1.4 L'ambiguo volto di Apollo nei tre poeti tragic
1.4.3 L’ambiguità di Apollo nel teatro di Euripide
1.4.3.1 Il rancore del dio nell’Andromaca
Molto peculiare è il caso dell’Andromaca, dramma in cui la considerazione riservata al dio di Delfi appare particolarmente ambigua, pur non trovandoci in pesenza di un oracolo enigmatico nella sua formulazione.
Il tempio attorno cui ruota la vicenda è senza dubbio quello di Delfi, come dice la stessa Andromaca nel prologo della tragedia quando afferma che Neottolemo è andato ad
espiare la tracotanza dimostrata in occasione della sua prima visita al santuario55: il figlio
di Achille, a cui la moglie di Ettore è stata assegnata dopo la sconfitta troiana, si era infatti già recato a Delfi un’altra volta per chiedere conto ad Apollo dell’uccisione di suo padre. Ora, il giovane è giunto nuovamente al tempio ma questa volta da supplice, come un pellegrino, per riparare alla precedente offesa.
Questa seconda visita a Delfi è un’innovazione euripidea rispetto alla tradizione. Euripide aggiunge due elementi, fondamentali per lo sviluppo drammaturgico del testo:
ucciso non da un uomo ma da Apollo. Inoltre, il dio è presente anche nel fr. 314 del dramma satiresco I
cercatori di tracce, dove egli è menzionato in quanto bandisce una ricompensa per chi gli riporterà le sue
vacche. Infine, come Eschilo, Sofocle ha scritto una Niobe e i frammenti attribuiti a questa tragedia mostrano i gemelli, Apollo e Artemide, che uccidono i figli di Niobe, ma non si può ricostruire in che modo il dio venisse presentato (cfr. D. H. Roberts, op. cit. p. 78 e nota n. 13).
54 Cfr. infra, Cap. 2, Le implicazioni politiche dell’oracolo delfico nelle tragedie attiche
55 Ὁ γὰξ θπηεύζαο αὐηὸλ νὔη' ἐκνὶ πάξα / πξνζσθειε̃ζαη παηδί η' νὐδέλ ἐζη', ἀπὼλ / Γειθσ̃λ θαη' αἶαλ, ἔλζα Λνμίαη
δίθελ / δίδσζη καλίαο, ε ̃η πνη' ἐο Ππζὼ κνιὼλ / η̗ηηεζε Φνη̃βνλ παηξὸο νὗ θηείλεη δίθελ,/ εἴ πσο ηὰ πξόζζε ζθάικαη' ἐμαηηνύκελνο ́ ζεὸλ παξάζρνηη' ἐο ηὸ ινηπὸλ εὐκελε̃. (Eur., Andr., vv. 49-55).
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l’inserimento del ruolo di Oreste, il calunniatore, e, appunto, il secondo viaggio di
Neottolemo, spinto dal desiderio di riparare all’offesa precedente.56 Infatti, in più punti del
dramma sono presenti dei riferimenti alla morte di Achille per mano di Apollo.
Nel prologo, la stessa Andromaca riferisce l’accusa che Neottolemo aveva rivolto al dio delfico a proposito dell’uccisione del padre (ἀπὼλ / Γειθσ̃λ θαη' αἶαλ, ἔλζα Λνμίαη δίθελ / δίδσζη καλίαο, ε ̃η πνη' ἐο Ππζὼ κνιὼλ / η̗ηηεζε Φνη̃βνλ παηξὸο νὗ θηείλεη δίθελ, vv. 50-53): proprio in questa sede Apollo è apostrofato come Lossia. Sarà lo stesso Neottolemo a confessare di avere incolpato il signore di Delfi per la morte del padre (ὁ δ' εἶπε· Φνίβση ηε̃ο πάξνηζ' ἁκαξηίαο / δίθαο παξαζρεη̃λ βνπιόκεζζ'· η̗ηηεζα γὰξ / παηξόο πνη' αὐηὸλ αἵκαηνο δνπ̃λαη δίθελ, vv. 1106-1109), mentre il nonno, Peleo, biasimerà quest’accusa che diverrà, a sua volta, causa della morte del nipote (κεδ' ἐπὶ ηνμνζύλαη θνλίση παηξὸο / αἷκα ηὸ δηνγελέο πνηε Φνη̃βνλ / βξνηὸο ἐο ζεὸλ ἀλάςαη).
Del resto, la morte del ragazzo era già stata preannuniciata da Oreste. Come ha assassinato Achille, così Apollo ne ucciderà il figlio: α̗λαθηα Φνη̃βνλ· νὐδέ ληλ κεηάζηαζηο / γλώκεο ὀλήζ εη ζεσ̃η δηδόληα λπ̃λ δίθαο,/ ἀιι' ἔθ η' ἐθείλνπ δηαβνιαη̃ο ηε ηαη̃ο ἐκαη̃ο / θαθσ̃ο ὀιεη̃ηαη· γλώζεηαη δ' ἔρζξαλ ἐκήλ (vv. 1003-6).
Il matricida57, con l’inganno, ha convinto gli abitanti di Delfi che il motivo della
nuova venuta di Neottolemo fosse il desiderio di saccheggiare il tempio del dio: l’α̗γγεινο (vv. 1085-1165) racconta di come essi, convinti dalle parole calunniatrici di Oreste, abbiano aggredito il figlio di Achille il quale si domandava perché lo stessero lapidando proprio quando giungeva da supplice. Pur fortemente indebolito e circondato da molti uomini, il giovane con la stessa agilità del padre riesce a reagire e a respingere gli assalitori, i quali, terrorizzati, si volgono in fuga.
Ma ad un certo punto accade qualcosa:
56 Cfr. ancora M. Pohlenz, La tragedia greca, II, Brescia 1961, p.134; J.C. Kamerbeek, «L’Andromaque
d’Euripide», Mnemosyne, s. III, 11 (1942), p. 53. Cfr. A. Giuliani, La città e l'oracolo. I rapporti tra Atene e Delfi in età arcaica e classica, Vita e Pensiero, Milano 2001, p. 157 n. 37.
57 Nella drammaturgia euripidea Oreste è sempre il matricida, condannato ad espiare e particolarmente
predisposto al crimine. Il teatro di Euripide non sembra tener conto del finale dell’Orestea né delle motivazioni divine che in quel contesto avevano giustificato il matricidio, mettendo così in discussione il ruolo di Apollo (cfr. le note ad Andromaca in Anna Beltrametti (a cura di), op. cit., vol. II, p. 110, n. 69).
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πξὶλ δή ηηο ἀδύησλ ἐθ κέζσλ ἐθζέγμαην δεηλόλ ηη θαὶ θξηθσ̃δεο, ω̙ξζε δἒ ζηξαην̓̀λ ζηξέςαο πξὸο ἀιθήλ. ε ́λζ' Ἀρηιιέσο πίηλεη παη̃ο ὀμπζήθηση πιεπξὰ θαζγάλση ηππεὶο Γειθνπ̃ πξὸο ἀλδξὸο ζπεξ αὐηὸλ ιεζελ πνιισ̃λ κεη' α̗ιισλ.58Dalle profondità del tempio, all’improvviso, si ode arrivare un grido spaventoso, che rimbomba nelle orecchie degli astanti con un suono terribile, tale da generare brividi: la voce esorta l’animo di quella schiera di combattenti e li volge ad una prova di forza. Così uno degli abitanti di Delfi, ferendo Neottolemo al fianco con la spada affilata, lo uccide, mentre tutti gli altri si volgono al suo corpo, dilaniandolo senza pietà (1149-1155).
La lunga ῥε̃ζηο del messaggero si chiude con un interrogativo alquanto provocatorio:
ὁ ησ̃λ δηθαίσλ πα̃ζηλ ἀλζξώπνηο θξηηήο, δίθαο δηδόληα παη̃δ' ἔδξαζ' Ἀρηιιέσο. ἐκλεκόλεπζε δ' σ ́ζπεξ λζξσπνο θαθὸο
παιαηὰ λείθε· πσ̃ο α̕λ νὖλ εη ́ε ζνθν́ο; (vv. 1161-5)
L’α ́γγεινο chiede se possa essere ritenuto saggio (πσ̃ο λ νὖλ εεε ζνθόο; ) un dio che
mentre agli altri dispensa oracoli (ὁ ηνη̃ο ιινηζη ζεζπίδσλ λαμ), arbitro di ciò che è giusto per tutti gli uomini (ὁ ησ̃λ δηθαίσλ πα̃ζηλ ἀλζξώπνηο θξηηήο ), nei confronti del figlio di Achille, venuto per espiare (δίθαο δηδόληα παη̃δ α), si è comportato come un uomo malvagio (σ ́ζπεξ
α ́λζξσπνο θαθὸο ), serbando memoria delle antiche discordie.59 In questo contesto,
particolarmente significativa appare la figura etimologica creata da ησ̃λ δηθαίσλ, riferito all’oggetto del giudizio di Apollo, e δίθαο, che riguarda invece il gesto espiatorio di Neottolemo.
58 Eur., Andr., vv. 1147-1152. 59 Eur., Andr., vv. 1161-1165.
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Già prima di compiere l’atto, Oreste stesso aveva riconosciuto l’insostituibile aiuto del dio per il buon esito della sua impresa.60 Nell’ordire la sua trappola, il figlio di
Agamennone afferma che il fatto che Neottolemo abbia chiesto conto della morte del padre all’oracolo di Delfi gli si ritorcerà contro in modo amaro (πηθξσ̃ο δὲ παηξὸο θόληνλ αἰηήζεη δίθελ, v. 1002). L’avverbio πηθξσ̃ο richiama l’aggettivo πηθξὰλ che, nelle Supplici, era stato attribuito dal coro alla voce di Apollo (πηθξὰλ δὲ Φνίβνπ θάηηλ, Suppl. v. 833): amaro è, per Euripide, il responso del dio oracolare.
Nell’Andromaca anche il coro delle donne di Ftia riconosce la colpevolezza del signore di Delfi, infatti, al lamento di Peleo risponde:
ζενπ̃ γὰξ αἶζα, ζεὸο ἔθξαλε ζπκθνξάλ.61
Come se fosse stata predestinata dal dio (ζενπ̃ γὰξ αἶζα), la disgrazia è stata portata a
compimento da lui stesso (ζεὸο ἔθξαλε ζπκθνξάλ): il poliptoto ζενπ̃ / ζεὸο nello stesso verso denuncia l’intento di insistere sull’accusa nei confronti di Apollo: è lui che ha determinato e fatto sì che il delitto si realizzasse. Del resto, Peleo stesso incolpa il dio affermando, pochi versi dopo, di essere stato privato di due ‘figli’ ad opera di Febo (δηπισ̃λ ηέθλσλ κ' ἐζηέξεζε Φνη̃βνο, v. 1212), ripetendo così l’accusa che Neottolemo aveva rivolto all’oracolo di Delfi.
Oltre al trattamento negativo riservato da Euripide agli abitanti di Delfi, è evidente
dal suddetto racconto il motivo della crudeltà e della meschinità del dio: serbando rancore per l’offesa arrecatagli dalla superbia di Neottolemo, egli coglie l’occasione del pellegrinaggio come pretesto per la sua vendetta.
Il tema dell’ingiustizia e dell’ambiguità del comportamento di Apollo è dunque centrale nell’articolazione drammaturgica del testo, in quanto al termine del dramma, l’atto voluto e determinato dal dio, anche se concretamente eseguito dai Delfi, rimarrà per sempre come monito di vergogna: ai vv. 1239-1242, Teti, apparsa come dea ex machina, ordina a Peleo di seppellire il corpo di Neottolemo presso il focolare di Delfi (Ππζηθὴλ πξὸο
60 Πηθξσ̃ο δὲ παηξὸο θόληνλ αἰηήζεη δίθελ / α̗λαθηα Φνη̃βνλ· νὐδέ ληλ κεηάζηαζηο / γλώκεο ὀλήζεη ζεσ̃η δηδόληα λπ̃λ
δίθαο, / ἀιι' ἔθ η' ἐθείλνπ δηαβνιαη̃ο ηε ηαη̃ο ἐκαη̃ο / θαθσ̃ο ὀιεη̃ηαη· γλώζεηαη δ' ἔρζξαλ ἐκήλ./ ἐρζξσ̃λ γὰξ ἀλδξσ̃λ κνη̃ξαλ εἰο ἀλαζηξνθὴλ / δαίκσλ δίδσζη θνὐθ ἐα̃η θξνλεη̃λ κέγα (Eur., Andr., vv. 1002-1008).
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ἐζράξαλ), perché il suo tumulo ricordi per sempre agli abitanti la vergogna di cui si sono macchiati (Γειθνη̃ο ὄλεηδνο) e denunci l’efferata violenza di Oreste (ὡο ἀπαγγέιιεη ηάθνο / θόλνλ βίαηνλ ηε̃ο Ὀξεζηείαο ρεξόο).62