La nozione di ‚oracolo tragico‛: specificità, prerogative e meccanism
3.3 La dilazione temporale e la progressività della rivelazione
Questo aspetto implica un’altra caratteristica degli oracoli tragici, intrinseca ad essi e legata, oltre che all’arte del drammaturgo, anche alla concezione della sorte che tale
divinazione predicente portava con sé: la progressione nella rivelazione, ossia la progressività
con cui affiorava la verità che gli oracoli rivelavano.324
Nella tragedia, le parole dell’oracolo inizialmente rispondono solo in parte alla domanda posta dal personaggio, illuminando solo una parte di verità e lasciando nell’oscurità il resto dell’interrogativo, in modo tale che esso venga svelato solo successivamente, nel corso del dramma o, addirittura, alla fine. La parola del dio fornisce dunque una verità parziale: nella prospettiva di questa divinazione ‚letteraria‛, il destino dell’eroe (tragico) s’inserisce su due piani diversi, uno umano e l’altro divino: a livello dell’esistenza umana, il destino si svela a poco a poco, attraverso la progressione di eventi la cui successione, incomprensibile inizialmente, acquista un senso (quasi sempre doloroso) quando tutto è definitivamente compiuto alla fine del dramma.
Dal punto di vista degli dèi, invece, accade il contrario: essi conoscono già prima della nascita di un individuo il suo destino (come nel caso di Edipo, destinato ad un atroce futuro prima ancora di essere concepito), che include il senso ultimo dell’esistenza di ognuno ma che gli uomini possono conoscere solo con la morte. Così in Sofocle: ‚< ω̘ζηε ζλεηὸλ ὄλη' ἐθείλελ ηὴλ ηειεπηαίαλ ἰδεη̃λ / ἡκέξαλ ἐπηζθνπνπ̃ληα κεδέλ' ὀιβίδεηλ, πξὶλ α̕λ / ηέξκα ηνπ̃ βίνπ πεξάζῃ κεδὲλ ἀιγεηλὸλ παζώλ‛.325 E’ la conclusione della morte che conferisce
all’esistenza umana il suo senso ultimo, come ha dimostrato la vicenda di Edipo. Fino a quando non termina la sua vita senza avere sofferto alcun male, nessun mortale può dichiararsi ‘felice’ (κεδέλ' ὀιβίδεηλ) e, dunque, generalizzando, si può affermare che non
deve giudicarsi la sorte di alcun individuo finché non abbia compiuto i suoi giorni326: ma
324 Sull’argomento, cfr. anche J. P. Vernant, Parola e segni muti, in J. P. Vernant (a cura di), Divinazione e
razionalità, Einaudi, Torino 1982, pp. 20-21.
325 Edipo re, vv. 1528-30.
326 Con questa stessa idea si aprono le Trachinie: nei primi versi, infatti, Deianira affermerà: Λόγνο κέλ ἐζη'
189
questo è vero solo da un punto di vista umano. Non è così per gli dèi che conoscono il significato segreto del destino degli uomini (accessibile a questi ultimi solamente dopo la morte) fin dalla loro nascita ma che lo rivelano solo progressivamente, nel corso stesso della vita, attraverso la parola dell’oracolo.
Pertanto, nella tragedia, la consultazione dell’oracolo rappresenta una sconvolgente irruzione dell’onniscienza divina all’interno del flusso incostante dell’esistenza umana: nell’universo tragico che i drammi configurano, l’oracolo non può fare predizioni sull’avvenire con la stessa chiarezza con cui nella realtà (vedi ancora le iscrizioni di Delfi) dispensa consigli e ammonimenti, in quanto scomparirebbe quell’ignoranza, radicale o parziale, del futuro che definisce la condizione umana distinguendola da quella degli dèi e, soprattutto, rendendola inevitabilmente tragica e carica di angoscia.
La differenza fra la consultazione di un oracolo nella vita reale e nella letteratura consiste dunque nella porzione di verità svelata al richiedente al termine della consultazione.
Come afferma Vernant: ‚Nella misura in cui la parola dell’oracolo è chiara, in cui risolve senza equivoci un dilemma, essa viene a sostenere le imprese umane determinando, di concerto coi consultanti, l’ordine di preferenze nel campo dei possibili; nella misura in cui rivela in anticipo il futuro, posto come irreparabile, è invece oscura e ambigua; la si comprende troppo tardi, quando l’avvenimento stesso si è incaricato, ahimé, d’illuminarci‛.327
Nelle consultazioni reali la parola dell’oracolo sostiene le imprese dei consultanti, consigliando o sconsigliando una determinata azione; nella tragedia, invece, essa non solo mira a divinare un evento futuro rivelandolo in anticipo, ma lo fa in forma (a diversi livelli) equivoca, così da acuire il senso di angoscia nel richiedente che, nella maggior parte dei casi, coincide con l’eroe tragico. La formulazione anticipata di un destino irrevocabile,
1-3). La donna attribuisce ad un vecchio proverbio il concetto comune che il bilancio di una vita vada fatto solo quando essa finisce.
327 Cfr. ancora J. P. Vernant, Parola e segni muti, in J. P. Vernant (a cura di), Divinazione e razionalità, Einaudi,
190
come un oscuro presagio, acquista il valore di un segno enigmatico e, da parte dell’individuo, impenetrabile.
Così, il tempo divino della parola annunciata dall’oracolo e il tempo umano dell’attuazione della stessa nella vita dei personaggi si ricongiungono solo quando la verità viene alla luce alla fine del dramma: il dio, infatti, sovrano del tempo, lungo tutto l’arco della storia farà sì che questa stessa verità affiori solo lentamente all’interno del tempo degli uomini, instabile e precario come lo è la loro esistenza, contrapposta all’eternità e all’onniscienza divine.
Osserviamo adesso qualche esempio di tale progressività nella rivelazione attingendo ai drammi di Sofocle: all’interno della sua produzione, infatti, la divinazione (oracoli e profezie) occupa un posto di grande rilievo, comparendo in tutte le sue tragedie. In particolare, gli oracoli compaiono in quattro delle tragedie superstiti: Elettra, Trachinie,
Edipo re (nella quale è presente anche la divinazione umana, rappresentata dal veggente
Tiresia) ed Edipo a Colono. Il ruolo che l’oracolo avrà in ciascuno dei suddetti testi è tuttavia differente, soprattutto sotto il profilo dell’interazione con i diversi personaggi.
All’inizio dell’Edipo re, quando Creonte incaricato da Edipo si reca a Delfi per chiedere al dio cosa occorra fare per liberare Tebe dalla peste che la infesta, l’oracolo gli risponde:
- che occorre cacciare la causa della contaminazione che cresce nella regione (κίαζκα ρσ̃ξαο ὡο ηεζξακκέλνλ ρζνλὶ / ἐλ ηῇδ' ἐιαύλεηλ, vv. 97-98);
- che occorre cacciare il colpevole oppure vendicare morte con morte (Ἀλδξειαηνπ̃ληαο, η̕ θόλῳ θόλνλ πάιηλ ιύνληαο), vv. 100-01;
- che occorre punire di propria mano gli uccisori di Laio (ηνύηνπ ζαλόληνο λπ̃λ ἐπηζηέιιεη ζαθσ̃ο / ηνὺο αὐηνέληαο ρεηξὶ ηηκσξεη̃λ ηηλαο), vv. 106-7;
- che questi uccisori di Laio si trovano ancora nella terra di Tebe (Ἐλ ηῇδ' ἔθαζθε γῇ), vv. 110.
Nei versi di Sofocle, la risposta dell’oracolo di Delfi appare lunga e articolata. Essa fornisce a Creonte molte notizie sulla peste di Tebe, sulla sua causa e su come combatterla, eppure sta tenendo celata l’informazione essenziale: chi sia l’uomo da cercare. E, quasi in
191
segno di sfida, le ultime parole del dio sembrano una sentenza dal sapore enigmatico: «Quello che si cerca, si può prendere, ma sfugge ciò che è trascurato» (ηὸ δὲ δεηνύκελνλ / ἁισηόλ, ἐθθεύγεη δὲ ηἀκεινύκελνλ, vv. 110-111). L’oracolo ha dunque celato l’identità di chi fosse il responsabile della contaminazione a Tebe.
Ancora più evidenti appaiono la progressività e la parzialità dell’oracolo nel responso dato al giovane protagonista: recatosi Edipo (che si crede ancora figlio dei sovrani di Corinto) a Delfi per conoscere la vera identità dei suoi genitori (dopo che un giovane ubriaco l’aveva chiamato πιαζηὸο παηξί, al v. 781), il dio non solo non risponde alla sua domanda ma gli predice la futura uccisione del padre e l’unione sponsale con la madre, senza rivelargli chi siano i suoi veri genitori, e lasciando così intendere che si tratti
proprio di coloro sui quali è stato interrogato dal giovane.328
Nelle Trachinie la progressione nel disvelamento dell’oracolo appare ancora più evidente, dal momento che esso, citato da Deianira in maniera non del tutto chiara all’inizio del dramma, troverà la corretta interpretazione da parte dell’eroe solo al termine della tragedia. In realtà le predizioni al centro del dramma sono due, entrambe note ad Eracle ma non a Deianira, che ne conosce solo una (e forse, proprio quest’ignoranza, condurrà il marito alla morte). La prima profezia Eracle la ricevette dal padre e la presenta nei termini seguenti:
- ' Δκνὶ γὰξ η̙λ πξόθαληνλ ἐθ παηξὸο πάιαη / πξὸο ησ̃λ πλεόλησλ κεδελὸο ζαλεη̃λ ὕπν, / ἀιι' ὅζηηο Ά̃ͅδνπ θζίκελνο νἰθήησξ πέινη.329
Zeus ha rivelato al figlio che sarebbe morto «non per mano di uno fra quelli che respirano» (e dunque degli esseri viventi) bensì per opera di qualcuno che «ormai è abitante dell’Ade» (Ά̃ͅδνπ νἰθήησξ). Penso che tale responso oracolare possa essere considerato un enigma: la complessità del contenuto, infatti, e i termini criptici con cui esso è esposto, non danno luogo semplicemente ad un equivoco, bensì ad un’apparente
328 Nel Filottete è ancora più evidente la progressione della rivelazione della profezia dell’indovino troiano
Eleno sulla cattura di Troia, svelata all’inizio del dramma da Odisseo solo in parte (vv. 113-115) e solo ai vv. 603–619 proclamata per intero dal falso mercante: ma giacché si tratta della profezia di un indovino e non di un oracolo, non approfondiremo la questione in questa sede.
192
insolubilità della profezia: come può darsi che un vivente venga ucciso per mano di un morto? Eppure, la soluzione dell’enigma esiste, solo che, dal punto di vista umano (e non divino!), l’eroe la comprende solo quando ormai è troppo tardi: l’esistenza di Eracle, che conosce l’oracolo sin dall’inizio del dramma, è stata adombrata come da un velo dietro al quale l’eroe non riusciva a vedere, ma che ha provocato in lui un sottile e continuo senso di ansia. Solo quando le sue carni si stanno ormai logorando a causa della veste intrisa del sangue del centauro, Eracle vede, finalmente, al di là di quel velo:‚Ὅδ' νὖλ ὁ ζὴξ Κέληαπξνο, ὡο ηὸ ζεη̃νλ η̙λ / πξόθαληνλ, νὕησ δσ̃ληά κ' ἔθηεηλελ ζαλώλ.‛330
Ecco in che cosa consisteva la profezia divina, ὡο ηὸ ζεη̃νλ η̙λ. Se non ci fosse stata questa dilazione temporale fra l’enunciazione dell’oracolo e la comprensione dello stesso, la tragedia non si sarebbe consumata: dunque, la progressione nella rivelazione è funzionale, qui, al senso del tragico.
Il secondo oracolo cui Eracle allude nel medesimo discorso (da lui stesso introdotto come καληεη̃α θαηλά, v. 1165, «oracoli nuovi», mentre Deainira, che non conosce la precedente predizione di Zeus, riferendosi a questa profezia aveva parlato di «un’antica tavoletta incisa», παιαηὰλ δέιηνλ ἐγγεγξακκέλελ, v. 157, lasciatale dal marito) riveste, invece, la forma dell’equivoco (secondo il quale una frase può essere interpretata secondo due soluzioni ben distinte e differenti) più che quella dell’enigma. Infatti, prima di partire per le sue imprese Eracle aveva detto alla moglie di aver ricevuto un responso dall’oracolo di Dodona che gli prediceva che, se fosse tornato entro quindici mesi dalla partenza, ηὸ ινηπὸλ η̗δε δε̃λ ἀιππήηῳ βίῳ, avrebbe trascorso il restante tempo «senza alcun dolore», ἀιππήηῳ βίῳ.331 L’eroe interpreta il responso credendo che, passato il tempo predetto,
sarebbe stato «liberato da ogni tribolazione», ἔθαζθε κόρζσλ ησ̃λ ἐθεζηώησλ ἐκνὶ / ιύζηλ ηειεη̃ζζαη. Ed ecco l’equivoco: per tutta la durata del dramma Eracle crede che l’oracolo parli della prosperità che lo attende in vita (θἀδόθνπλ πξάμεηλ θαισ̃ο), mentre, come comprenderà alla fine dell’azione, la liberazione dalle sciagure non consiste che nella
330 Trachinie, vv. 1162-3. 331 Ibidem, v. 168.
193
morte (ηὸ δ' η̙λ α̗ξ' νὐδὲλ α̗ιιν πιὴλ ζαλεη̃λ ἐκέ), giacché ai morti non tocca dolore (ηνη̃ο γὰξ ζαλνπ̃ζη κόρζνο νὐ πξνζγίγλεηαη).332
L’unione dei due oracoli, l’antico e il nuovo, darà al protagonista la certezza dell’imminenza della sua morte: la corretta interpretazione del senso del secondo è stata la conseguenza della comprensione del primo, e, dunque, la progressione della rivelazione all’interno del testo tragico trova qui un’ulteriore motivazione.
332 Così l’intero passo: [Eracle] Φαλσ̃ δ' ἐγὼ ηνύηνηζη ζπκβαίλνλη' ἴζα / καληεη̃α θαηλά, ηνη̃ο πάιαη μπλήγνξα / α̖ ησ̃λ
ὀξείσλ θαὶ ρακαηθνηησ̃λ ἐγὼ / Σειισ̃λ ἐζειζὼλ α̗ιζνο εἰζεγξαςάκελ / πξὸο ηε̃ο παηξῴαο θαὶ πνιπγιώζζνπ δξπόο, / η̘ κνη ρξόλῳ ηῷ δσ̃ληη θαὶ παξόληη λπ̃λ / ἔθαζθε κόρζσλ ησ̃λ ἐθεζηώησλ ἐκνὶ / ιύζηλ ηειεη̃ζζαη· θἀδόθνπλ πξάμεηλ θαισ̃ο·/ ηὸ δ' η̙λ α̗ξ' νὐδὲλ α̗ιιν πιὴλ ζαλεη̃λ ἐκέ·/ ηνη̃ο γὰξ ζαλνπ̃ζη κόρζνο νὐ πξνζγίγλεηαη.(Trachinie, vv. 1164-71).