲ γάκνπο δεπ̃μνλ θάπξῳ ἠδὲ ιένληη,/ νὕο θελ ἴδῃο πξνζύξνηζη ηενπ̃ δόκνπ
153 Per quanto infine riguarda le fonti che attribuiscono il responso di Laio direttamente a Delfi, esse sono:
Aesch., Sept., vv. 748-749, 844; Schol. vet. in Aesch. Sept. 800; Arg. 5 Eur., Phoen.; Pind., Ol. 2.42-44 e Pean. frag. 57. Bowra ap. Schol. vet. in Pind. Ol. 2. 42/70; Mnaseas 3.157M ap. Schol. vet. in Pind. Ol. 2.42/70; Schol. vet. in
Pind. Ol. 2.40/65, 43/72, Arg. Aesch. Sept. e Schol. in Sept. 745, 844; Alex. Aphr. Fat. 31. 98; Aristoph., Ran.,
1185; Paus., 9.5.10; Diod. 4. 64.1; Dion. Chrys. 10.24; Nic. Dam. 8J; Sen. Phoen. 259-260. Per tutta la questione, cfr. J. Fontenrose, op. cit., pp. 96-110 e p. 362 responso L17 (PW 148, 372).
154 Soph., OT, vv. 791-93, 994-996 e OC v. 87; Eur., Phoen. vv. 32-38, 1043-46; Arg. Aesch. Sept.; Arg. 5 Eur.
Phoen. and Schol. vet. in 44, 1044; Apollod. 3.5.7; Zen. 2.68; Sen., Oed. 20-21, 268-272, 800, 1042-1046; Aristoph.
Gramm. Arg. I., 3-4 Soph. OT; Diod. 4.64. 2; Stat. Theb. I. 62-66; Lact. Plac. Theb. I. 60; Hyg. Fab. 67. 2-3.
155 Su tutto l’argomento cfr. J. Fontenrose, op. cit., p. 110 e p. 363 responso L18 (PW 149). 156 Cfr. H. W. Parke, The Delphic Oracle I, p. 351.
157 Eur. Suppl. v. 140; Phoen. v. 411; Hypsipyle, Pap. Oxyrrh. 6, p. 47. Schol. in Phoen. 135; Schol. vet. in Phoen.
405, 409; Stat. Theb. I. 395-397; Hyg. Fab. 69. I; Vat. Myth. I 80; Zen. I, 30. Schol. A in Il. IV 376; Eust. Il. IV, 380, p. 485; Diod. IV, 65. 3; Apollod. III, 6,1.
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ἐμ ἱεξνη̃ν / ἁκνπ̃ ζηείρνληαο, κεδὲ θξεζὶ ζῇζη πιαλεζῇο.‛158 E’ vero anche che quando Apollo
parla in un dramma di Euripide, generalmente è inteso come Apollo di Delfi. Ma, per quanto ne sappiamo, nelle Supplici viene nominato semplicemente ‚Apollo‛ e riconosciuto come fonte della profezia in generale.
Addirittura potrebbe darsi che nella versione della leggenda nota ad Euripide fosse un indovino a portare il messaggio ad Adrasto, oppure che gi apparisse Apollo in persona. Apollodoro dice che un κάληηο avrebbe detto al re argivo di far sposare le figlie ad un leone e ad un cinghiale, e questo κάληηο sarebbe la più antica forma di voce oracolare di tale storia.
Solo Mnasea, così come è citato dallo scoliasta, offre una forma in versi (tre esametri) del responso. Il primo verso contiene l’intero messaggio presente in tutte le altre fonti, compresa la tragedia di Euripide; gli altri due versi aggiungono che Adrasto li vedrà nel porticato della sua casa nel momento in cui verranno dal santuario di Apollo e che non dovrà errare, nell’interpretazione. Fontenrose159 si chiede se questo responso in versi, o
quantomeno il primo dei tre esametri, appartenesse alla leggenda già nota ad Euripide e se i trimetri di quest’ultimo (Suppl., v. 140, Phoen., v. 411) siano una riformulazione del primo verso: egli afferma che ciò è possibile, ma che i trimetri euripidei corrispondono quasi esattamente alle forme in prosa di Apollodoro, di Zenobio e degli altri.
Tuttavia, Euripide si discosta dalle altre fonti per quanto concerne l’interpretazione del responso poiché, come si vedrà in seguito, secondo il racconto presente nelle Supplici ad Adrasto basta trovare Tideo e Polinice che lottano dinanzi alle sue porte come bestie selvatiche per riconoscere in essi il compimento dell’oracolo. Secondo lo scoliasta che riporta Mnasea, invece, Tideo e Polinice portavano le insegne del cinghiale e del leone sui
loro scudi, oppure indossavano pelli di cinghiale e di leone.160
158 Mnaseas 3. 157M ap. Scholia vetera in Eur. Phoen., 409, l.10-13. 159 J. Fontenrose, op. cit., p. 96.
160 Queste interpretazioni appaiono anche in Apollodoro, Zenobio, Stazio, Igino e nei commentatori di
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In conclusione, per quest’oracolo, originariamente non chiamato ‚delfico‛ mai o solo raramente, ad un certo punto qualcuno compose dei versi in esametri che Mnasea accolse come ‚delfici‛.161
161 Su tutto l’argomento cfr. J. Fontenrose, op. cit., pp. 95-96 (compresa la nota p. 96 n. 9) e p. 366 responso L27