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L’oracolo fra le due guerre: Atene e Delfi durante la pentecontaetia (479-432 a.C.)

Le implicazioni politiche dell’oracolo delfico nelle tragedie attiche

2.1 Il quadro di riferimento storico: le relazioni fra Atene e l’oracolo di Delfi ai tempi della tragedia attica

2.1.2 L’oracolo fra le due guerre: Atene e Delfi durante la pentecontaetia (479-432 a.C.)

Al termine dell’invasione persiana, la proposta degli Spartani, che volevano escludere dal sinedrio anfizionico tutti coloro che si erano macchiati di ‚medismo‛ (Tessali, Tebani e Argivi), trovò l’opposizione di Atene (e di Temistocle in particolare), preoccupata dal fatto che il nuovo organismo così costituito fosse soggetto ad un’eccessiva

influenza da parte spartana181: l’Anfizionia, grazie all’intervento ateniese, mantenne la sua

struttura arcaica e rimase sotto il controllo tessalo. Tra gli Ateniesi e i Tessali cominciò così un periodo di alleanza che, tuttavia, subì una svolta quando, nel 471, si verificò un avvicinamento fra Sparta e Atene (a causa della sconfessione della linea di Temistocle) e

un conseguente ripensamento della politica di alleanze ateniese.182 Ma quando, nel 462/1,

una nuova svolta nell’indirizzo della politica estera ateniese portò a rinunciare all’alleanza con Sparta, la conseguenza immediata fu la stipulazione di un nuovo legame con Argo e

con la Tessaglia degli Alevadi, con evidente intento antispartano.183

Per comprendere appieno questa compagine storica e religiosa che delinea una particolare fase dei rapporti fra Atene e il santuario delfico è di grande rilievo l’analisi dell’Orestea di Eschilo, in particolare dell’ultima tragedia della trilogia, le Eumenidi, rappresentata nel 458 a.C.184

Rispetto al mito tradizionale, Eschilo è l’unico a collocare la residenza degli Atridi, e di conseguenza le vicende della casa di Agamennone, ad Argo anziché a Micene: fra gli intenti del poeta, molto probabilmente, c’era anche quello di celebrare la nuova alleanza ateniese con Argo. L’elemento ‚apollineo‛ presente nel mito invece, ossia il ruolo che ebbe Apollo nell’indurre Oreste al matricidio, sembra da attribuirsi a Stesicoro (in Omero questa presenza non figura), ma Eschilo potrebbe essere stato il primo a individuare

181 Plut. Them. 20; Her. IX 106.

182 Per i contenuti di tutto questo paragrafo, cfr. A. Giuliani, op. cit., cap. IV ‚La pentecontaetia‛, pp. 79- 109. 183 Thuc. I 102, 4; Diod. XI 80, 1.

184 Per un’analisi più approfondita del significato politico delle Eumenidi cfr. infra, cap. 2.2.1 ‚Orestea‛. Antiche

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nell’Apollo delfico il difensore di Oreste: è il dio Pizio che, nelle Eumenidi, non solo induce il figlio di Agamennone a colpire il seno materno, ma lo spinge anche verso Atene dove stringerà un legame di solidarietà e allenza con gli abitanti della città destinato a durare

per le generazioni successive.185

Occorre dunque attribuire ad Eschilo l’impiego di un mito originariamente connotato solo in senso peloponnesiaco ed apollineo per rappresentare la consacrazione del legame tra Atene e Argo (in seno alla nuova politica democratica) come frutto dell’iniziativa e degli auspici del dio di Delfi, garanzia di stabilità ed efficacia. I Tessali sembrano, invece, rimanere fuori dall’orizzonte della tragedia, anche se l’atteggiamento di Delfi, così come rappresentato in Eschilo, sembra dare validità agli orientamenti della parte democratica ateniese ed allinearsi con l’atteggiamento contemporaneo della maggioranza anfizionica, detenuta sempre dai Tessali.

Mentre ad Atene Eschilo metteva in scena l’Orestea, il santuario pitico era ormai sotto la gestione e l’amministrazione dei Focesi i quali, sebbene furono rimossi da Delfi l’anno successivo ad opera degli Spartani, poco tempo dopo, grazie agli Ateniesi, ne riacquisirono il controllo e lo mantennero, salvo una breve parentesi, per circa un decennio.186

Per Atene, in un momento di forte affermazione della propria potenza, la sintonia con Delfi rivestiva un’importanza fondamentale soprattutto per la sua portata panellenica: tuttavia i Focesi, a cui era stata affidata la gestione del santuario, erano tradizionali nemici dei Tessali i quali, dopo la vittoria degli Ateniesi ad Enofita, non recuperarono più l’alleanza con loro.

185 Cfr. Hom. Od. I, 30 sgg, 296 sgg.; III 193 sgg., 247-275, 301-312; IV 514 sgg., XIII 405 sgg., 457 sgg. Stesicoro:

fr. 217 Davies; Schol. Eur. Or. 268 (cfr. A. Giuliani, op. cit., pp. 83-89, nota n. 20).

186 Plutarco (Cim. 17, 6) afferma che gli Spartani, prima di giungere a Tanagra, dove avrebbero affrontato gli

Ateniesi e i loro alleati, si erano recati a Delfi che avevano tolto ai Focesi. Cfr. anche Thuc. I 107-108: a Tanagra si scontrarono due schieramenti, da una parte gli Spartani e i Beoti, dall’altra gli Ateniesi ed i loro alleati. Inizialmente, a causa di una defezione tessalica, gli Spartani ebbero la meglio sui rivali e tornarono indietro, lasciando tuttavia i Beoti in una situzione difficile. Essi, rimasti soli, furono presto sconfitti ad Enofita dagli Ateniesi, che guadagnarono così il predominio sulla Grecia centrale e ristabilirono il controllo su Delfi attraverso i Focesi.

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Atene aveva la supremazia sulla Grecia centrale, e con essa anche su Delfi, ma non disponeva più di una maggioranza nell’Anfizionia.

Ad un certo punto, in un momento non meglio precisato della tregua quinquennale stipulata tra Sparta e Atene, tra il 449 e il 447 a.C. scoppiò un conflitto per il controllo di Delfi noto come ‚seconda guerra sacra‛.187 Gli Spartani tentarono di liberare il santuario

dal controllo focese tramite una spedizione militare e i Delfi, grati, concessero loro il privilegio della πξνκαληεία: quando, tuttavia, i Peloponnesiaci si furono ritirati, una spedizione ateniese condotta per iniziativa di Pericle ristabilì la situazione riconquistando il diritto alla πξνκαληεία.

Questo nuovo periodo di influenza ateniese su Delfi durò dal 457 al 447 a.C., quando, dopo la sconfitta di Coronea, Atene perse il controllo della Grecia centrale e i Focesi vennero allontanati dal santuario che fu restituito ai Delfi.

Resta da definire che profitto trasse Atene dal controllo sull’oracolo delfico, che uso ne fece durante il decennio nel quale mantenne la supremazia su di esso. L’ipotesi che Atene sfruttasse la possibilità di attingere ricchezze dal santuario non appare evidentemente sufficiente. Se poi ci sia stato un impiego propagandistico dell’oracolo (come la promozione di responsi incoraggianti), esso non ha lasciato tracce chiare nella tradizione.188 E’ stata avanzata l’ipotesi che Atene si sia servita del prestigio panellenico

del santuario per i suoi intenti imperialistici, per legittimare le proprie aspirazioni egemoniche anche all’esterno della lega marittima.

187 Cfr. Thuc. I 112, 5; FGrHist 328 F 34 (Filocoro); Strab. IX 3, 15; Plut. Per. 21. E’ possibile che con tale

espressione gli Spartani designassero proprio l’operazione militare volta a liberare Delfi dal controllo focese (cfr. A. Giuliani, op. cit., p. 96 e nota n. 44).

188 A. Giuliani (op. cit., p. 98-99) ricorda che sono stati ipoteticamente riferiti a questo periodo due oracoli

relativi alla fortuna dell’imperialismo ateniese (H. W. Parke et D. E. W. Wormell, The Delphic Oracle, Oxford, 1956, vol. I, p. 185): il primo di essi paragona Atene ad un’aquila tra le nubi, viene ripreso più volte da Aristofane (Eq. 1013 e 1087; Av. 978) e risale certamente al V sec. ma non è possibile escludere che si tratti di un frutto dell’attività di ρξεζκνιόγνη ateniesi, indipendenti da Delfi, da collocare in un momento successivo al decennio 457-447 a.C. Infatti, a proposito del suddetto responso, Aristide (XIII 196) lo ascrive esplicitamente ad Apollo Pizio, mentre Plutarco (Dem. 19, 1) lo attribuisce alla Sibilla. Ancora più controverso è il caso dell’oracolo citato da Plutarco come ottenuto da Teseo a Delfi (Tes. 24, 5) nel quale Atene viene paragonata ad un otre in grado di rimanere a galla cavalcando le onde: nulla autorizza a contestualizzare con esattezza l’oracolo all’interno del decennio in questione.

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Pur lasciando aperta la questione, un elemento significativo è il fatto che in tutte le attestazioni della grande attività coloniale ateniese, dalla metà del V sec. fino alla guerra archidamica, sembra completamente assente qualunque riferimento all’oracolo di Delfi, nonostante la sua autorità in materia fosse indiscussa: al contrario, nelle pratiche mantiche e cultuali che accompagnano la deduzione delle colonie attiche si distinguono delle forme

specifiche che potrebbero proporsi come alternative alla consultazione della Pizia.189 A

proposito dell’unica iniziativa spartana di questo genere, la fondazione di Eraclea Trachinia (avvenuta nel 426), Tucidide narra esplicitamente il ricorso a Delfi per ricevere l’approvazione da parte del dio (Thuc. III 92, 5), mentre i ρξεζκνί di cui gli Ateniesi si servirono in questi anni quasi certamente provenivano da una fonte diversa dall’oracolo delfico.

Pertanto è probabile che dopo aver perso il controllo diretto sul santuario, gli Ateniesi abbiano evitato deliberatamente di ricorrere a Delfi in occasione di iniziative ufficiali connesse con l’espansione del suo dominio, come la fondazione di colonie, anche perché i Delfi, una volta recuperato il predominio nel santuario, non vedevano certo di buon occhio la crescita di quella potenza che tanto a lungo li aveva esautorati dalle loro prerogative tradizionali.

Cominciò dunque a delinearsi quella linea di condotta dell’oracolo, che sembra caratterizzare gli anni a venire, all’insegna di un atteggiamento di appoggio degli interessi spartani e peloponnesiaci e di ostilità verso Atene, atteggiamento che troverà un probabile riscontro anche nella tragedia attica, e in quella di Euripide in particolare.

189 Diverse fonti attestano questo stato dei fatti. Ancora A. Giuliani (op. cit., pp. 102-104) accosta il racconto

tucidideo della colonizzazione ateniese di Notion (in Thuc. III 34, 4 lo storico afferma che gli Ateniesi colonizzarono il centro ‚θαηὰ ηνὺο ἑαπησ̃λ λόκνπο‛) con le fonti relative alla fondazione di Turi, avvenuta nel 444/3: in queste ultime (Aristoph. Nub. 332 e schol. ad loc.; Suid. e Phot. s.v. Θνπξηνκάληεηο) si parla di un collegio di dieci membri, competenti anche in materia di pratiche religiose e mantiche, fra cui spicca Lampone, personaggio politico ma anche noto indovino. Tucidide intendeva con ‚λόκνη‛ non solo una prassi imperialistica ma anche le concrete forme religiose che essa assumeva; nel caso di Turi sembra certo che l’iniziativa fu accompagnata da una significativa propaganda oracolare. In tutte le altre attestazioni dell’attività coloniale ateniese di questi anni o sono assenti riferimenti ad oracoli o si accenna a generici ρξεζκνί.

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