Ermes (Ion v. 36) Ermes (Ion v. 67) Ermes (Ion v. 72) Ermes (Ion v. 78) Coro (Ion v. 187) Ione (Ion v. 243) Ione (Ion v. 311) Creusa (Ion v. 425) Xutho (Ion v. 531) Creusa (Ion v. 728) Coro (Ion v. 774) Coro (Ion v. 781) Anziano (Ion v. 931) Anziano (Ion v. 974) Servo (Ion v. 1197) Servo (Ion v. 1219) Creusa (Ion v.1287) Pizia (Ion v. 1347) Creusa (Ion v. 1455) Creusa (Ion v. 1531) Creusa (Ion v.1540) Ione (Ion v.1548) Ione (Ion v.1608) Elettra (Or. v. 166) Oreste (Or. v. 268) Oreste (Or. v. 286) Menelao (Or. v. 419) Coro (IT v. 943) Oreste (IT v. 1013) Ifigenia (IT v. 1084) Coro (IT v. 1280) Atena (IT v. 1438) Coro (Pho. v. 203) Coro (Pho. v. 215) Coro (Pho. v.284) Polinice (Pho. v. 409) Edipo (Pho. v.1703) Andromaca (An. v. 51) Coro (An. v. 1065) Oreste (El. v. 399) Castore (El. v.1266) Euristeo (Herclid. v.1028) Cassandra (Tro. v. 356) Ecuba (Tro. v. 1174) Etra (Suppl. v. 7) Dioniso (Bacc. v.1336) Musa (Rh. v. 980) Fr. 455, l.2 Fr. 627, l.2 Fr. 1132, l.17 Frag. papyracea, fr. 73, l.2 Fr. 13, l.10
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L’appellativo ‚Lossia‛ in riferimento ad Apollo è attestato con maggiore frequenza
nelle tragedie di Euripide.34 Bisogna ora provare a determinare se ci siano delle differenze
o delle similarità rispetto all’uso che ne fanno Eschilo e Sofocle.
L’epiteto ricorre ben 23 volte nello Ione, e questo, di per sé, non sarebbe un dato particolarmente significativo, dal momento che esso è l’unico dramma superstite interamente ambientato presso il tempio di Delfi; tuttavia, occorre rilevare un elemento in particolare. Nella tragedia, Apollo viene evocato moltissime volte, la maggior parte delle quali con delle denominazioni non specificamente connotate: così si allude a lui 52 volte come ‚ὁ ζεόο‛, ‚il dio‛, 41 come ‚Φνη̃βνο‛ e 9 come ‚Απόιισλ‛. Nel resto dei casi, egli viene chiamato con degli epiteti particolari: 6 volte ‚Λαηνπ̃ο παη̃ο‛, ‚figlio di Leto‛, 4 volte ‚Παηάλ‛ (ma all’interno della formula di invocazione: ω̙ Παηὰλ ω̙ Παηάλ / εὐαίσλ εὐαίσλ), due volte come ‚δαίκσλ‚, una volta ‚Πύζηνο‛, un’altra ‚α̗λαμ‛ e un’altra ancora ‚εὐλάησξ‛, il dio ‚seduttore‛. Dunque, fra gli epiteti più connotati, ‚Lossia‛, ricorrendo 23 volte, è in assoluto quello maggiormente attestato: per comprendere la ragione di tale frequenza, occorre individuare e analizzare tutte le occorrenze dello stesso all’interno dello ‚Ione‛.
Nel prologo, Ermes chiama ‚Lossia‛ il dio Apollo per quattro volte (v. 36, 67, 72, 78), e nessuna di queste sembra avere una connotazione particolare: ma è pur vero che siamo ancora all’inizio del dramma, in un punto, cioè, in cui il dio è ancora creduto un demone ‚contorto‛, un ingannevole seduttore, come lo presenterà presto Creusa. Subito dopo, il coro, nella parodo, riprende l’appellativo ‚Lossia‛ nel descrivere il luminoso splendore del tempio di Apollo (vv. 184-9) e, dunque, apparentemente senza alcuna connotazione negativa. A questo punto è Ione stesso a parlare del dio come Lossia: a colloquio con Creusa, stupendosi della tristezza della donna, dapprima le chiede come mai abbia quel viso triste dinanzi ai sacri oracoli di Apollo (ἀιι' ἐμέπιεμάο κ', ὄκκα ζπγθιήηζαζα ζὸλ / δαθξύνηο ζ' ὑγξάλαζ' εὐγελε̃ παξείδα,/ ὡο εἶδεο ἁγλὰ Λνμίνπ ρξεζηήξηα, vv. 242-244), e successivamente, narrandole la propria storia, afferma di non conoscere la sua origine
34 A queste occorrenze ne vanno aggiunte altre 9 attestate negli scoli. Scholia in Euripidem (scholia vetera),
Vita-argumentum-scholion, sch Or. sez. 162 l.4, l.7, l.11, sez. 165 l.11. Cod. Hyerosolimitanus patriarchalis 36,
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giacchè di lui dicono semplicemente che appartiene al Lossia (νὐθ νἶδα πιὴλ ἕλ· Λνμίνπ θεθιήκεζα, v. 311): nessuna sfumatura negativa fin qui.
Quindi, il dio Apollo comincia a ricevere tale appellativo da Creusa e, in bocca alla donna, questo nome assume una valenza differente: ‚Se Lossia vuole riparare alle antiche colpe almeno adesso<‛ (ἔζηαη ηάδ', ἔζηαη. Λνμίαο δ', ἐὰλ ζέιῃ / λπ̃λ ἀιιὰ ηὰο πξὶλ ἀλαιαβεη̃λ ἁκαξηίαο, vv. 425-6). Sembra esserci rancore nelle sue parole ma subito dopo, mentre attende che Xuto riceva il responso del dio, si prepara a gioire qualora Apollo dia un oracolo favorevole (ω̘ο κνη ζπλεζζε̃ηο, εἴ ηη Λνμίαο α̗λαμ / ζέζπηζκα παίδσλ ἐο γνλὰο ἐθζέγμαην, 728-9): l’antico rancore lascerebbe dunque posto alla speranza, ma il termine con cui Creusa si riferisce al dio è il medesimo. Quando poi, verso la fine del dramma, la donna tenta di avvelenare Ione, dopo che si svela l’inganno di Apollo, ella continua a chiamarlo ‚Lossia‛ (v. 1287). Ma risulta ancora più significativo il fatto che Creusa insista a parlare del dio dell’oracolo con tale nome anche dopo che ha scoperto il senso della sua antica e recente menzogna (vv. 1455), perfino dopo che ha compreso che Febo ha agito così per il bene del fanciullo (vv. 1531-2: νὐθ ἔζηηλ νὐδείο ζνη παηὴξ ζλεησ̃λ, ηέθλνλ,/ ἀιι' ὅζπεξ ἐμέζξεςε Λνμίαο α̗λαμ; vv. 1540-1: εὐεξγεησ̃λ ζε Λνμίαο ἐο εὐγελε̃ / δόκνλ θαζίδεη). La considerazione che la donna ha di Apollo muta nel corso del dramma, in ragione dello sviluppo della storia.
A queste ultime parole di Creusa, Ione risponde dicendo che andrà a chiedere direttamente al Lossia chi sia il suo vero padre (νὐρ ω̚δε θαύισο αὔη' ἐγὼ κεηέξρνκαη,/ ἀιι' ἱζηνξήζσ Φνη̃βνλ εἰζειζὼλ δόκνπο / εἴη' εἰκὶ ζλεηνπ̃ παηξὸο εἴηε Λνμίνπ, vv. 1547-9) e, dopo avere ascoltato le parole di Atena, dea ex-machina, afferma di credere di essere figlio di Creusa e del Lossia (v. 1608). Nessuna connotazione esplicitamente negativa è sottesa alle sue parole.
Le altre occorrenze di tale appellativo le troviamo fra le battute del coro, costituito dalle ancelle di Creusa, del vecchio pedagogo e del servo della donna. Il coro, ai vv. 774-5 e 780-1, rivela a Creusa che Lossia ha dato un figlio a Xuto, che quest’ultimo, ora, da solo gode della lieta notizia e che il bambino, in realtà, è già un fanciullo cresciuto. L’anziano pedagogo, invece, a colloquio con Creusa, le chiede quali accuse ella muova a Febo (ηί θῄο;
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ηίλα ιόγνλ Λνμίνπ θαηεγνξεη̃ο; - v. 931) e, dopo avere udito della sciagura che ha colpito la donna, le suggerisce di dar fuoco al santuario del Lossia (πίκπξε ηὰ ζεκλὰ Λνμίνπ ρξεζηήξηα, v. 974): in entrambi i casi, il vecchio, che parteggia per Creusa, esprime un’idea negativa sul signore dell’oracolo. Diversa è la connotazione dell’appellativo nel ιόγνο del servo, il quale, raccontando il gesto compiuto dalla sua padrona, descrive lo stormo delle colombe che dimorano festose nel tempio del Lossia (v. 1197) e, alla fine del suo resoconto, parla di Ione come del giovane ‚rivelato dall’oracolo‛ (ὁ ππζόρξεζηνο Λνμίνπ, v. 1219).
Se consideriamo tutti i dati appena descritti, sembra impossibile ricavare uno schema di interpretazione coerente sull’immagine di Apollo delfico: tuttavia, proprio in questo consiste la chiave ermeneutica del suo ruolo nel dramma. Il dio, all’interno dello
Ione forse più che in qualunque altra tragedia, sfugge a qualunque definizione univoca: i
personaggi ne hanno una determinata idea, non solo differente per ciascuno di loro ma anche soggetta ad un’evidente messa in discussione per ognuno di essi nel corso del dramma. Così Creusa, inizialmente ostile ad Apollo per via dell’antica violenza, è disposta a credere che egli, tramite il suo responso a Xuto, abbia agito per il bene di Ione, mentre quest’ultimo, ministro presso il tempio del dio, in principio così devoto e fiducioso verso il suo signore, si ricrede bruscamente dinanzi all’evidenza del suo ambiguo comportamento, e così via.
Credo, pertanto, che il termine ‚Lossia‛ sia assolutamente perfetto per individuare l’atteggiamento del dio di Delfi nello Ione: per tutto il dramma egli non fa altro che far credere qualcosa ai personaggi per poi smentirla subito dopo, in modo che essi abbiano di lui una certa opinione che, tuttavia, si rivelerà presto fallace.
Lo Ione è il dramma dell’inganno e della menzogna, una menzogna che, seppure a fin di bene, articola il tessuto drammaturgico dell’opera: Apollo non può dunque che mostrarsi ‚obliquo, contorto‛ lungo l’intera vicenda. E il suo vero volto è talmente occulto e sfuggente da rimanere celato anche nel finale dell’opera, quando per svelare le reali intenzioni del suo comportamento, non apparirà lui stesso bensì la dea Atena: nessuno può guardare in faccia il Lossia, il dio dell’oracolo, i personaggi potranno avvicinarsi a
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conoscerlo ma non lo faranno mai in maniera chiara e diretta. Alla fine del dramma, il segreto del contorto Lossia rimane protetto e ben custodito.
Anche nei drammi del ciclo argivo, soprattutto nell’Oreste e nell’Ifigenia in Tauride, le intenzioni del dio Apollo non si rivelano per nulla chiare.
Partiamo dall’Oreste, dramma nel quale Apollo viene definito ‚Lossia‛ per due volte dall’omonimo protagonista, un’altra volta da Elettra e un’altra ancora da Menelao. All’inizio della tragedia, al v. 268, Oreste definisce ‚δσ̃ξα Λνμίνπ‛, ‚dono del Lossia‛, l’arco che il dio gli diede per difendersi dagli attacchi delle Erinni e, dunque, l’appellativo sembrerebbe avere valenza positiva. Invece, nel medesimo contesto, al v. 285, il giovane dice di biasimare Febo per averlo indotto all’atto scellerato e di averlo poi confortato a parole ma non coi fatti: ‚Λνμίᾳ δὲ κέκθνκαη,/ ὅζηηο κ' ἐπάξαο ἔξγνλ ἀλνζηώηαηνλ / ηνη̃ο κὲλ ιόγνηο εὔθξαλε ηνη̃ο δ' ἔξγνηζηλ νὔ‛ (vv. 286-8).
Ecco, dunque, che Lossia assume una sfumatura negativa: il dio si è comportato in maniera ambigua con il figlio di Agamennone. Poco prima, anche Elettra si era espressa in termini simili sull’oracolo di Apollo, causa dell’atroce sofferenza del fratello, e anche in quel caso, la fanciulla aveva usato il sostantivo Lossia per riferirsi al dio: ‚Φεπ̃ κόρζσλ./ α̗δηθνο α̗δηθα ηόη' α̗ξ' ἔιαθελ ἔιαθελ, ἀπό-/ θνλνλ ὅη' ἐπὶ ηξίπνδη Θέκηδνο α̗ξ' ἐδίθαζε / θόλνλ ὁ Λνμίαο ἐκα̃ο καηέξνο‛ (vv. 161-5). Infine Menelao, personaggio che, nel corso del dramma, si rivelerà avverso ai due fratelli, al v. 419 chiede ad Oreste come mai Lossia non lo aiuti nei suoi mali (θα̙ηη' νὐθ ἀκύλεη Λνμίαο ηνη̃ο ζνη̃ο θαθνη̃ο;), e il nipote risponde che il dio prima o poi lo farà< questa infatti è la natura degli dèi, ossia l’essere volubili, incostanti (κέιιεη· ηὸ ζεη̃νλ δ' ἐζηὶ ηνηνπ̃ηνλ θύζεη).
Credo, quindi, che nell’Oreste, come nello Ione, l’attribuzione dell’epiteto ‚Lossia‛ al signore dell’oracolo sia perfettamente coerente con l’etimologia del termine, giacchè il dio, dopo aver promesso certe cose al suo supplice Oreste, poi sembra non mantenerle. Tuttavia nel finale del dramma, nel quale, a differenza dello Ione, Apollo appare come deus
ex-machina, il dio viene ad appianare la situazione e, dunque, a svelare le sue benevole
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contorto, ma non sempre il termine ‚Lossia‛ è stato usato dai personaggi con questa valenza negativa.
Le intenzioni del dio Apollo rimangono ancora più misteriose all’interno dell’Ifigenia in Tauride. Per tutto il dramma, infatti, sul dio viene proiettata una luce estremamente negativa poichè si crede che, per recuperare un simulacro di Artemide, egli abbia inviato Oreste, suo supplice, nella regione della Tauride dove il giovane avrebbe trovato la morte per mano della sua ignara sorella Ifigenia. Il signore di Delfi appare dunque come il più meschino fra i traditori: tuttavia, sebbene il giudizio di Oreste su di lui sia all’insegna della sfiducia, il figlio di Agamennone lascia sempre spazio alla speranza e pensa che il Lossia, come è stato causa della sua rovina – che non è terminata neppure con il viaggio ad Atene - (ἐο ηὰο Ἀζήλαο δή γ' ἔπεκςε Λνμίαο, v. 943), così ora lo salverà (γλώκεο δ' α̗θνπζνλ· εἰ πξόζαληεο η̙λ ηόδε /Ἀξηέκηδη, πσ̃ο α̕λ Λνμίαο ἐζέζπηζελ / θνκίζαη κ' α̗γαικα ζεα̃ο πόιηζκ' ἐο Παιιάδνο, vv. 1012-14). Ifigenia, invece, come appare nella preghiera ad Artemide ai vv. 1082-1088, si mostra convinta della veridicità degli oracoli del Lossia: se la dea non li salverà dalla morte imminente, allora la bocca di Apollo ‚non sarà più veritiera fra gli uomini‛.
ω̙ πόηλη', η̘πεξ κ' Αὐιίδνο θαηὰ πηπρὰο δεηλε̃ο ζσζαο ἐθ παηξνθηόλνπ ρεξόο, ζσ̃ζόλ κε θαὶ λπ̃λ ηνύζδε η'· ε ̓̀ ηὸ Λνμίνπ νὐθέηη βξνηνη̃ζη δηὰ ζ' ἐηήηπκνλ ζηόκα. ἀιι' εὐκελὴο θβεζη βαξβάξνπ ρζνλὸο ἐο ηὰο Ἀζήλαο· θαὶ γὰξ ἐλζάδ' νὐ πξέπεη λαίεηλ, πάξνλ ζνη πόιηλ ρεηλ εὐδαίκνλα.
Nello stasimo che segue, il coro rievocando la conquista della sede oracolare di Delfi da parte di Apollo, narra di quando il dio si slanciò sull’Olimpo alla ricerca di Zeus per accusare Gea che lo aveva privato dell’‚onore mantico‛; il padre degli dèi rese al figlio Lossia l’antico privilegio e gli donò la capacità di emettere responsi veritieri (vv. 1276- 1283):
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ἐπὶ δ' ἔζεηζελ θόκαλ παπ̃ζαη λπρίνπο ἐλνπάο, ὑπὸ δ' ἀιαζνζύλαλ λπθησπὸλ ἐμεη̃ιελ βξνησ̃λ, θαὶ ηηκὰο πάιηλ ζε̃θε Λνμίᾳ πνιπάλνξί η' ἐλ μελόεληη ζξόλση ζάξζε βξνηνη̃ο ζεζθάησλ ἀνηδαη̃ο.Nel momento in cui si sta celebrando lo splendore del tempio di Delfi e la veridicità dell’oracolo che in esso risiede, il coro chiama ‚Lossia‛ il dio che lo presiede.
Infine, Atena, dea ex-machina del dramma, spiega a Toante, re della Tauride, e agli altri personaggi, la ragione del viaggio di Oreste: il giovane è stato condotto lungo un itinerario tortuoso e irto di pericoli per un destino segnato dagli oracoli del Lossia (πεπξσκέλνλ γὰξ ζεζθάηνηζη Λνμίνπ / δεπ̃ξ' η̙ιζ' Ὀξέζηεο, ηόλ η' Ἐξηλύσλ ρόινλ / θεύγσλ ἀδειθε̃ο η' Ἄξγνο ἐζπέκςσλ δέκαο / α̗γαικά ζ' ἱεξὸλ εἰο ἐκὴλ α̗μσλ ρζόλα,/ ησ̃λ λπ̃λ παξόλησλ πεκάησλ ἀλαςπράο, vv. 1438-1442). Proprio questo viaggio ora sarà fonte di salvezza per lui, per Ifigenia e per Pilade.
Volendo, dunque, provare a trarre le conclusioni riguardo all’uso di ‚Lossia‛ nell’Ifigenia in Tauride, vediamo come l’epiteto sia usato sempre in ambito oracolare giacchè riferito, in ogni caso, al dio di Delfi: tuttavia esso non ha un’accezione univoca. In bocca ad Oreste, esso sottolinea, in maniera ‘etimologica’, l’ambiguità di Apollo, che sfugge a qualsiasi comprensione da parte del giovane atrida. I suoi oracoli, anziché illuminare un cammino chiaro e sicuro, si rivelano per lui contorti e di difficile interpretazione, non per i termini in cui sono espressi ma per gli atti a cui conducono. Il medesimo appellativo, pronunciato da Ifigenia, assume, invece, un altro significato: il Lossia pronuncia oracoli veritieri, e di questo la fanciulla non dubita. Così il coro, descrivendo il dono della profezia veritiera che Zeus fa al figlio Apollo, chiama quest’ultimo ‚Lossia‛ senza far riferimento ad alcuna ambiguità né nelle sue parola né nel suo comportamento. Ciò è ancora più vero per la dea Atena che, nel chiamare ‚Lossia‛ il dio sta, in realtà, descrivendo l'opera di salvezza di quest'ultimo nei confronti di Oreste, suo supplice.
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Allora, credo che anche in questo dramma, l’epiteto ‚Lossia‛ stia a sottolineare non un’ambiguità dell’oracolo, bensì il fatto che i modi attraverso cui Apollo si esprime e indirizza le scelte dei suoi supplici sono spesso ‚obliqui‛, contorti e, fino alla fine, incomprensibili agli esseri umani.
Diverso è il caso delle Fenicie, dove l’epiteto viene usato per cinque volte di cui tre dal coro. Le prime due di queste occorrenze sono nella parodo, in cui ciascuna delle fanciulle fenicie afferma di essere giunta dalla propria patria come ‚primizia‛ di Apollo (ἀθξνζίληα Λνμίᾳ, v. 203), come un splendido dono della città per il dio (πόιενο ἐθπξνθξηζεη̃ζ'
ἐκα̃ο / θαιιηζηεύκαηα Λνμίᾳ, vv. 214-5). Successivamente, parlando con Polinice, sempre una
corifea rievoca il tempo in cui Eteocle l’aveva mandata al ‚venerando oracolo del Lossia‛(καληεη̃α ζεκλὰ Λνμίνπ η' ἐπ' ἐζράξαο, v. 284). In queste accezioni mi pare assente qualunque sfumatura negativa.
Tuttavia, al v. 409, all’interno della sticomitia fra Polinice e Giocasta, dinanzi alla madre che gli chiede cosa lo abbia spinto a recarsi ad Argo, il giovane risponde che c’era un preciso oracolo dato ad Adrasto dal Lossia (ἔρξεζ' Ἀδξάζηῳ Λνμίαο ρξεζκόλ ηηλα): il responso a cui allude il figlio è quello, citato anche nelle Supplici, in cui Apollo prescrive al
re di Argo di far sposare le figlie con un θάπξνο e con un ιεώλ.
Due aspetti mi sembrano degni di nota in questi versi: intanto il suddetto oracolo fu alla base della duplice sciagura delle città di Argo e di Tebe, per cui il dio di Delfi viene ritenuto causa e responsabile della guerra scatenata fra le due città. Inoltre, la formulazione del responso è alquanto ambigua, sebbene la soluzione dell’enigma si presenti a portata di mano per Adrasto, come abbiamo già osservato a proposito delle
Supplici. Pertanto, l’uso del termine ‚Lossia‛, in questo contesto, mi sembra più connotata
in senso negativo, delineando un dio ambiguo tanto nei suoi atti quanto nelle sue parole. L’ultima attestazione del termine, nelle Fenicie, la troviamo alla fine del dramma, quando, dopo la morte della moglie e dei due figli, Edipo rivela alla figlia Antigone che sta per compiersi l’antico presagio del Lossia:
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Αλ. ὁ πνη̃νο; ἀιι' η̙ πξν̓̀ο θαθνη̃ο ε ξεη̃ο θαθά; Οη. ἐλ ηαη̃ο Ἀζήλαηο θαηζαλεη̃λ κ' ἀιώκελνλ. Αλ. πνπ̃; ηίο ζε πύξγνο Ἀηζίδνο πξνζδέμεηαη; Οη. ἱεξὸο Κνισλόο, δώκαζ' ἱππίνπ ζενπ̃. ἀιι' εἷα ηπθισ̃η ησ̃ηδ' ὑπεξέηεη παηξί, ἐπεὶ πξνζπκε̃η ηε̃ζδε θνηλνπ̃ζζαη θπγε̃ο. Αλ. η ́ζ' ἐο θπγὰλ ηάιαηλαλ· ν ́ξεγε ρέξα θίιαλ, πάηεξ γεξαηέ, πνκπίκαλ ε ́ρσλ κ' σ ́ζηε λαπζηπνκπὸλ ααξαλ. (vv. 1703-12)Il responso a cui il vecchio re allude è quello secondo il quale egli sarebbe dovuto morire errante ad Atene (ἐλ ηαη̃ο Ἀζήλαηο θαηζαλεη̃λ κ' ἀιώκελνλ), nella sacra Colono (ἱεξὸο Κνισλόο). Edipo, conoscendo solo parzialmente il suo futuro, vede davanti a sé un misero esilio che lo condurrà a morire solo e lontano dalla sua patria: tale prospettiva gli viene ribadita dalla figlia (ἴζ' ἐο θπγὰλ ηάιαηλαλ) che sarà misera compagna del suo misero vagare (ἐπεὶ πξνζπκε̃η ηε̃ζδε θνηλνπ̃ζζαη θπγε̃ο). Ancora una volta, l’infelice figlio di Laio crede che il dio Apollo si comporti in maniera contorta nei suoi confronti e, sebbene le sue parole siano chiare, i suoi atti rivelano tutta l’ambiguità del signore dell’oracolo.
Nell’Andromaca, il termine ‚Lossia‛ ricorre due volte, di cui la prima nel prologo, recitato dalla protagonista omonima: la donna, insieme alle altre disgrazie, lamente il fatto che Neottolemo, padre di suo figlio, si sia recato nuovamente a Delfi, ma con intenzioni differenti dalla volta precedente. Nella sua prima visita al santuario pitico, infatti, il giovane – come afferma la stessa Andromaca – in maniera folle, stolta, aveva accusato il dio dell’oracolo dell’uccisione di suo padre, mentre adesso egli viene ad espiare questa passata tracotanza, cercando di ottenere il favore del Lossia per scongiurare gli effetti della sua avventatezza (ὁ γὰξ θπηεύζαο αὐηὸλ νὔη' ἐκνὶ πάξα / πξνζσθειε̃ζαη παηδί η' νὐδέλ ἐζη', ἀπὼλ / Γειθσ̃λ θαη' αἶαλ, ἔλζα Λνμίαη δίθελ / δίδσζη καλίαο, ᾗ πνη' ἐο Ππζὼ κνιὼλ / ᾔηεζε Φνη̃βνλ παηξὸο νὗ θηείλεη δίθελ,/ εἴ πσο ηὰ πξόζζε ζθάικαη' ἐμαηηνύκελνο / ζεὸλ παξάζρνηη' ἐο ηὸ ινηπὸλ εὐκελε̃, vv. 49-55). In questo caso, l’epiteto ‚Lossia‛, sebbene usato in ambito oracolare, non va certo inteso in riferimento alle parole del dio, bensì, anche qui, al suo
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comportamento: al di là dell’incertezza sulla morte di Achille, gli atti del dio si riveleranno contorti e poco chiari fino alla fine del dramma, quando Apollo appare intenzionalmente crudele, trascurando le motivazioni di questo secondo viaggio di Neottolemo, invenzione euripidea. Infatti, al v. 1065, una corifea, a colloquio col vecchio Peleo, riferisce che Menelao ha intenzione di uccidere il figlio di Achille insieme agli abitanti di Delfi, in un agguato presso il tempio del Lossia (ἁγλνη̃ο ἐλ ἱεξνη̃ο Λνμίνπ Γειθσ̃λ κέηα). Anche qui non mi sembra che l’epiteto venga usato in maniera casuale: il comportamento di Apollo alla fine della tragedia appare inspiegabile e contorto, e proprio quando i Delfi sembrano desistere dal loro proposito, è il dio ad incitarli all’uccisione (come trapela dal ινγνο ἀγγειηθόο, ai vv. 1085-1165).
Credo che nell’Andromaca Euripide volutamente presenti il dio in maniera obliqua e contorta: il signore dell’oracolo, protettore dei suoi supplici, si ritorce proprio contro chi era venuto ad implorare il suo perdono e il suo favore. Così il focolare di Delfi, luogo sacro che accoglie le suppliche degli individui, si tramuta per Neottolemo in un cupo baratro di
morte, e il signore dell’oracolo rivela il suo volto in tutta la sua ambiguità.
Nell’Elettra, Apollo inizialmente viene chiamato ‚Lossia‛ da Oreste, il quale, parlando con la sorella Elettra sotto mentite spoglie, si augura che ‚suo fratello‛ (cioè lui stesso in realtà) lo conduca felicemente alla propria casa, e può darsi davvero che ciò accada dal momento che, a differenza dei vaticini umani, sono saldi gli oracoli del Lossia: ἴζσο δ' α̕λ ἔιζνη· Λνμίνπ γὰξ ἔκπεδνη
ρξεζκνί, βξνησ̃λ δὲ καληηθὴλ ραίξεηλ ἐσ̃.
Le parole del giovane sembrano rivelare fiducia nelle parole del dio: tuttavia, un confronto con gli altri drammi euripidei nei quali compare la figura di Oreste dimostra come l’atteggiamento del figlio di Agamennone verso Apollo delfico sia spesso diffidente e all’insegna del dubbio e della sfiducia. Credo, dunque, che in questo contesto, il giovane atrida usi l’epiteto ‚Lossia‛ in maniera consapevole: egli, finora, si è sempre fidato del dio, ma questa fiducia comincia ora a vacillare (come dimostrano, proprio in questi versi, l’uso
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di avverbi come e dell’ottativo potenziale ) poiché sa che Apollo è contorto, non lineare, e il suo comportamento non può essere previsto né definito con chiarezza.
I Dioscuri, che compaiono alla fine del dramma ex machina, preannunciano ad Oreste il futuro viaggio ad Atene per l’assoluzione dal matricidio. Nel farlo, essi affermano che Apollo si assumerà la colpa del delitto poiché è stato lui a comandarlo attraverso il suo oracolo (ςε̃θνη ηεζεη̃ζαη· Λνμίαο γὰξ αἰηίαλ / ἐο αὑηὸλ νἴζεη, κεηέξνο ρξήζαο θόλνλ, vv. 1265-6). L’uso dell’appellativo ‚Lossia‛, in questa sede, mi sembra significativo: intanto si riferisce alla divinità nel suo ruolo oracolare; inoltre, pur non alludendo all’ambiguità delle parole del dio (il responso in questione è stato chiaro per Oreste), potrebbe riferirsi a quella del suo comportamento. Apollo, inizialmente, ha dato un ordine al suo supplice, poi sembra averlo abbandonato ma, al termine della vicenda, riuscirà a farlo assolvere presso il tribunale di Atene: i suoi percorsi sono spesso contorti, non lineari, ma alla fine egli ha salvato Oreste. ‚Obliquo‛ non ha, dunque, un significato necessariamente negativo, nel senso di ‚ostile‛.
Negli Eraclidi l’epiteto ‚Lossia‛ ricorre una volta soltanto, in bocca ad Euristeo al v. 1028. Il re, scampato alla morte proposta da Alcmena grazie all’opposizione degli Ateniesi, fa dono alla loro città di un antico oracolo di Apollo, che prediceva che il suo cadavere, se sepolto presso il tempio della Vergine Pallenia, avrebbe garantito a quel luogo eterna protezione: θηεη̃λ', νὐ παξαηηνπ̃καί ζε· ηήλδε δὲ πηόιηλ, ἐπεί κ' ἀθε̃θε θαὶ θαηῃδέζζε θηαλεη̃λ, ρξεζκσ̃η παιαησ̃η Λνμίνπ δσξήζνκαη, ὃο ὠθειήζεη κείδνλ' η̕ δνθεη̃ ρξόλση. ζαλόληα γάξ κε ζάςεζ' νὗ ηὸ κόξζηκνλ, δίαο πάξνηζε παξζέλνπ Παιιελήδνο (vv. 1026-31).
In questo caso non mi sembra che l’epiteto abbia una connotazione particolare dal momento che non allude all’ambiguità di Apollo né per quanto concerne le sue parole né riguardo al suo comportamento.
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Nelle Troiane, l’appellativo ‚Lossia‛ viene usato una volta da Cassandra ed un’altra da Ecuba. La giovane sacerdotessa apollinea, parlando con la madre, afferma che, se Lossia esiste, lei andrà in sposa ad Agamennone, ma saranno nozze più sinistre di quelle di Elena (ω̗ζεη βηαίσο· εἰ γὰξ ἔζηη Λνμίαο,/ Ἑιέλεο γακεη̃ κε δπζρεξέζηεξνλ γάκνλ / ὁ ησ̃λ Ἀραησ̃λ θιεηλὸο Ἀγακέκλσλ α̗λαμ, vv. 356-8 ): le protasi di questo tipo (εἰ γὰξ ἔζηη Λνμίαο) non
esprimono alcun dubbio reale.35
L’epiteto ‚Lossia‛ è usato qui all’interno di un delirio profetico che lascia intravedere un futuro di nozze oscure ed ambigue (δπζρεξέζηεξνλ γάκνλ). Ecuba, invece, definisce Apollo con tale appellativo quando piange il cadavere del piccolo Astianatte: rivolgendosi al corpicino che tiene tra le braccia, l’anziana donna geme affermando che le