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Dopo la guerra archidamica: la svolta del 423-421 a.C.

Le implicazioni politiche dell’oracolo delfico nelle tragedie attiche

2.1 Il quadro di riferimento storico: le relazioni fra Atene e l’oracolo di Delfi ai tempi della tragedia attica

2.1.4 Dopo la guerra archidamica: la svolta del 423-421 a.C.

Per comprendere il significato della svolta che avvenne nelle relazioni fra Atene e Delfi dopo la guerra archidamica, occorre esaminare più da vicino le clausole della tregua del 423 a.C. e della pace del 421 relative ai santuari panellenici ed in particolare a Delfi.

Tucidide riporta il testo della tregua che si apre, in modo particolarmente significativo, proprio con gli accordi relativi a Delfi, i quali stabiliscono che chiunque voglia possa accedere al tempio e consultare l’oracolo di Apollo senza inganno e senza timore (ἀδόισο θαὶ ἀδεσ̃ο), secondo le norme tradizionali (θαηὰ ηνὺο παηξίνπο λόκνπο):

199 Si tratta della deduzione della colonia di Eraclea Trachinia, avvenuta nel 426 con la ‚benedizione‛ di

Apollo Delfico: Ioni e Achei furono esplicitamente esclusi da tale operazione (Thuc. III 92, 5: Πξσ̃ηνλ κὲλ νὖλ ἐλ Γειθνη̃ο ηὸλ ζεὸλ ἐπήξνλην, θειεύνληνο δὲ ἐμέπεκςαλ ηνὺο νἰθήηνξαο αὑησ̃λ ηε θαὶ ησ̃λ πεξηνίθσλ, θαὶ ησ̃λ α̗ιισλ Ἑιιήλσλ ηὸλ βνπιόκελνλ ἐθέιεπνλ ἕπεζζαη πιὴλ Ἰώλσλ θαὶ Ἀραησ̃λ θαὶ ἔζηηλ ω̚λ α̗ιισλ ἐζλσ̃λ. νἰθηζηαὶ δὲ ηξεη̃ο Λαθεδαηκνλίσλ). Cfr. A. Giuliani, op. cit., p. 125.

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‚Πεξὶ κὲλ ηνπ̃ ἱεξνπ̃ θαὶ ηνπ̃ καληείνπ ηνπ̃ Ἀπόιισλνο ηνπ̃ Ππζίνπ δνθεη̃ ἡκη̃λ ρξε̃ζζαη ηὸλ βνπιόκελνλ ἀδόισο θαὶ ἀδεσ̃ο θαηὰ ηνὺο παηξίνπο λόκνπο‛(IV 118, 1-3)

Riguardo ai due avverbi che, nel testo, accompagnano l’attività della consultazione, ἀδόισο θαὶ ἀδεσ̃ο, il secondo è coerente con i nuovi accordi, volti a garantire la sicurezza dei pellegrini diretti al santuario, ma a proposito del primo non c’è unanimità di vedute. A cosa si riferisce ἀδόισο? Dal momento che ἀδεσ̃ο indica una protezione nei confronti del consultante, la stessa cosa potrebbe dirsi di ἀδόισο, che alluderebbe al preservare il pellegrino dall’essere ingannato o raggirato in qualunque modo. Vi è, tuttavia, chi pensa che tale assenza di malizia vada riferita proprio al consultante, e che tale avverbio delinei una formula abituale per indicare le dovute condizioni, soggettive e oggettive, del ricorso

al dio.200 Dal momento che tale clausola sembra essere una concessione spartana alle

richieste ateniesi, io credo che l’avverbio ἀδόισο, piuttosto che riferirsi ad intenzioni non corrette da parte del consultante, potrebbe riflettere ulteriormente l’esigenza, da parte degli Ateniesi stessi (ma estesa anche a tutti gli altri pellegrini), di essere tutelati rispetto ad eventuali inganni se non da parte dell’oracolo quantomeno del clero delfico.

Dopo una fase di ripresa delle ostilità, si arriva alla pace di Nicia (421 a.C.) che conferma la garanzia dell’accesso a Delfi e agli altri santuari comuni, ed aggiunge una clausola a tutela dell’indipendenza politica, economica e giuridica di Delfi in particolare:

‚Σπνλδὰο ἐπνηήζαλην Ἀζελαη̃νη θαὶ Λαθεδαηκόληνη θαὶ νἱ μύκκαρνη θαηὰ ηάδε, θαὶ ω̗κνζαλ θαηὰ πόιεηο. πεξὶ κὲλ ησ̃λ ἱεξσ̃λ ησ̃λ θνηλσ̃λ, ζύεηλ θαὶ ἰέλαη θαὶ καληεύεζζαη θαὶ ζεσξεη̃λ θαηὰ ηὰ πάηξηα ηὸλ βνπιόκελνλ θαὶ θαηὰ γε̃λ θαὶ θαηὰ ζάιαζζαλ ἀδεσ̃ο. ηὸ δ' ἱεξὸλ θαὶ ηὸλ λεὼλ ηὸλ ἐλ Γειθνη̃ο ηνπ̃ Ἀπόιισλνο θαὶ Γειθνὺο αὐηνλόκνπο εἶλαη θαὶ αὐηνηειεη̃ο θαὶ αὐηνδίθνπο θαὶ αὑησ̃λ θαὶ ηε̃ο γε̃ο ηε̃ο ἑαπησ̃λ θαηὰ ηὰ πάηξηα.‛ (V 18, 2)

La clausola specifica che il testo della pace di Nicia riservava a Delfi era volta, essenzialmente, a garantire formalmente l’autonomia tanto della città quanto del

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santuario, probabilmente in conseguenza di una preoccupazione spartana rispetto ad eventuali pretese di influenza da parte di Atene.

In ogni caso, a partire dal periodo compreso fra il 423 e il 421 a.C., i rapporti fra Atene e Delfi subirono una svolta radicale, e il fatto che, dopo la tregua del 423, i pellegrini, provenienti da qualunque regione, potessero recarsi nuovamente a Delfi non fu l’unico cambiamento significativo nei rapporti fra Atene e il santuario: l’ostilità precedente sembrava aver lasciato il posto ad una sintonia privilegiata.

Questa nuova situazione trova conferma anche in alcune testimonianze epigrafiche, in particolare nelle attestazioni di tre decreti: quello di Filosseno201, risalente alla fine degli

anni venti, quello cosiddetto del pritaneo202 e, infine, quello relativo alle primizie

eleusine.203 I primi due sanciscono il ruolo di Apollo delfico come ‚ἐμεγεηὴο Ἀζελαίνηο‛,

assunto con solenne ufficialità, mentre nel terzo, il decreto sulle primizie, il signore di Delfi, già ἐμεγεη»ο, viene presentato come il promotore del culto eleusino, il culto attico per eccellenza, e la richiesta dell’invio delle primizie, in esso contenuta, avviene in una prospettiva ‚panellenica‛, essendo rivolta a tutti i Greci θαηὰ ηὰ πάηξηα θαὶ ηὲλ καληείαλ ηὲλ ἐθ Γειθσ̃λ (IG I3 78, 11. 4-5; 26-26; 34).

201 IG I3137: il decreto di Filosseno, seppure tramandato in forma lacunosa, tributava onori particolari ad una

divinità il cui nome è andato perduto ma che è identificabile con sicurezza con Apollo Pizio. Alle linee 4-5 viene specificato il motivo per cui si conferivano al dio gli onori, oggetto del decreto: Apollo aveva attribuito a se stesso l’appellativo di ‚ἐμεγεηήο‛ nei confronti degli Ateniesi. Pur non essendo esattamente chiaro il valore di questo termine, a causa delle lacune del testo, ci troviamo tuttavia in presenza di un’esplicita dichiarazione da parte di Apollo, il quale proclama la sua benevolenza verso gli Ateniesi e sembra volere instaurare con loro un rapporto diretto, senza mediazioni (cfr. A. Giuliani, op. cit., p. 128).

202 IG I3131: nel decreto del pritaneo vengono definite, in base ad un oracolo di Apollo, le categorie di quanti

hanno diritto al mantenimento a spese dello stato. Anche questo testo presenta numerose lacune, tuttavia si può affermare che anche qui Apollo svolga esplicitamente il ruolo di ‚ἐμεγεηήο‛per gli Ateniesi e che l’oracolo delfico avesse un ruolo di rilievo nella regolamentazione dei πάηξηα ateniesi (cfr. A. Giuliani, op. cit., p. 129).

203 IG I378: l’emendamento di Lampone al decreto sulle primizie eleusine contiene un riferimento diretto ad

un oracolo delfico e andrebbe datato attorno alla fine degli anni venti. Esso prescrive che vengano ridefiniti con chiarezza i confini delle aree sacre del Pelargico, ormai sgombro, e che da quel momento in avanti una violazione delle stesse avrebbe comportato una multa di 500 dracme. Inoltre, nel decreto, la richiesta di offerte da consacrare alle divinità eleusine (vincolante per gli alleati di Atene ma estesa a tutti i Greci come invito) viene solennemente sancita dall’autorità di un oracolo delfico. Non si può ovviamente escludere che si tratti di un responso rilasciato in un’occasione precedente, ma il rilievo dato nel testo all’indicazione dell’oracolo, citato tre volte (IG I378, 11. 4-5; 26-26; 34), rivela la grande importanza che ad esso si attribuiva

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L’intervento di Delfi anche in questo campo appare particolarmente significativo nell’ambito delle nuove relazioni createsi fra Atene e il santuario dopo la fase

archidamica.204

Non disponiamo di notizie rilevanti sul coinvolgimento di Delfi nelle fasi successive della guerra del Peloponneso, e Tucidide non accenna all’oracolo pitico nel contesto della

sua critica agli indovini e alle loro responsabilità nel disastro siciliano.205 Dopo il 421 non è

possibile individuare degli eventi specifici che intervengano in qualche modo a delineare i rapporti fra la città di Atene e l’oracolo di Delfi.

204 Questo nuovo stato delle cose e la ricerca di una ufficializzazione dei nuovi rapporti già osservata nei

decreti ateniesi trova riscontro anche a Delfi, in alcune iscrizioni in dialetto ed alfabeto attico lì rinvenute che, seppure frammentarie, appaiono molto affini tra loro e risalgono alla seconda metà del V sec. a.C. (cfr. A. Giuliani, op. cit., p. 131 compresa la nota 70).

205 Plutarco riporta che, alla vigilia della spedizione ateniese in Sicilia, la Pizia abbia rivolto agli Ateniesi il

consiglio di astenersi dall’iniziativa, sotto forma di invito a far venire una sacerdotessa di Atena di nome Esichia (e dunque di ‚ἡζπρίαλ α̗γεηλ‛): è possibile, tuttavia, che si tratti di un’invenzione tarda. Cfr. Plut. Nic. 13, 4 e Mor. 403b; Max. Tyr. 11, 6 e PW II nr 167 (cit. in A. Giuliani, op. cit., p. 137, dove si afferma che non sia attendibile neppure la notizia del responso, rivolto agli Spartani dopo la vittoria, che sconsigliava loro di distruggere Atene).

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