Le implicazioni politiche dell’oracolo delfico nelle tragedie attiche
2.3 L’oracolo politico nel teatro di Sofocle
2.3.1 I riferimenti politici nell’Edipo re
L’Edipo re di Sofocle, dramma paradigmatico del teatro tragico greco, secondo Giuliani contiene degli elementi estremamente interessanti anche in relazione al ruolo di Delfi nel dibattito politico ateniese nel corso della guerra del Peloponneso: anzi, proprio in
questa prospettiva l’opera si arricchirebbe di una nuova chiave di lettura.232
A proposito della data precisa di rappresentazione dell’opera, per quanto essa sia difficile da determinare, con ogni probabilità va considerato il 430 a.C. come terminus post
quem per due ragioni: innanzitutto, la pestilenza che affligge la città di Tebe all’inizio del
dramma sembra avere dei tratti intesi ad evocare negli spettatori un parallelo con la peste di Atene. Inoltre, l’assimilazione dell’epidemia con l’impeto di Ares e la richiesta, rivolta allo stesso, di abbandonare la città volgendosi indietro, richiama molto probabilmente al pubblico l’invasione dell’Attica ai tempi della guerra archidamica.233 Pertanto la tragedia
232 Cfr. A. Giuliani, op. cit., pp. 139-152.
233‚Ἄξεά ηε ηὸλ καιεξόλ, ὃο / λπ̃λ α̗ραιθνο ἀζπίδσλ / θιέγεη κε πεξηβόαηνο ἀληηάδσλ, / παιίζζπηνλ δξάκεκα λσηίζαη
πάηξαο / α̗πνπξνλ‚ (Soph., OT, vv. 189-193). Inoltre, sempre nella parodo, il dio Apollo è invocato come ‚Γάιηε Παηάλ‛ (v. 154): probabilmente nel 425, nell’isola di Delo, era stato dedicato un altare ad Apollo Παηάλ da parte della città di Atene. Si può dunque ipotizzare che il 425 sia anche la data di rappresentazione dell’Edipo
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fu composta e rappresentata, con ogni probabilità, durante la pestilenza stessa o poco dopo la sua fine.
Fino al secondo stasimo, gli episodi e le parti corali sembrano inserirsi perfettamente all’interno dell’intreccio narrativo: ma appena si arriva alla seconda parte di tale stasimo (vv. 882-896), le parole sembrano trascendere la situazione drammatica concreta: Δἰ δέ ηηο ὑπέξνπηα ρεξ- ζὶλ ιόγῳ πνξεύεηαη, Γίθαο ἀθόβεηνο νὐδὲ δαηκόλσλ δε ζέβσλ, θαθά ληλ ινηην κνη̃ξα, δπζπόηκνπ ράξηλ ριηδα̃ο, εἰ κὴ ηὸ θέξδνο θεξδαλεη̃ δηθαίσο θαὶ ησ̃λ ἀζέπησλ ξμεηαη, ε ̓̀ ησ̃λ ἀζίθησλ μεηαη καηη δσλ. Τίο ηη πνη' ἐλ ηνη̃ζδ' ἀλὴξ ζπκνπ̃ βέιε εεμεηαη ςπρα̃ο ἀκύλεηλ; Δἰ γὰξ αἱ ηνηαίδε πξάμεηο ηίκηαη, ηί δεη̃ κε ρνξεύεηλ;
Intanto è singolare il fatto che, nell’ultimo verso, il coro dei vecchi Tebani si chiede quale sia il senso della propria danza (ηί δεη̃ κε ρνξεύεηλ;) dal momento che le azioni tracotanti appena descritte vengono onorate (εἰ γὰξ αἱ ηνηαίδε πξάμεηο ηίκηαη). La particolarità della domanda consiste nel fatto che i vecchi si chiedono perché debbano danzare (ed evidentemente si riferiscono ad una danza intrinsecamente religiosa) proprio nel momento in cui stanno ancora danzando: allora, probabilmente questo verso, e più in generale questa strofa dello stasimo, non si riferisce al contesto immediato. Nei versi precedenti era
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stato descritto un uomo caratterizzato da empietà nei confronti degli dèi, che avanza superbo per opere o parole (ὑπέξνπηα ρεξζὶλ η̕ ιόγῳ πνξεύεηαη), disprezzando la Giustizia (Γίθαο ἀθόβεηνο) e non venerando le sedi degli dèi (νὐδὲ δαηκόλσλ ἕδε ζέβσλ), cercando di ottenere guadagno non giusto (κὴ ηὸ θέξδνο θεξδαλεη̃ δηθαίσο), non astenendosi da atti sacrileghi (ησ̃λ ἀζέπησλ ἔξμεηαη) e aspirando follemente a ciò che non può toccare (ησ̃λ ἀζίθησλ ἕμεηαη καηᾴδσλ): una tale descrizione potrebbe adattarsi bene ad Edipo, che è giunto al potere attraverso atti di estrema ingiustizia, parricida ed incestuoso, ma il coro non può ancora sapere con certezza che il ritratto appena delineato si adatta al sovrano di Tebe.
Allora, probabilmente i vecchi Tebani hanno appena delineato il ritratto di un tiranno che assume connotati universali. Ma Giuliani non è d’accordo e afferma qualcosa di diverso: il fatto che, nelle parole del coro, la natura dell’offesa agli dèi consista anche nella mancanza di rispetto verso i luoghi sacri (δαηκόλσλ ἕδε), lascia presagire che Sofocle avesse in mente qualcosa di più preciso, qualcosa che sia tale da meritare lo sdegno espresso negli ultimi quattro versi della strofa e che continua a manifestarsi nell’antistrofe successiva, attraverso il rifiuto di recarsi presso i grandi templi di Apollo e di Zeus (Οὐθέηη ηὸλ α̗ζηθηνλ εἶ-/ κη γα̃ο ἐπ' ὀκθαιὸλ ζέβσλ,/ νὐδ' ἐο ηὸλ Ἀβαη̃ζη λαόλ,/ νὐδὲ ηὰλ Ὀιπκπίαλ, vv. 897-900).
Occorrerebbe dunque ravvisare nello stasimo in questione, probabilmente, allusioni alla violazione dei templi, delle aree sacre e della zona del Pelargico avvenuta all’inizio della guerra del Peloponneso234: infatti, le espressioni di Sofocle relative all’assenza di
rispetto verso le dimore degli dèi e all’empietà di chi non si tiene lontano dalle zone consacrate sembrano richiamare l’evacuazione dell’Attica ad opera di Pericle e l’occupazione delle aree sacre ad Atene, descritta da Tucidide cui si è già accennato nel quadro di riferimento storico235:
234 Cfr. A. Giuliani, op. cit., p. 149.
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‚Οἱ δὲ πνιινὶ ηά ηε ἐξε̃κα ηε̃ο πόιεσο ῴ̃ͅθεζαλ θαὶ ηὰ ἱεξὰ θαὶ ηὰ ἡξῷα πάληα πιὴλ ηε̃ο ἀθξνπόιεσο θαὶ ηνπ̃ Ἐιεπζηλίνπ θαὶ εἴ ηη α̗ιιν βεβαίσο θιῃζηὸλ η̙λ· ηό ηε Πειαξγηθὸλ θαινύκελνλ ηὸ ὑπὸ ηὴλ ἀθξόπνιηλ, ὃ θαὶ ἐπάξαηόλ ηε η̙λ κὴ νἰθεη̃λ θαί ηη θαὶ Ππζηθνπ̃ καληείνπ ἀθξνηειεύηηνλ ηνηόλδε δηεθώιπε, ιέγνλ ὡο ‘ηὸ Πειαξγηθὸλ ἀξγὸλ α̗κεηλνλ,’ ὅκσο ὑπὸ ηε̃ο παξαρξε̃κα ἀλάγθεο ἐμῳθήζε.‛(Thuc. II 17, 1-2)La situazione descritta da Tucidide divenne tanto più grave quando, a causa del diffondersi dell’epidemia, i santuari iniziarono a riempirsi di cadaveri.236 Se dunque si
tiene conto del parallelismo fra la peste ‚mitologica‛ di Tebe e quella reale di Atene e di quello fra l’uomo tracotante evocato dal secondo stasimo e la figura di Pericle, l’ostilità dimostrata dai protagonisti nei confronti dell’oracolo di Delfi, ritenuto responsabile della
sciagura di Edipo237, assume un nuovo significato. Questa è la tesi di Giuliani. Come si è
già dimostrato in precedenza, il dio pitico, in occasione della guerra del Peloponneso, aveva inizialmente sostenuto la causa spartana, cosicché, quando ad Atene proruppe la peste, in essa venne ravvisata la mano del dio Apollo. In particolare, abbiamo già osservato come, secondo un oracolo apollineo attribuito a Delfi, l’area del Pelargico non
avrebbe dovuto essere violata.238
Pertanto la vicenda di Edipo, pur mantenendo un suo intrinseco e profondo valore paradigmatico, potrebbe contenere dei tratti che richiamano, nella mente dello spettatore, il declino dell’ultima fase del governo pericleo. Così, la crudeltà di Apollo nei confronti della città di Tebe e dei suoi sovrani trova un riflesso attuale nel fatto che la pestilenza di Atene venisse sentita come una punizione da parte del dio di Delfi.
Provando a rileggere il secondo stasimo in questa nuova ottica, risulta che esso comincia con dei riferimenti concreti alla situazione di Edipo (Ὕβξηο θπηεύεη ηύξαλλνλ<vv.
236 Giuliani fa notare, a questo punto, che la situazione dell’uomo qui descritto, unitamente alle accuse di
codardia, corruzione ed eccessi sessuali, potrebbe fare riferimento agli ultimi anni del governo di Pericle (A. Giuliani, op. cit., p. 151 e nota n. 21. Per le fonti sulla corruzione di Pericle, cfr. Diod. XII, 39, 2; Plut., Per. 32, 3-4; Plat., Gorg. 516 a; Athen. XIII 589 e. Sulla codardia, cfr. Hermipp. Moirai, fr. 47 K..– A.; Cratin.
Dyonisalex., test. i K.-A. Sugli eccessi sesuali: Teleclid. Fr. 18 K.-A.; FGrHist 107 F 10 (Stesimbroto); FGrHist
539 F 1 (Alessi di Samo); Anthisten. Fr. 143 Giannantoni; Plut. Per. 13, 15-16; 24, 7-9; 32, 1; Athen. XIII 589 d- e).
237 Soprattutto ai vv. 479-482, vv. 902-910, vv. 1329-1330.
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872 sgg.) e ai rischi della sua empietà e tracotanza. Successivamente, i vecchi tebani allargano la loro prospettiva (vv. 882 sgg.) e, trascendendo l’azione scenica, descrivono un uomo gravato da determinate colpe che non hanno un corrispettivo concreto nel dramma,
insistendo, in particolare, sulla gravità della profanazione dei templi e delle aree sacre.239
Infine (vv. 906-910), lo stasimo si chiude con un riferimento all’oracolo ricevuto da Laio (Φζίλνληα γὰξ ˂ηνπ̃ παιαηνπ̃˃ Λαίνπ / ζέζθαη' ἐμαηξνπ̃ζηλ) e afferma che in nessun luogo (θνὐδακνπ̃) Apollo appare nei dovuti onori (ηηκαη̃ο Ἀπόιισλ ἐκθαλήο), scompare il divino (ἔξξεη δὲ ηὰ ζεη̃α).
Ora, io ritengo che la lettura politica che Giuliani dà dell’Edipo re sia molto suggestiva e in grado di coniugare l’elemento mitico del santuario di Delfi con il suo ruolo storico: Sofocle insisterebbe sulla crudeltà di Apollo e darebbe tanto spazio al dio pitico nel suo dramma anche in ragione di una distanza di posizioni politiche esistente fra lui e
Pericle probabilmente a partire dagli anni Trenta.240
Tuttavia, io penso che, pur ritenendo plausibili i riferimenti alla situazione reale di Atene all’interno dell’Edipo (soprattutto a proposito della pestilenza), una lettura così certa della seconda strofa dello stasimo in questione sia un pò eccessiva: un’inviduazione tanto inequivocabile del personaggio di Pericle non mi sembra prudente, seppure affascinante. Inoltre, tale articolazione dell’intermezzo corale, che all’inizio e alla fine si riferirebbe alla situazione del dramma mentre al centro evocherebbe eventi attuali, rischia di essere un po’ inverosimile, anche perché il coro conclude affermando che νὐδακνπ̃, in nessun luogo, Apollo è venerato in maniera adeguata: credo dunque che la condanna espressa in questi versi alluda più generalmente a ciò che capita all’individuo nel momento in cui si ribella con empietà agli oracoli degli dèi. E anche se fosse possibile ravvisarvi un riferimento concreto a Pericle ed ai suoi provvedimenti, non si può affermare l’inequivocabilità dello stesso.
239 A. Giuliani, op. cit., p. 151
240 Cfr. A. Giuliani, p. 151 e nota n. 24, dove riferisce che un frammento delle ᾿Δπηδεκίαη di Ione di Chio