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AREE VALORIALI SVILUPPO E APPUNTAMENT

2.  L’apprendimento in età adulta 

1.2.  Dalla competenza alla metacompetenza

Seguendo  le  argomentazioni  di  Le  Boterf,  nel  paragrafo  precedente  è  stato  anticipato  il  concetto  di  apprendere  ad  apprendere,  cui  si  è  già  fatto  riferimento nel primo capitolo poiché presente nei documenti europei. Prima  però  di  procedere  con  l’esplorazione  di  tale  concetto,  si  rende  necessario  allargare il discorso alla metacompetenza. 

Attribuire uno status autonomo al concetto di metacompetenza non deve  comportare  la  fuoriuscita  dal  territorio  della  competenza  (Alberici,  2004).  È  opportuno,  piuttosto,  mantenere  una  posizione  integrata  portando  ad  un  livello  di  consapevolezza  critica  i  punti  di  contatto  che  determinano  un’effettiva  continuità  tra  il  piano  della  metacompetenza  e  quello  della  competenza. 

Da  un  punto  di  vista  linguistico,  il  costrutto  di  metacompetenza  appartiene  ad  un  livello  superiore  rispetto  a  quello  della  competenza  e  per  questo  dà  luogo  a  proprietà  sovraordinate  e  più  generali.  La  metacompetenza  è  perciò  collegata  a  quella  dimensione  dell’azione  umana  che  si  riconduce  alla  riflessività  del  pensiero  e  al  carattere  autopoietico  della  competenza. 

Riprendendo  il  lungo  excursus  sulla  competenza  dei  paragrafi  precedenti, tali punti di contatto risultano evidenti. Come si è visto, gli studi  avviati  da  McClelland  hanno  cercato  di  identificare  gli  attributi  che  caratterizzano le pratiche professionali eccellenti e che perciò sono qualità alla  base  delle  competenze  di  successo.  Da  questo  punto  di  vista,  tali  qualità  sarebbero  degli  elementi  distintivi  di  ordine  superiore  rispetto  alle  attività  professionali e di carattere generativo rispetto alle competenze di successo. Ciò 

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che emerge dal lavoro di McClelland e dei suoi collaboratori è che gli aspetti  essenziali  della  competenza  di  successo  attengono  alla  sfera  profonda  dell’individuo, alla sua struttura motivazionale: competenze di realizzazione  e operative; di assistenza e di servizio; d’influenza; manageriali; cognitive; di  efficacia personale (Alberici, 2004, p. 107). 

Le  cinque  dimensioni  dell’intelligenza  emotiva  di  Goleman,  a  loro  volta,  non  sono  semplicemente  descritte  e  comprese  a  livello  emotivo,  ma  implicano  una  messa  in  azione  che  apre  le  porte  ad  un  nuovo  modello  di  apprendimento. Infatti, nello spiegare la competenza emotiva egli istituisce un  legame  tra  questa  e  la  spinta  intrinseca  a  migliorarsi  nel  tempo,  cioè  ad 

apprendere ad apprendere.  

Nella  letteratura  nazionale,  degli  spunti  di  riflessione  rispetto  alla  metacompetenza li fornisce il modello delle competenze trasversali dell’Isfol.  La  questione  centrale  in  tale  modello  si  snoda  attorno  alle  condizioni  che  permettono  l’attivazione  delle  competenze  e  consentono  all’individuo  di  rispondere  strategicamente  al  contesto.  Assumono  perciò  rilevanza  la  categoria concettuale della trasversalità e l’individuazione di quelle classi che  ne  permettono  l’espressione.  Ne  scaturiscono  tre  macroaree  di  riferimento, 

diagnosticare,  relazionarsi,  affrontare,  all’interno  delle  quali  si  collocano  delle 

operazioni fondamentali e di base con un campo di applicazione ampio. Esse  possiedono  la  caratteristica  della  trasversalità  poiché  sono  riferite  ad  operazioni cognitive e sociali essenziali per rispondere in modo competente  alle  sollecitazioni  dei  diversi  contesti  applicativi.  Questo  modello  si  pone  come un sistema di risorse “definite” del soggetto e può essere inteso come  una condizione di partenza da cui far derivare una mappa delle abilità.  

Anche  Gardner,  seppure  in  modo  marginale,  nella  rappresentazione  delle  intelligenze  multiple  affronta  il  tema  delle  capacità  di  ordine  superiore  rispetto  alla  categoria  dell’intelligenza,  capacità  che  individua  nel  buon  senso,  nell’originalità,  nella  capacità  metaforica,  nella  saggezza,  nonché  nel  senso  del  sé  che,  se  ben  sviluppato,  è  in  grado  di  sovrintendere  ad  altre  forme di intelligenza. 

A  questa  istanza  di  ordine  superiore,  che  porta  in  primo  piano  il  soggetto, si può ricondurre il modello concettuale che è alla base dei processi  di  trasferimento  della  competenza.  Da  questo  punto  di  vista,  risulta  che  le  condizioni  soggettive  di  autodirezione  e  gli  aspetti  dell’ambiente  formativo  consoni  a  quelle  condizioni  assumono  un  valore  centrale  nel  discorso  delle  qualità di ordine meta della competenza. 

Di seguito, la metacompetenza sarà esaminata attraverso l’esplorazione  di  concetti  affini:  l’autodirezione,  l’autoregolazione  e  la  teoria 

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dell’autoefficacia,  la  metacognizione  e  i  processi  metacognitivi,  la  competenza strategica.  

   

1.2.1. L’autodirezione nell’apprendimento  

Altri autori, oltre a Knowles (più volte menzionato), hanno contribuito  all’approfondimento  del  concetto  di  autodirezione  nell’apprendimento,  mettendo  in  evidenza  il  livello  meta  delle  capacità  coinvolte  nel  processo  di  apprendimento.  Roger  Hiemstra  (1994/a),  ad  esempio,  sottolinea  che  l’apprendimento  degli  adulti  dipende  in  larga  misura  dall’iniziativa  personale,  a  sua  volta  collegata  alla  necessità  di  aggiornarsi  e  imparare  continuamente.  L’apprendimento  autodiretto  è  per  lui  “any  study  form  in  which  individuals  have  primary  responsibility  for  planning,  implementing,  and  even  evaluating  the  effort.  Most  people,  when  asked,  will  proclaim  a  preference  for  assuming  such  responsibility  whenever  possible”.  L’autore  attribuisce  all’apprendimento  autodiretto  le  seguenti  caratteristiche  (Angelini,  2009): 

‐ i soggetti vengono gradualmente responsabilizzati e resi autonomi  rispetto  alle  decisioni  che  riguardano  l’apprendimento  individuale; 

‐ l’adeguamento dell’apprendimento alle caratteristiche personali è  presente a livelli diversi in ogni individuo; 

‐ l’apprendimento autodiretto non avviene in modo isolato; 

‐ i  soggetti  che  lo  applicano  sono  in  grado  di  trasferire  sia  le  conoscenze che le abilità acquisite da una situazione all’altra;  ‐ lo studio autodiretto può includere varie attività e risorse, come la 

lettura  autodiretta,  la  partecipazione  a  gruppi  di  studio,  il  tirocinio, la scrittura riflessiva; 

‐ gli  insegnanti  possono  avere  un  ruolo  attivo  attraverso  dialoghi  con  i  soggetti,  la  predisposizione  delle  risorse,  la  valutazione  dei  risultati e la promozione del pensiero critico. 

Negli Stati Uniti, l’apprendimento autodiretto è diventato un settore della  ricerca negli ultimi quarant’anni, a partire dall’opera di Cyril O. Houle (1961)  – Università del Wisconsin – nella quale egli riportava le interviste svolte con  22  soggetti  adulti  in  apprendimento  e  li  classificava  in  tre  categorie  relative  alle  diverse  motivazioni  ad  apprendere:  1.  orientamento  al  risultato: 

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partecipazione motivata prevalentemente dal raggiungimento di un obiettivo  finale; 2. orientamento all’attività: partecipazione per ragioni legate al desiderio  di  stringere  rapporti  interpersonali;  3.  orientamento  all’apprendimento:  percezione  dell’apprendimento  stesso  come  obiettivo  da  raggiungere.  È  all’interno  di  questo  ultimo  gruppo  che  sembra  collocarsi  il  soggetto  in 

apprendimento autodiretto che sarà identificato da Houle attraverso la ricerca. 

In  Self–directed  Learning  (1975),  Knowles  fornisce  definizioni  e  assunti  fondamentali  che  indirizzarono  ampiamente  le  attività  di  ricerca  che  seguirono: (a) l’apprendimento autodiretto parte dal presupposto che gli esseri  umani possano perfezionare le loro capacità; (b) le esperienze dei soggetti in  apprendimento sono delle risorse indispensabili per l’apprendimento; (c) gli  individui  imparano  ciò  di  cui  necessitano  per  eseguire  i  compiti  loro  assegnati;  (d)  l’orientamento  naturale  di  un  adulto  è  centrato  sul  compito  o  sulla risoluzione di un problema; (e) l’apprendimento autodiretto è motivato da  vari incentivi interni, tra cui il bisogno di autostima, la curiosità, il desiderio  di riuscire, la soddisfazione conseguente alla realizzazione di un compito. 

Un altro importante tassello nella stessa direzione è rappresentato dalla 

Self–Directed  Learning  Readiness  Scale  (SDLRS),  uno  strumento  elaborato  da 

Guglielmino  nel 1977 e successivamente utilizzato anche da altri ricercatori  per misurare la predisposizione all’apprendimento autodiretto. 

Tra le ricerche più importanti figurano i lavori di Brockett and Hiemstra  (1991),  Caffarella  and  O’Donnell  (1987),  Candy  (1991),  Merriam  and  Caffarella  (1991),  Confessore  and  Confessore  (1992).  Sulla  base  di  questa  produzione,  è  stato  possibile  creare  numerosi  strumenti  per  la  misurazione  dell’apprendimento  autodiretto;  associare  la  predisposizione  all’apprendimento 

autodiretto  a  variabili  di  tipo  psicologico  e  sociale;  ricorrere  alla  ricerca 

qualitativa  per  proseguire  gli  studi  di  settore;  definire  attività  pratiche  e  relative implicazioni per facilitare l’apprendimento autodiretto. 

Si  deve  a  Brockett  and  Hiemstra  (1991)  una  sintesi  dei  principali  contenuti  sull’argomento  e  la  realizzazione  del  modello  Personal 

Responsibility  Orientation  (PRO).  Questo  modello  riconosce  differenze  e 

somiglianze  tra  l’apprendimento  autodiretto,  inteso  come  metodo  di  istruzione,  e  il  soggetto  che  si  autodirige,  inteso  come  insieme  di  caratteristiche  di  personalità.  La  responsabilità  personale  fa  riferimento  ad  individui  che  affermano  e  riconoscono  i  propri  pensieri  e  le  proprie  azioni,  non necessariamente nel senso di avere il controllo della propria vita o delle  condizioni  ambientali,  ma  nel  senso  di  poter  controllare  le  proprie  reazioni  alle  situazioni.  In  termini  di  apprendimento,  è  la  capacità,  o  la  volontà,  da 

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parte  degli  individui,  di  autodirigersi,  di  scegliere  la  strada  da  prendere  e  accettare le conseguenze delle loro scelte e delle loro azioni.  

Sempre  Hiemstra  (1994/b)  presenta  una  tecnica  per  suddividere  il  processo  di  insegnamento/apprendimento  in  micro–componenti  per  agevolare  la  transizione  all’autodirezione.  Essi  sono:  l’analisi  dei  bisogni,  l’individuazione degli obiettivi, la definizione dei contenuti, la tempistica, la  selezione  delle  metodologie  educative,  il  controllo  dell’ambiente  di  apprendimento, la promozione della riflessione, la definizione del ruolo del  docente, la valutazione. 

Negli  studi  successivi,  Hiemstra  (2004)  continua  ad  insistere  sul  concetto di decisionalità individuale, di responsabilizzazione dei soggetti in  apprendimento e sul dovere, da parte dei docenti, di renderli più autodiretti  e autonomi nel pianificare, implementare e valutare i risultati.      1.2.2. L’autoregolazione e la teoria sull’autoefficacia   Per quanto riguarda l’autoregolazione nell’apprendimento, un contributo  fondamentale proviene da Albert Bandura e dalle ricerche che lo conducono  ad elaborare la teoria sull’autoefficacia (1977; 1995; 1997). 

 Bandura  definisce  il  senso  di  autoefficacia  come  “la  convinzione  nelle  proprie  capacità  di  organizzare  e  realizzare  il  corso  di  azioni  necessario  a  gestire  adeguatamente  le  situazioni  che  si  incontreranno  in  modo  da  raggiungere i risultati prefissati. Le convinzioni influenzano il modo in cui le  persone pensano, si sentono, trovano delle fonti di motivazione personale e  agiscono”  (1995,  p.  15).  In  questo  senso,  le  persone  cercano  di  esercitare  un  controllo  sugli  eventi  della  loro  vita  al  fine  di  realizzare  gli  scenari  futuri  desiderati  e  di  prevenire  il  verificarsi  di  quelli  indesiderati.  Allo  stesso  tempo, coloro che non sono in grado di influenzare gli eventi potenzialmente  spiacevoli o dannosi sono facilmente vittime di ansia, apatia o frustrazione.  

Per comprendere la dimensione dell’influenza personale sugli eventi, è  necessaria  una  teoria  globale  che  colleghi,  all’interno  di  una  struttura  concettuale  unitaria  di  riferimento,  le  origini  delle  convinzioni  di  efficacia  personale,  la  loro  struttura  e  funzione,  i  processi  attraverso  i  quali  esse  operano  e  i  loro  molteplici  effetti.  La  teoria  del  senso  di  autoefficacia  riguarda  tutti  questi  microprocessi,  tanto  a  livello  individuale  quanto  a  livello collettivo. 

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Le  convinzioni  rispetto  alla  propria  efficacia  possono  avere  origine  da  quattro fonti principali: 

- le esperienze di gestione efficace, nelle quali un individuo ha affrontato  con  successo  una  situazione  specifica.  I  successi,  infatti,  stimolano  l’acquisizione  di  fiducia  nella  propria  efficacia  personale,  mentre  i  fallimenti,  ovviamente,  la  indeboliscono.  Lo  sviluppo  del  senso  di  autoefficacia  comporta  l’acquisizione  di  strumenti  cognitivi,  comportamentali  e  di  autoregolazione  idonei  a  progettare  ed  eseguire  la  sequenza  di  azioni  appropriata  per  la  gestione  di  circostanze di vita continuamente mutevoli. Sperimentare solo facili  successi  porta  ad  attendersi  risultati  rapidi  e  a  scoraggiarsi  facilmente  di  fronte  agli  insuccessi;  pertanto,  maturare  un  solido  senso  di  efficacia  richiede  il  superamento  di  ostacoli  per  i  quali  è  necessario  perseverare  nell’impegno.  Solo  dopo  aver  imparato  a  resistere  e  reagire  di  fronte  alle  avversità  e  a  recuperare  velocemente le posizioni perdute, le persone si convincono di avere  ciò che serve loro per riuscire; 

- l’esperienza  vicaria,  fornita  dall’osservazione  di  modelli.  Vedere  persone  simili  a  sé  che  raggiungono  i  propri  obiettivi  attraverso  l’impegno  e  l’azione  personale  incrementa  nell’osservatore  la  convinzione  di  possedere  anch’egli  la  capacità  di  riuscire  in  situazioni  analoghe.  Allo  stesso  modo,  osservare  persone  che  falliscono  nonostante  l’impegno  indebolisce  il  senso  di  efficacia  dell’osservatore  e  ne  abbassa  il  livello  di  motivazione.  Naturalmente,  queste  reazioni  sono  direttamente  proporzionali  all’identificazione dell’osservatore con l’osservato. Quanto più forte  è  l’identificazione,  tanto  più  saranno  persuasivi  i  successi  e  i  fallimenti.  L’osservazione  di  modelli  non  si  riduce  però  semplicemente  ad  uno  standard  sociale  con  il  quale  confrontarsi,  ma  si  esplica  nella  ricerca  di  modelli  esperti  che  possiedano  le  competenze  alle  quali  si  aspira,  al  fine  di  apprendere  conoscenze,  comportamenti,  abilità  e  strategie  per  poter  meglio  rispondere  alle  sollecitazioni dell’ambiente. L’acquisizione di mezzi migliori, a sua  volta, accresce il senso di autoefficacia; 

- la persuasione operata verbalmente. Coloro che vengono sollecitati a  svolgere efficacemente un compito poiché in possesso dei requisiti  necessari,  tendono  ad  impegnarsi  maggiormente  e  per  un  periodo  prolungato nel tempo. Tuttavia, la sola persuasione, senza riscontri  reali  in  termini  di  incremento  di  autoefficacia,  produce  effetti  di 

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breve  durata.  Per  questa  ragione,  chi  è  abile  nel  favorire  il  miglioramento  del  senso  di  autoefficacia  negli  altri  non  si  limita  a  comunicare  valutazioni  positive,  ma  predispone  situazioni  che  consentano  alle  persone  di  riuscire  con  successo  e  limita  la  partecipazione a situazioni di sicuro insuccesso; 

- gli stati emotivi e fisiologici, intesi come reazioni di stress e tensione  interpretati come segnali che fanno presagire cattive prestazioni. Il  miglioramento  delle  condizioni  fisiche  e  dello  stato  d’animo,  la  riduzione  della  propensione  allo  stress  e  alle  emozioni  negative  contribuiscono  a  modificare  in  senso  positivo  le  convinzioni  di  autoefficacia.  Non  è  tanto  l’intensità  delle  reazioni  fisiche  ed  emotive  ad  essere  importante,  quanto  il  modo  in  cui  queste  vengono percepite ed interpretate: nelle persone dotate di un buon  senso di autoefficacia, lo stato di attivazione emotiva è considerato  come qualcosa che facilita l’azione dando energia, mentre in quelle  sfiduciate la stessa attivazione è vissuta come debilitante. 

Indipendentemente  dalla  fonte  attraverso  la  quale  venga  acquisita,  l’autoefficacia  non  è  di  per  sé  portatrice  di  senso,  ma  viene  selezionata,  valutata  e  integrata  attraverso  l’elaborazione  cognitiva  e  attraverso  un’altra  serie  di  fattori,  tra  cui  quelli  di  tipo  personale,  sociale  e  situazionale.  Ad  esempio, la misura in cui l’esito delle azioni modifica il senso di autoefficacia  dipenderà dai pregiudizi sulle proprie capacità, dalla difficoltà percepita del  compito,  dalla  quantità  di  sforzo  impiegato,  dalle  condizioni  fisiche  ed  emotive al momento dell’azione ecc. 

Le convinzioni di efficacia regolano il funzionamento umano attraverso  quattro  processi  principali:  cognitivi,  motivazionali,  affettivi  e  di  scelta,  che  tuttavia agiscono in modo integrato e non isolatamente gli uni dagli altri. 

Gli  effetti  delle  convinzioni  di  efficacia  sui  processi  cognitivi  assumono  diverse  forme.  Infatti,  il  comportamento  umano  è  prevalentemente  intenzionale in quanto regolato da obiettivi che hanno un valore soggettivo.  L’individuazione  degli  obiettivi,  a  sua  volta,  è  influenzata  dalla  stima  soggettiva  delle  proprie  capacità:  maggiore  è  l’autoefficacia  percepita,  più  elevati saranno gli obiettivi da perseguire e l’impegno ad essi dedicato.  Le linee d’azione per realizzare gli obiettivi vengono prima pianificate  mentalmente immaginando lo scenario desiderato: solitamente, coloro dotati  di un alto senso di autoefficacia si proiettano vincenti nel futuro, coloro che  invece dubitano della propria efficacia immaginano fallimenti e ostacoli. Una  delle funzioni principali del pensiero consiste allora proprio nel prevedere i  fatti e predisporre i mezzi per intervenire sugli eventi che possono avere una 

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rilevanza  personale.  “Nell’apprendimento  di  strategie  predittive  e  di  regolazione  del  comportamento,  le  persone  devono  attingere  dalle  loro  conoscenze  per  prospettare  alternative  di  azione,  valutare  e  integrare  elementi predittivi, mettere alla prova e rivedere i propri giudizi alla luce dei  risultati  immediati  e  a  lungo  termine  delle  loro  azioni,  e  ricordare  quali  fattori hanno sperimentato e la qualità dei risultati che essi hanno prodotto”  (1995, p. 20).  

Rispetto all’autoregolazione della motivazione, le convinzioni di efficacia  rivestono un ruolo determinante. La motivazione è in gran parte generata a  livello  cognitivo:  ognuno  di  noi  motiva  se  stesso  inizialmente  formulando  delle  previsioni  su  ciò  che  sa  fare,  anticipando  i  risultati  di  azioni  future,  ponendosi  degli  obiettivi  e  pianificando  i  percorsi;  successivamente  attraverso la mobilitazione delle risorse e dell’impegno necessari per riuscire.   Tre  sono  le  fonti  cognitive  di  motivazione:  l’attribuzione  causale,  le  aspettative rispetto al risultato e gli obiettivi rappresentati cognitivamente.  

Nel  caso  della  relazione  tra  convinzione  di  efficacia  e  attribuzione 

causale, chi si considera efficace riconduce i propri insuccessi ad un impegno 

insufficiente  o  a  circostanze  contingenti  avverse,  mentre  chi  si  considera  inefficace attribuisce gli insuccessi alla propria incapacità. 

Nel  caso  delle  aspettative  rispetto  al  risultato,  la  motivazione  è  regolata  dall’aspettativa  che  una  serie  di  comportamenti  produrrà  determinati  risultati;  esiste  pertanto  un  numero  illimitato  di  alternative  di  azione  che  la  gente non persegue perché ritenute al di fuori della propria portata. 

Infine, la capacità di esercitare un’autoregolazione attraverso azioni tese  al  raggiungimento  di  obiettivi  costituisce  uno  dei  principali  meccanismi  cognitivi  di  motivazione.  In  questo  caso,  la  motivazione  agisce  creando  un  processo di confronto cognitivo tra la percezione della propria prestazione e  gli  standard  personali  di  riferimento.  Legando  la  propria  soddisfazione  al  raggiungimento  dello  standard,  è  possibile  imporre  un  corso  al  proprio  comportamento e attribuirsi incentivi per persistere nell’impegno.  

L’impatto delle convinzioni di efficacia sulla rappresentazione emotiva  di  circostanze  esistenziali  caratterizzate  da  incertezza  diventa  evidente  di  fronte  ai  cambiamenti  nel  corso  della  vita.  In  quanto  prodotte  –  almeno  in  parte – dall’ambiente in cui vivono, le persone modellano il proprio destino  anche  scegliendo  i  contesti  ai  quali  accedere  al  fine  di  coltivare  certe  potenzialità  e  condurre  lo  stile  di  vita  che  prediligono.  Attraverso  queste  scelte, si coltivano diversi tipi di competenze, interessi e relazioni sociali che  determinano  il  corso  esistenziale.  Ciò  accade  perché  le  influenze  sociali 

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operanti  negli  ambienti  che  si  scelgono  continuano  a  promuovere  competenze, valori e interessi anche molto tempo dopo che una persona ha  abbandonato un dato ambiente. 

Trasferendo  tutto  ciò  all’interno  dei  sistemi  educativi,  non  si  può  prescindere  dalle  profonde  trasformazioni  indotte  dall’avvento  dell’era  informatica. Se un tempo i giovani con un basso livello di scolarizzazione si  orientavano  verso  lavori  che  non  richiedevano  particolari  abilità  cognitive,  oggi il mercato del lavoro insiste sempre di più sulla necessità di competenze  cognitive e autoregolatorie per ricoprire mansioni lavorative complesse. Una  buona  scolarizzazione  si  rende  quindi  essenziale  per  favorire  la  crescita  psicosociale, la quale a sua volta contribuisce alla qualità della vita anche in  ambiti  diversi  da  quello  professionale.  “Uno  degli  obiettivi  principali  dell’educazione  formale  quindi  dovrebbe  essere  quello  di  fornire  agli  studenti  i  mezzi  intellettuali,  le  convinzioni  di  efficacia  e  la  motivazione  intrinseca necessari per continuare a educare se stessi lungo tutto l’arco della  propria  vita.  Tali  risorse  mettono  le  persone  in  grado  di  acquisire  nuove  conoscenze e di coltivare abilità sia per il proprio interesse personale che per  migliorare la qualità della propria vita” (Bandura, 1995, p. 34). 

La fiducia degli studenti nelle proprie capacità di affrontare gli impegni  scolastici determina le loro aspirazioni, il livello di interesse nelle attività di  tipo intellettuale, il successo scolastico e la qualità della loro formazione. Uno  dei  maggiori  progressi  nello  studio  dello  sviluppo  cognitivo  lungo  l’arco  della  vita  riguarda  i  meccanismi  dell’apprendimento  autoregolato.  Un  funzionamento  cognitivo  efficiente  non  richiede  semplicemente  di  comprendere  le  informazioni,  ma  comporta  anche  la  selezione  di  strategie  appropriate,  la  verifica  della  propria  comprensione  e  del  proprio  livello  di  conoscenza, la correzione dei propri errori, il riconoscimento dell’utilità delle  strategie cognitive.  Il tema dell’autoregolazione nell’apprendimento è stato approfondito anche  da B. J. Zimmerman (1995; 2002), il quale sottolinea a sua volta la necessità,  da parte delle istituzioni educative, di promuovere negli studenti lo sviluppo  personale oltre che intellettivo, al fine di favorire l’autoregolazione necessaria  a perseguire la propria educazione permanente. 

Nei  termini  del  funzionamento  nelle  attività  di  studio,  il  livello  di  autoefficacia  si  riferisce  alle  variazioni  in  relazione  ai  diversi  livelli  dei  compiti,  mentre  la  forza  del  senso  di  autoefficacia  riguarda  il  grado  di  certezza circa la capacità di una persona di eseguire determinati compiti. Una  questione  essenziale  è  rappresentata  dalla  validità  delle  convinzioni  di  efficacia nel predire la motivazione degli studenti: quelli dotati di un elevato 

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senso di autoefficacia partecipano più prontamente, si impegnano di più nel  portare  a  termine  un  compito  educativo  e  resistono  di  più  di  fronte  ad  eventuali difficoltà rispetto a quelli che dubitano delle loro capacità.  

Nei  contesti  educativi,  inoltre,  la  valutazione  che  si  dà  della  propria  efficacia  è  particolarmente  influenzata  dal  confronto  sociale:  il  successo  e  l’insuccesso  altrui  possono  influenzare  l’autoefficacia  e  la  motivazione  personale  nel  caso  in  cui  l’osservatore  si  percepisca  simile  al  modello.  Tuttavia, a parità di sviluppo della competenza cognitiva, due o più studenti  possono  differire  nelle  prestazioni  intellettive  in  base  al  loro  senso  di  autoefficacia.  

   

1.2.3. La metacognizione e i processi metacognitivi  

I  primi  studi  in  questo  settore  provengono  dalla  psicologia  dello  sviluppo  e  sono  da  attribuire  a  John  Flavell,  che  definisce  il  concetto  di