AREE VALORIALI SVILUPPO E APPUNTAMENT
2. L’apprendimento in età adulta
1.2. Dalla competenza alla metacompetenza
Seguendo le argomentazioni di Le Boterf, nel paragrafo precedente è stato anticipato il concetto di apprendere ad apprendere, cui si è già fatto riferimento nel primo capitolo poiché presente nei documenti europei. Prima però di procedere con l’esplorazione di tale concetto, si rende necessario allargare il discorso alla metacompetenza.
Attribuire uno status autonomo al concetto di metacompetenza non deve comportare la fuoriuscita dal territorio della competenza (Alberici, 2004). È opportuno, piuttosto, mantenere una posizione integrata portando ad un livello di consapevolezza critica i punti di contatto che determinano un’effettiva continuità tra il piano della metacompetenza e quello della competenza.
Da un punto di vista linguistico, il costrutto di metacompetenza appartiene ad un livello superiore rispetto a quello della competenza e per questo dà luogo a proprietà sovraordinate e più generali. La metacompetenza è perciò collegata a quella dimensione dell’azione umana che si riconduce alla riflessività del pensiero e al carattere autopoietico della competenza.
Riprendendo il lungo excursus sulla competenza dei paragrafi precedenti, tali punti di contatto risultano evidenti. Come si è visto, gli studi avviati da McClelland hanno cercato di identificare gli attributi che caratterizzano le pratiche professionali eccellenti e che perciò sono qualità alla base delle competenze di successo. Da questo punto di vista, tali qualità sarebbero degli elementi distintivi di ordine superiore rispetto alle attività professionali e di carattere generativo rispetto alle competenze di successo. Ciò
92
che emerge dal lavoro di McClelland e dei suoi collaboratori è che gli aspetti essenziali della competenza di successo attengono alla sfera profonda dell’individuo, alla sua struttura motivazionale: competenze di realizzazione e operative; di assistenza e di servizio; d’influenza; manageriali; cognitive; di efficacia personale (Alberici, 2004, p. 107).
Le cinque dimensioni dell’intelligenza emotiva di Goleman, a loro volta, non sono semplicemente descritte e comprese a livello emotivo, ma implicano una messa in azione che apre le porte ad un nuovo modello di apprendimento. Infatti, nello spiegare la competenza emotiva egli istituisce un legame tra questa e la spinta intrinseca a migliorarsi nel tempo, cioè ad
apprendere ad apprendere.
Nella letteratura nazionale, degli spunti di riflessione rispetto alla metacompetenza li fornisce il modello delle competenze trasversali dell’Isfol. La questione centrale in tale modello si snoda attorno alle condizioni che permettono l’attivazione delle competenze e consentono all’individuo di rispondere strategicamente al contesto. Assumono perciò rilevanza la categoria concettuale della trasversalità e l’individuazione di quelle classi che ne permettono l’espressione. Ne scaturiscono tre macroaree di riferimento,
diagnosticare, relazionarsi, affrontare, all’interno delle quali si collocano delle
operazioni fondamentali e di base con un campo di applicazione ampio. Esse possiedono la caratteristica della trasversalità poiché sono riferite ad operazioni cognitive e sociali essenziali per rispondere in modo competente alle sollecitazioni dei diversi contesti applicativi. Questo modello si pone come un sistema di risorse “definite” del soggetto e può essere inteso come una condizione di partenza da cui far derivare una mappa delle abilità.
Anche Gardner, seppure in modo marginale, nella rappresentazione delle intelligenze multiple affronta il tema delle capacità di ordine superiore rispetto alla categoria dell’intelligenza, capacità che individua nel buon senso, nell’originalità, nella capacità metaforica, nella saggezza, nonché nel senso del sé che, se ben sviluppato, è in grado di sovrintendere ad altre forme di intelligenza.
A questa istanza di ordine superiore, che porta in primo piano il soggetto, si può ricondurre il modello concettuale che è alla base dei processi di trasferimento della competenza. Da questo punto di vista, risulta che le condizioni soggettive di autodirezione e gli aspetti dell’ambiente formativo consoni a quelle condizioni assumono un valore centrale nel discorso delle qualità di ordine meta della competenza.
Di seguito, la metacompetenza sarà esaminata attraverso l’esplorazione di concetti affini: l’autodirezione, l’autoregolazione e la teoria
93
dell’autoefficacia, la metacognizione e i processi metacognitivi, la competenza strategica.
1.2.1. L’autodirezione nell’apprendimento
Altri autori, oltre a Knowles (più volte menzionato), hanno contribuito all’approfondimento del concetto di autodirezione nell’apprendimento, mettendo in evidenza il livello meta delle capacità coinvolte nel processo di apprendimento. Roger Hiemstra (1994/a), ad esempio, sottolinea che l’apprendimento degli adulti dipende in larga misura dall’iniziativa personale, a sua volta collegata alla necessità di aggiornarsi e imparare continuamente. L’apprendimento autodiretto è per lui “any study form in which individuals have primary responsibility for planning, implementing, and even evaluating the effort. Most people, when asked, will proclaim a preference for assuming such responsibility whenever possible”. L’autore attribuisce all’apprendimento autodiretto le seguenti caratteristiche (Angelini, 2009):
‐ i soggetti vengono gradualmente responsabilizzati e resi autonomi rispetto alle decisioni che riguardano l’apprendimento individuale;
‐ l’adeguamento dell’apprendimento alle caratteristiche personali è presente a livelli diversi in ogni individuo;
‐ l’apprendimento autodiretto non avviene in modo isolato;
‐ i soggetti che lo applicano sono in grado di trasferire sia le conoscenze che le abilità acquisite da una situazione all’altra; ‐ lo studio autodiretto può includere varie attività e risorse, come la
lettura autodiretta, la partecipazione a gruppi di studio, il tirocinio, la scrittura riflessiva;
‐ gli insegnanti possono avere un ruolo attivo attraverso dialoghi con i soggetti, la predisposizione delle risorse, la valutazione dei risultati e la promozione del pensiero critico.
Negli Stati Uniti, l’apprendimento autodiretto è diventato un settore della ricerca negli ultimi quarant’anni, a partire dall’opera di Cyril O. Houle (1961) – Università del Wisconsin – nella quale egli riportava le interviste svolte con 22 soggetti adulti in apprendimento e li classificava in tre categorie relative alle diverse motivazioni ad apprendere: 1. orientamento al risultato:
94
partecipazione motivata prevalentemente dal raggiungimento di un obiettivo finale; 2. orientamento all’attività: partecipazione per ragioni legate al desiderio di stringere rapporti interpersonali; 3. orientamento all’apprendimento: percezione dell’apprendimento stesso come obiettivo da raggiungere. È all’interno di questo ultimo gruppo che sembra collocarsi il soggetto in
apprendimento autodiretto che sarà identificato da Houle attraverso la ricerca.
In Self–directed Learning (1975), Knowles fornisce definizioni e assunti fondamentali che indirizzarono ampiamente le attività di ricerca che seguirono: (a) l’apprendimento autodiretto parte dal presupposto che gli esseri umani possano perfezionare le loro capacità; (b) le esperienze dei soggetti in apprendimento sono delle risorse indispensabili per l’apprendimento; (c) gli individui imparano ciò di cui necessitano per eseguire i compiti loro assegnati; (d) l’orientamento naturale di un adulto è centrato sul compito o sulla risoluzione di un problema; (e) l’apprendimento autodiretto è motivato da vari incentivi interni, tra cui il bisogno di autostima, la curiosità, il desiderio di riuscire, la soddisfazione conseguente alla realizzazione di un compito.
Un altro importante tassello nella stessa direzione è rappresentato dalla
Self–Directed Learning Readiness Scale (SDLRS), uno strumento elaborato da
Guglielmino nel 1977 e successivamente utilizzato anche da altri ricercatori per misurare la predisposizione all’apprendimento autodiretto.
Tra le ricerche più importanti figurano i lavori di Brockett and Hiemstra (1991), Caffarella and O’Donnell (1987), Candy (1991), Merriam and Caffarella (1991), Confessore and Confessore (1992). Sulla base di questa produzione, è stato possibile creare numerosi strumenti per la misurazione dell’apprendimento autodiretto; associare la predisposizione all’apprendimento
autodiretto a variabili di tipo psicologico e sociale; ricorrere alla ricerca
qualitativa per proseguire gli studi di settore; definire attività pratiche e relative implicazioni per facilitare l’apprendimento autodiretto.
Si deve a Brockett and Hiemstra (1991) una sintesi dei principali contenuti sull’argomento e la realizzazione del modello Personal
Responsibility Orientation (PRO). Questo modello riconosce differenze e
somiglianze tra l’apprendimento autodiretto, inteso come metodo di istruzione, e il soggetto che si autodirige, inteso come insieme di caratteristiche di personalità. La responsabilità personale fa riferimento ad individui che affermano e riconoscono i propri pensieri e le proprie azioni, non necessariamente nel senso di avere il controllo della propria vita o delle condizioni ambientali, ma nel senso di poter controllare le proprie reazioni alle situazioni. In termini di apprendimento, è la capacità, o la volontà, da
95
parte degli individui, di autodirigersi, di scegliere la strada da prendere e accettare le conseguenze delle loro scelte e delle loro azioni.
Sempre Hiemstra (1994/b) presenta una tecnica per suddividere il processo di insegnamento/apprendimento in micro–componenti per agevolare la transizione all’autodirezione. Essi sono: l’analisi dei bisogni, l’individuazione degli obiettivi, la definizione dei contenuti, la tempistica, la selezione delle metodologie educative, il controllo dell’ambiente di apprendimento, la promozione della riflessione, la definizione del ruolo del docente, la valutazione.
Negli studi successivi, Hiemstra (2004) continua ad insistere sul concetto di decisionalità individuale, di responsabilizzazione dei soggetti in apprendimento e sul dovere, da parte dei docenti, di renderli più autodiretti e autonomi nel pianificare, implementare e valutare i risultati. 1.2.2. L’autoregolazione e la teoria sull’autoefficacia Per quanto riguarda l’autoregolazione nell’apprendimento, un contributo fondamentale proviene da Albert Bandura e dalle ricerche che lo conducono ad elaborare la teoria sull’autoefficacia (1977; 1995; 1997).
Bandura definisce il senso di autoefficacia come “la convinzione nelle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessario a gestire adeguatamente le situazioni che si incontreranno in modo da raggiungere i risultati prefissati. Le convinzioni influenzano il modo in cui le persone pensano, si sentono, trovano delle fonti di motivazione personale e agiscono” (1995, p. 15). In questo senso, le persone cercano di esercitare un controllo sugli eventi della loro vita al fine di realizzare gli scenari futuri desiderati e di prevenire il verificarsi di quelli indesiderati. Allo stesso tempo, coloro che non sono in grado di influenzare gli eventi potenzialmente spiacevoli o dannosi sono facilmente vittime di ansia, apatia o frustrazione.
Per comprendere la dimensione dell’influenza personale sugli eventi, è necessaria una teoria globale che colleghi, all’interno di una struttura concettuale unitaria di riferimento, le origini delle convinzioni di efficacia personale, la loro struttura e funzione, i processi attraverso i quali esse operano e i loro molteplici effetti. La teoria del senso di autoefficacia riguarda tutti questi microprocessi, tanto a livello individuale quanto a livello collettivo.
96
Le convinzioni rispetto alla propria efficacia possono avere origine da quattro fonti principali:
- le esperienze di gestione efficace, nelle quali un individuo ha affrontato con successo una situazione specifica. I successi, infatti, stimolano l’acquisizione di fiducia nella propria efficacia personale, mentre i fallimenti, ovviamente, la indeboliscono. Lo sviluppo del senso di autoefficacia comporta l’acquisizione di strumenti cognitivi, comportamentali e di autoregolazione idonei a progettare ed eseguire la sequenza di azioni appropriata per la gestione di circostanze di vita continuamente mutevoli. Sperimentare solo facili successi porta ad attendersi risultati rapidi e a scoraggiarsi facilmente di fronte agli insuccessi; pertanto, maturare un solido senso di efficacia richiede il superamento di ostacoli per i quali è necessario perseverare nell’impegno. Solo dopo aver imparato a resistere e reagire di fronte alle avversità e a recuperare velocemente le posizioni perdute, le persone si convincono di avere ciò che serve loro per riuscire;
- l’esperienza vicaria, fornita dall’osservazione di modelli. Vedere persone simili a sé che raggiungono i propri obiettivi attraverso l’impegno e l’azione personale incrementa nell’osservatore la convinzione di possedere anch’egli la capacità di riuscire in situazioni analoghe. Allo stesso modo, osservare persone che falliscono nonostante l’impegno indebolisce il senso di efficacia dell’osservatore e ne abbassa il livello di motivazione. Naturalmente, queste reazioni sono direttamente proporzionali all’identificazione dell’osservatore con l’osservato. Quanto più forte è l’identificazione, tanto più saranno persuasivi i successi e i fallimenti. L’osservazione di modelli non si riduce però semplicemente ad uno standard sociale con il quale confrontarsi, ma si esplica nella ricerca di modelli esperti che possiedano le competenze alle quali si aspira, al fine di apprendere conoscenze, comportamenti, abilità e strategie per poter meglio rispondere alle sollecitazioni dell’ambiente. L’acquisizione di mezzi migliori, a sua volta, accresce il senso di autoefficacia;
- la persuasione operata verbalmente. Coloro che vengono sollecitati a svolgere efficacemente un compito poiché in possesso dei requisiti necessari, tendono ad impegnarsi maggiormente e per un periodo prolungato nel tempo. Tuttavia, la sola persuasione, senza riscontri reali in termini di incremento di autoefficacia, produce effetti di
97
breve durata. Per questa ragione, chi è abile nel favorire il miglioramento del senso di autoefficacia negli altri non si limita a comunicare valutazioni positive, ma predispone situazioni che consentano alle persone di riuscire con successo e limita la partecipazione a situazioni di sicuro insuccesso;
- gli stati emotivi e fisiologici, intesi come reazioni di stress e tensione interpretati come segnali che fanno presagire cattive prestazioni. Il miglioramento delle condizioni fisiche e dello stato d’animo, la riduzione della propensione allo stress e alle emozioni negative contribuiscono a modificare in senso positivo le convinzioni di autoefficacia. Non è tanto l’intensità delle reazioni fisiche ed emotive ad essere importante, quanto il modo in cui queste vengono percepite ed interpretate: nelle persone dotate di un buon senso di autoefficacia, lo stato di attivazione emotiva è considerato come qualcosa che facilita l’azione dando energia, mentre in quelle sfiduciate la stessa attivazione è vissuta come debilitante.
Indipendentemente dalla fonte attraverso la quale venga acquisita, l’autoefficacia non è di per sé portatrice di senso, ma viene selezionata, valutata e integrata attraverso l’elaborazione cognitiva e attraverso un’altra serie di fattori, tra cui quelli di tipo personale, sociale e situazionale. Ad esempio, la misura in cui l’esito delle azioni modifica il senso di autoefficacia dipenderà dai pregiudizi sulle proprie capacità, dalla difficoltà percepita del compito, dalla quantità di sforzo impiegato, dalle condizioni fisiche ed emotive al momento dell’azione ecc.
Le convinzioni di efficacia regolano il funzionamento umano attraverso quattro processi principali: cognitivi, motivazionali, affettivi e di scelta, che tuttavia agiscono in modo integrato e non isolatamente gli uni dagli altri.
Gli effetti delle convinzioni di efficacia sui processi cognitivi assumono diverse forme. Infatti, il comportamento umano è prevalentemente intenzionale in quanto regolato da obiettivi che hanno un valore soggettivo. L’individuazione degli obiettivi, a sua volta, è influenzata dalla stima soggettiva delle proprie capacità: maggiore è l’autoefficacia percepita, più elevati saranno gli obiettivi da perseguire e l’impegno ad essi dedicato. Le linee d’azione per realizzare gli obiettivi vengono prima pianificate mentalmente immaginando lo scenario desiderato: solitamente, coloro dotati di un alto senso di autoefficacia si proiettano vincenti nel futuro, coloro che invece dubitano della propria efficacia immaginano fallimenti e ostacoli. Una delle funzioni principali del pensiero consiste allora proprio nel prevedere i fatti e predisporre i mezzi per intervenire sugli eventi che possono avere una
98
rilevanza personale. “Nell’apprendimento di strategie predittive e di regolazione del comportamento, le persone devono attingere dalle loro conoscenze per prospettare alternative di azione, valutare e integrare elementi predittivi, mettere alla prova e rivedere i propri giudizi alla luce dei risultati immediati e a lungo termine delle loro azioni, e ricordare quali fattori hanno sperimentato e la qualità dei risultati che essi hanno prodotto” (1995, p. 20).
Rispetto all’autoregolazione della motivazione, le convinzioni di efficacia rivestono un ruolo determinante. La motivazione è in gran parte generata a livello cognitivo: ognuno di noi motiva se stesso inizialmente formulando delle previsioni su ciò che sa fare, anticipando i risultati di azioni future, ponendosi degli obiettivi e pianificando i percorsi; successivamente attraverso la mobilitazione delle risorse e dell’impegno necessari per riuscire. Tre sono le fonti cognitive di motivazione: l’attribuzione causale, le aspettative rispetto al risultato e gli obiettivi rappresentati cognitivamente.
Nel caso della relazione tra convinzione di efficacia e attribuzione
causale, chi si considera efficace riconduce i propri insuccessi ad un impegno
insufficiente o a circostanze contingenti avverse, mentre chi si considera inefficace attribuisce gli insuccessi alla propria incapacità.
Nel caso delle aspettative rispetto al risultato, la motivazione è regolata dall’aspettativa che una serie di comportamenti produrrà determinati risultati; esiste pertanto un numero illimitato di alternative di azione che la gente non persegue perché ritenute al di fuori della propria portata.
Infine, la capacità di esercitare un’autoregolazione attraverso azioni tese al raggiungimento di obiettivi costituisce uno dei principali meccanismi cognitivi di motivazione. In questo caso, la motivazione agisce creando un processo di confronto cognitivo tra la percezione della propria prestazione e gli standard personali di riferimento. Legando la propria soddisfazione al raggiungimento dello standard, è possibile imporre un corso al proprio comportamento e attribuirsi incentivi per persistere nell’impegno.
L’impatto delle convinzioni di efficacia sulla rappresentazione emotiva di circostanze esistenziali caratterizzate da incertezza diventa evidente di fronte ai cambiamenti nel corso della vita. In quanto prodotte – almeno in parte – dall’ambiente in cui vivono, le persone modellano il proprio destino anche scegliendo i contesti ai quali accedere al fine di coltivare certe potenzialità e condurre lo stile di vita che prediligono. Attraverso queste scelte, si coltivano diversi tipi di competenze, interessi e relazioni sociali che determinano il corso esistenziale. Ciò accade perché le influenze sociali
99
operanti negli ambienti che si scelgono continuano a promuovere competenze, valori e interessi anche molto tempo dopo che una persona ha abbandonato un dato ambiente.
Trasferendo tutto ciò all’interno dei sistemi educativi, non si può prescindere dalle profonde trasformazioni indotte dall’avvento dell’era informatica. Se un tempo i giovani con un basso livello di scolarizzazione si orientavano verso lavori che non richiedevano particolari abilità cognitive, oggi il mercato del lavoro insiste sempre di più sulla necessità di competenze cognitive e autoregolatorie per ricoprire mansioni lavorative complesse. Una buona scolarizzazione si rende quindi essenziale per favorire la crescita psicosociale, la quale a sua volta contribuisce alla qualità della vita anche in ambiti diversi da quello professionale. “Uno degli obiettivi principali dell’educazione formale quindi dovrebbe essere quello di fornire agli studenti i mezzi intellettuali, le convinzioni di efficacia e la motivazione intrinseca necessari per continuare a educare se stessi lungo tutto l’arco della propria vita. Tali risorse mettono le persone in grado di acquisire nuove conoscenze e di coltivare abilità sia per il proprio interesse personale che per migliorare la qualità della propria vita” (Bandura, 1995, p. 34).
La fiducia degli studenti nelle proprie capacità di affrontare gli impegni scolastici determina le loro aspirazioni, il livello di interesse nelle attività di tipo intellettuale, il successo scolastico e la qualità della loro formazione. Uno dei maggiori progressi nello studio dello sviluppo cognitivo lungo l’arco della vita riguarda i meccanismi dell’apprendimento autoregolato. Un funzionamento cognitivo efficiente non richiede semplicemente di comprendere le informazioni, ma comporta anche la selezione di strategie appropriate, la verifica della propria comprensione e del proprio livello di conoscenza, la correzione dei propri errori, il riconoscimento dell’utilità delle strategie cognitive. Il tema dell’autoregolazione nell’apprendimento è stato approfondito anche da B. J. Zimmerman (1995; 2002), il quale sottolinea a sua volta la necessità, da parte delle istituzioni educative, di promuovere negli studenti lo sviluppo personale oltre che intellettivo, al fine di favorire l’autoregolazione necessaria a perseguire la propria educazione permanente.
Nei termini del funzionamento nelle attività di studio, il livello di autoefficacia si riferisce alle variazioni in relazione ai diversi livelli dei compiti, mentre la forza del senso di autoefficacia riguarda il grado di certezza circa la capacità di una persona di eseguire determinati compiti. Una questione essenziale è rappresentata dalla validità delle convinzioni di efficacia nel predire la motivazione degli studenti: quelli dotati di un elevato
100
senso di autoefficacia partecipano più prontamente, si impegnano di più nel portare a termine un compito educativo e resistono di più di fronte ad eventuali difficoltà rispetto a quelli che dubitano delle loro capacità.
Nei contesti educativi, inoltre, la valutazione che si dà della propria efficacia è particolarmente influenzata dal confronto sociale: il successo e l’insuccesso altrui possono influenzare l’autoefficacia e la motivazione personale nel caso in cui l’osservatore si percepisca simile al modello. Tuttavia, a parità di sviluppo della competenza cognitiva, due o più studenti possono differire nelle prestazioni intellettive in base al loro senso di autoefficacia.
1.2.3. La metacognizione e i processi metacognitivi
I primi studi in questo settore provengono dalla psicologia dello sviluppo e sono da attribuire a John Flavell, che definisce il concetto di