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Durante la guerra del Peloponneso: la fase archidamica (432-423 a.C.)

Le implicazioni politiche dell’oracolo delfico nelle tragedie attiche

2.1 Il quadro di riferimento storico: le relazioni fra Atene e l’oracolo di Delfi ai tempi della tragedia attica

2.1.3 Durante la guerra del Peloponneso: la fase archidamica (432-423 a.C.)

Il primo decennio della guerra del Peloponneso (432- 421 a.C.), noto come ‚guerra archidamica‛ (dal nome del vecchio re spartano), non è semplice da interpretare sotto il profilo del ruolo svolto da Delfi: la diffusa supposizione che il tempio oracolare fosse divenuto strumento della politica spartana e che avesse assunto un ruolo anti-ateniese, appoggiando i Peloponnesiaci non è infatti condivisa da tutti gli studiosi. Eppure, far luce su tale questione è fondamentale per la nostra ricerca poiché, procedendo all’interpretazione di diverse tragedie, soprattutto euripidee, nelle quali compare l’oracolo di Delfi, si rende necessaria una lettura degli eventuali aspetti politici dell’opera per una corretta valutazione della stessa.

Ovviamente Tucidide costituisce la fonte principale per ricostruire tale compagine storica. Nei confronti dell’oracolo di Delfi, l’atteggiamento dello storico appare diverso rispetto alla sua considerazione di altre forme di divinazione: il suo metodo rigoroso e l’attento vaglio delle fonti sono infatti coerenti con quell’atteggiamento negativo che egli ha manifestato nei confronti di forme di divinazione come quella dei ρξεζκνιόγνη.190 Al

contrario, nella sua opera l’oracolo di Delfi sembra godere di grande rispetto e fiducia senza offuscare, tuttavia, la lucidità e il metodo critico dello storico.

Prima che scoppiasse la guerra con Atene, gli Spartani, ritenendo che gli Ateniesi avessero violato gli accordi del 446 a.C.191, si recarono a Delfi per consultate l’oracolo

sull’opportunità di combattere e, secondo Tucidide, il responso fu molto chiaro:

‚῾O δὲ ἀλεη̃ιελ αὐηνη̃ο, ὡο ιέγεηαη, θαηὰ θξάηνο πνιεκνπ̃ζη λίθελ ἔζεζζαη, θαὶ αὐηὸο ἔθε μπιιήςεζζαη θαὶ παξαθαινύκελνο θαὶ α̗θιεηνο.‛192

190 Thuc. II 21,3; VIII 1,1. 191 Thuc. I 118, 3.

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Il pronunciamento, che appare autentico, colpisce soprattutto per l’ultima parte, nella quale l’oracolo afferma che interverrà anche nel caso in cui non fosse apertamente chiamato in aiuto, θαὶ α̗θιεηνο.

Questo responso, probabilmente non manipolato dagli Spartani, venne invece strumentalizzato dalla fazione ateniese avversa alla politica di Pericle. Non possiamo essere certi della diffusione che tale oracolo ebbe ad Atene, forse non se ne parlò apertamente, ma è difficile credere che la notizia sia rimasta circoscritta ad un gruppo limitato: di fatto, quando tre anni dopo lo scoppio della guerra, a partire dall’estate del 430, su Atene si abbattè la grave pestilenza nella quale lo stesso Pericle trovò la morte, non solo gli Ateniesi si ricordarono di quell’oracolo che aveva predetto l’aiuto di Apollo ai

Lacedemoni193, considerarono l’epidemia come la diretta conseguenza delle parole del dio,

e ritennero Pericle responsabile del coinvolgimento di Atene in un’impresa disastrosa. Lo statista ateniese fu ritenuto colpevole anche sul piano religioso e accusato di aver commesso atti sacrileghi: alcuni infatti adducevano come causa della pestilenza il fatto che molti, quando Pericle fece evacuare l’Attica per strategia difensiva, si rifugiarono nell’area del Pelargico che, secondo una profezia attribuita a Delfi, non avrebbe dovuto essere violata:

‚Τό ηε Πειαξγηθὸλ θαινύκελνλ ηὸ ὑπὸ ηὴλ ἀθξόπνιηλ, ὃ θαὶ ἐπάξαηόλ ηε η̙λ κὴ νἰθεη̃λ θαί ηη θαὶ Ππζηθνπ̃ καληείνπ ἀθξνηειεύηηνλ ηνηόλδε δηεθώιπε, ιέγνλ ὡο ‘ηὸ Πειαξγηθὸλ ἀξγὸλ α̗κεηλνλ,’ ὅκσο ὑπὸ ηε̃ο παξαρξε̃κα ἀλάγθεο ἐμῳθήζε.‛ (Thuc. II 17, 1-2)

L’occupazione di tale zona, unitamente alla profanazione di altri templi e recinti sacri verificatasi nella medesima occasione e per gli stessi motivi, fecero piombare su Pericle accuse tanto più gravi in quanto sostenute anche dall’autorità del dio di Delfi: la

193 Thuc. II 54, 4: Μλήκε δὲ ἐγέλεην θαὶ ηνπ̃ Λαθεδαηκνλίσλ ρξεζηεξίνπ ηνη̃ο εἰδόζηλ, ὅηε ἐπεξσησ̃ζηλ αὐηνη̃ο ηὸλ ζεὸλ

εἰ ρξὴ πνιεκεη̃λ ἀλεη̃ιε θαηὰ θξάηνο πνιεκνπ̃ζη λίθελ ἔζεζζαη, θαὶ αὐηὸο ἔθε μπιιήςεζζαη. Di fronte alla richiesta spartana, l’oracolo di Delfi aveva dato voce all’ostilità di gran parte del mondo greco nei confronti dell’imperialismo attico, mentre negli anni precedenti non si era mai pronunciato in merito per via della prudenza di Pericle che aveva evitato all’oracolo di dare un responso sull’espansionismo ateniese (cfr. A. Giuliani, op. cit., p. 112).

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violazione delle norme sacrali, infatti, sarebbe stata prevista dal piano di guerra di pericleo. Tucidide, tuttavia, non solo tende a negare il carattere di punizione divina dell’epidemia, cosa abbastanza comprensibile dato il suo rigore critico, ma si impegna anche a scagionare Pericle dalle accuse rivoltegli proponendo una sua lettura alternativa

del responso oracolare.194 In ogni caso la peste, che causò numerosissime morti, dopo

un’apparente remissione ed una rescrudescenza nell’inverno del 427/6, ebbe termine definitivamente solo nel 425 a.C..

Durante gli anni dell’epidemia, i rapporti fra Atene e Delfi furono molto complessi e, in ogni caso, caratterizzati da un distacco abbastanza netto, dal momento che gli Ateniesi ritenevano di subire quel male a causa del volere ostile di Apollo mentre i Peloponnesiaci si sentivano sostenuti dal clero delfico: tuttavia questa situazione conflittuale fra la città di Atene e l’oracolo non è accettata all’unanimità da tutti gli studiosi e vi è chi pensa che Delfi, in realtà, negli anni della guerra archidamica si sia mostrata essenzialmente neutrale e che il responso del 432, addotto come prova dell’orientamento filo-spartano dell’oracolo, sia stato in realtà un elemento isolato e non particolarmente significativo.195

194 Tucidide, probabilmente proprio per scagionare Pericle dalle gravi accuse mosse, interpreta diversamente

l’oracolo sul Pelargico, e immediatamente dopo aver descritto il responso, continua così: Καί κνη δνθεη̃ ηὸ καληεη̃νλ ηνὐλαληίνλ μπκβε̃λαη η̕ πξνζεδέρνλην· νὐ γὰξ δηὰ ηὴλ παξάλνκνλ ἐλνίθεζηλ αἱ μπκθνξαὶ γελέζζαη ηῇ πόιεη, ἀιιὰ δηὰ ηὸλ πόιεκνλ ἡ ἀλάγθε ηε̃ο νἰθήζεσο, ὃλ νὐθ ὀλνκάδνλ ηὸ καληεη̃νλ πξνῄδεη κὴ ἐπ' ἀγαζῷ πνηε αὐηὸ θαηνηθηζζεζόκελνλ (Thuc. II 17,2). L’autenticità del responso, comunemente interpretato come monito a non violare l’area del Pelargico (‘ηὸ Πειαξγηθὸλ ἀξγὸλ α̗κεηλνλ’, ‚il Pelargico è meglio non abitato, non utilizzato‛), non è mai messa in discussione dallo storico: esso viene però interpretato in maniera alternativa. Secondo Tucidide, l’oracolo non sta prescrivendo di non occupare l’area del Pelargico per non incorrere in una punizione divina, ma, al contrario (ηνὐλαληίνλ η̕ πξνζεδέρνλην), starebbe affermando che un’occupazione della zona sacra si sarebbe resa necessaria in tempi di calamità. Questa presa di posizione da parte dello storico appare abbastanza singolare, soprattutto rispetto alla grandissima cautela da lui dimostrata in altre occasioni. Secondo Giuliani, l’unica motivazione sarebbe che la lettura tucididea di quest’oracolo è finalizzata alla difesa di Pericle. Su tale questione cfr. A. Giuliani, op. cit., pp. 112-15: a p.114, nota 11 si ricorda anche che J. De Romilly, nel suo commento all’opera di Tucidide, ha affermato che l’oracolo sul Pelargico ‚a dû être utilisé contre Periclès, qui était à l’origine de ce rassemblement dans la ville; et il y a peut- être là une cause supplémentaire à l’insistance de Thucydide‛ (J. De Romilly, commento a Thucydide,

La guerre du Péloponnèse, livre II, Paris, 1962, p. 92). Personalmente non credo vada accettata la lettura di

Tucicide dal momento che l’oracolo sta effettivamente prescrivendo una non-violazione dell’area sacra.

195 A. Giuliani (op. cit., p. 119) afferma che questa è l’impostazione di Daux, pp. 46-48 (in G. Daux, Athènes et

Delphes in Athenian Studies Presented to W. Scott Ferguson, Cambridge 1940, pp. 37-69) sviluppata da C.W.

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Per corroborare questa tesi vengono citate due testimonianze di Pausania (I 3,4; X 11,6) una di Tucidide (III 104, 1-2) e un’altra di Diodoro (XII 58): queste ultime parlano di una purificazione compiuta sull’isola di Delo la cui portata, probabilmente, avrebbe richiesto una sanzione autorevole come quella dell’oracolo di Delfi. Questo presunto responso è stato identificato con l’oracolo di cui parla Pausania nella prima delle sue testimonianze (seppure individuato in termini differenti) ed è proprio al dio che si dovrebbe il merito della guarigione dalla peste che flagellava Atene.

L’idea che queste citazioni proverebbero che, nel corso nella guerra archidamica, Delfi non risultasse schierata e che Atene non si sia trovata a combattere contro il santuario più influente di tutta l’Ellade non appare affatto decisiva e le argomentazioni addotte risultano ancora troppo deboli.196 La seconda testimonianza di Pausania, infatti,

concernente il portico degli Ateniesi a Delfi dove si troverebbero delle spoglie che risalgono alle vittorie marittime di Formione sui Peloponnesiaci nel 429, è facilmente confutabile. Il fatto che l’oracolo accogliesse trofei antispartani è stato considerato come prova della sostanziale imparzialità del dio, ma durante la guerra archidamica, e fino alla tregua del 423, per gli Ateniesi ed i loro alleati sarebbe stato impossibile accedere al santuario delfico: solo successivamente a questa data essi avrebbero potuto collocare nel

196 Secondo la testimonianza di Pausania (Πξὸ δὲ ηνπ̃ λεὼ ηὸλ κὲλ Λεσράξεο, ὃλ δὲ θαινπ̃ζηλ Ἀιεμίθαθνλ Κάιακηο

ἐπνίεζε. ηὸ δὲ ὄλνκα ηῷ ζεῷ γελέζζαη ιέγνπζηλ, ὅηη ηὴλ ινηκώδε ζθίζη λόζνλ ὁκνπ̃ ηῷ Πεινπνλλεζίσλ πνιέκῳ πηέδνπζαλ θαηὰ κάληεπκα ἔπαπζελ ἐθ Γειθσ̃λ - I 3, 4), la statua di Apollo, collocata nell’agorà, ricevette l’appellativo di ‚Ἀιεμίθαθνο‛ dopo che il dio ebbe fatto cessare (θαηὰ κάληεπκα ἔπαπζελ ἐθ Γειθσ̃λ) l’epidemia che imperversava su Atene (ηὴλ ινηκώδε ζθίζη λόζνλ) durante la guerra del Peloponneso. Per Pausania, dunque, gli Ateniesi avrebbero ricevuto un responso tale da attribuire al dio il merito della liberazione dal male: l’oracolo di Delfi non sarebbe stato, dunque, filo-spartano e avrebbe accolto positivamente le richieste di quanti lo consultavano, mostrandosi sostanzialmente neutrale. Inoltre, ancora Pausania (X 11, 6), descrivendo a Delfi il portico degli Ateniesi, vi ritrova delle spoglie che risalgono alle vittorie marittime di Formione sui Peloponnesiaci nel 429, e ciò proverebbe ulteriormente l’imparzialità di Delfi. Tucidide e Diodoro, invece, parlano di un oracolo in base al quale gli Ateniesi, nell’inverno del 426/5, realizzarono una purificazione dell’isola di Delo eliminando tutte le tombe in essa presenti e proibendo che in avvenire vi avessero luogo nascite o morti: Diodoro annota esplicitamente che si trattava di una misura propiziatrice per chiedere la fine della pestilenza (ζπκνπ̃ληεο αὐησ̃λ θαηαςύμαη ηὰ ζώκαηα. νἱ δ' Ἀζελαη̃νη δηὰ ηὴλ ὑπεξβνιὴλ ηε̃ο λόζνπ ηὰο αἰηίαο ηε̃ο ζπκθνξα̃ο ἐπὶ ηὸ ζεη̃νλ ἀλέπεκπνλ. δηὸ θαὶ θαηά ηηλα ρξεζκὸλ ἐθάζεξαλ ηὴλ λε̃ζνλ Γε̃ινλ, Ἀπόιισλνο κὲλ νὖζαλ ἱεξάλ, δνθνπ̃ζαλ δὲ κεκηάλζαη δηὰ ηὸ ηνὺο ηεηειεπηεθόηαο ἐλ αὐηῇ ηεζάθζαη – XII, 58). Hedrick (op. cit. pp. 196-197) ha sostenuto l’identificazione dell’oracolo di Pausania con quello su Delo (su tutta la questione cfr. A. Giuliani, op. cit., p. 120).

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tempio di Delfi dediche o memoriali, mentre prima non ci sarebbe stata alcuna possibilità concreta di farlo.197

Dunque, resterebbe solo la testimonianza di Pausania sull’oracolo relativo alla liberazione dalla peste di Atene, che è stato identificato con quello sulla purificazione di Delo riportato da Tucidide e Diodoro: innanzitutto sembra impossibile attribuire questa profezia a Delfi, poiché Tucidide, quando cita oracoli delfici, lo segnala sempre esplicitamente, mentre riguardo a questo responso su Delo, egli non solo ne tace l’origine ma, nel parlarne, usa dei termini alquanto approssimativi, quasi ironici, molto diversi da

quelli rispettosi che generalmente usa in presenza di riferimenti delfici.198

Ne deduciamo, pertanto, che l’oracolo di cui parla lo storico non è quello di Delfi: questo ulteriore elemento porterebbe a concludere che il racconto di Pausania andrebbe riferito ad un’altra epidemia, diversa da quella scoppiata nel 430, infatti appare quantomeno improbabile che gli Ateniesi rendano grazie al dio di Delfi come liberatore dal male proprio in un momento in cui i rapporti fra le due città, anche a causa dell’impossibilità pratica di accedere al santuario, apparivano così distanti, tanto più se la testimonianza del periegeta non è rafforzata da quella degli altri storici. Allora la notizia di Pausania potrebbe essere applicata ad un’altra pestilenza, oppure il riferimento a Delfi in essa contenuto potrebbe essere frutto di un’elaborazione secondaria.

In ogni caso, definire ‚imparziale‛ l’atteggiamento di Delfi durante la guerra archidamica appare impreciso, dal momento che la città di Sparta, almeno in un caso,

197 Cfr. Thuc. IV 118, 1-2: Πεξὶ κὲλ ηνπ̃ ἱεξνπ̃ θαὶ ηνπ̃ καληείνπ ηνπ̃ Ἀπόιισλνο ηνπ̃ Ππζίνπ δνθεη̃ ἡκη̃λ ρξε̃ζζαη ηὸλ

βνπιόκελνλ ἀδόισο θαὶ ἀδεσ̃ο θαηὰ ηνὺο παηξίνπο λόκνπο. ηνη̃ο κὲλ Λαθεδαηκνλίνηο ηαπ̃ηα δνθεη̃ θαὶ ηνη̃ο μπκκάρνηο ηνη̃ο παξνπ̃ζηλ·Βνησηνὺο δὲ θαὶ Φσθέαο πείζεηλ θαζὶλ ἐο δύλακηλ πξνζθεξπθεπόκελνη. Il testo della tregua del 423 a.C. si apre proprio con la garanzia, per il tempo a venire, che chiunque possa accedere al santuario e lascia intendere che probabilmente i Beoti e i Focesi si sarebbero opposti: la necessità di sancire tale concessione fa intendere che, prima di tale data, l’ingresso al santuario fosse precluso o che comunque ci fossero gravi difficoltà ad attraversare un territorio in mano agli alleati di Sparta, tanto più nel caso in cui si volesse procedere a dedicare spoglie ottenute da una vittoria sui Peloponnesiaci (cfr. A. Giuliani, op. cit., pp. 120-121, comprese le nn. 29-30).

198 Τνπ̃ δ' αὐηνπ̃ ρεηκσ̃λνο θαὶ Γε̃ινλ ἐθάζεξαλ Ἀζελαη̃νη θαηὰ ρξεζκὸλ δή ηηλα (Thuc. III 104, 1). Tucidide parla del

responso oracolare come ‚θαηὰ ρξεζκὸλ δή ηηλα‛, un’espressione troppo generica ed approssimativa per alludere a Delfi (cfr. A. Giuliani, op. cit., p. 124).

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ottenne da parte della Pizia l’avallo di un’iniziativa palesemente ostile agli Ateniesi.199 E’

significativo che il santuario panellenico per eccellenza prendesse posizione, seppure indirettamente, a favore di una delle due parti in lotta. Inoltre, un’attenta lettura delle tragedie attiche, soprattutto di alcune fra quelle euripidee, dimostra, se non proprio un orientamento filo-spartano dell’oracolo, di certo una mancanza di fiducia da parte degli Ateniesi nei confronti del dio di Delfi, e non solo in nome del presunto ateismo spesso attribuito ad Euripide, come si vedrà meglio in seguito.

Comunque si interpreti il ruolo politico dell’oracolo durante la guerra del Peloponneso, questione complessa per la varietà e discordanza delle testimonianze, anche se ammettessimo che il responso del 432 sia stato un episodio isolato, in ogni caso credo che, seppur con cautela, si possa affermare che nel primo decennio della guerra, durante la fase cosiddetta ‚archidamica‛, i rapporti fra Atene e Delfi fossero essenzialmente conflittuali e, comunque, all’insegna di un distacco di fondo.