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2.  Il contesto nazionale 

1.2.  Gli studi sociali 

Negli  anni  Ottanta  e  Novanta,  i  fattori  socioeconomici  di  uno  scenario  improvvisamente  mutato  inducono  ad  intraprendere  nuove  indagini su come le scelte di vita subiscano il condizionamento indotto da  tali  fattori.  Sono  indagini  che  hanno  origine  soprattutto  nell’ambito  delle  teorie  dei  ruoli  sociali,  cioè  riguardanti  la  posizione  che  un  individuo  occupa nella famiglia, nella società, nel lavoro. Esse evidenziano, a fronte  di  un  senso  diffuso  di  precarietà,  una  molteplicità  di  occasioni  positive,  anche riferite alla scoperta di sé. Per esempio, il passaggio da una società  caratterizzata  da  distinzioni  di  genere  acquisite  e  consolidate,  ad  una  in  cui  queste  distinzioni  si  fanno  sempre  più  sfumate  e  meno  definite, 

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sollecita  l’esplorazione  di  parti  di  sé  prima  sconosciute  o  scarsamente  considerate perché tipicamente maschili o femminili. 

La molteplicità di occasioni, a sua volta, è evidentemente stimolante,  ma  al  tempo  stesso  faticosa,  difficoltosa,  addirittura  ansiogena  poiché  impone  una  corsa  continua  verso  un  traguardo  a  cui  molti  aspirano,  ma  che pochi raggiungono. Gli studi sociologici dimostrano che ad avvalersi  delle  opportunità  sono  spesso  individui  di  estrazione  sociale  e  culturale  medio‐alta,  tagliando  fuori  quindi  una  porzione  considerevole  della  società.  Un  livello  culturale  medio‐basso  invece  sembrerebbe  comportare  una  riduzione  degli  spazi  di  apertura  al  cambiamento  e  di  conseguenza  una  limitazione  dei  momenti  di  riflessione  che  producono  crescita  e  maturazione.  

A  partire  da  questi  studi,  Kohlberg  e  Armon  (1984)  descrivono  due  modelli di ricerca sull’adultità:  

un modello funzionale, riconducibile a quello di Erikson, in cui i  compiti che l’adulto è chiamato a svolgere nell’arco della vita  si  intrecciano  con  i  problemi  e  le  soluzioni  adottate.  Particolarmente significative, in questo modello, risultano sia le  figure  adulte  con  le  quali  il  soggetto,  volontariamente  o  involontariamente, si confronta, sia i momenti di passaggio che  contribuiscono a ridefinire l’identità dell’adulto sulla base delle  relazioni che vive; 

un modello strutturale, riconducibile a quello di Levinson, in cui  l’attenzione  si  focalizza  sui  fattori  che  impongono  una  riformulazione  delle  mete  di  vita  a  partire  dalle  esperienze  quotidiane.  Secondo  questo  modello,  ogni  stadio  sarebbe  da  intendersi come l’inizio di un nuovo periodo in cui l’individuo  rifiuta quelli precedenti per riorganizzarsi in modo diverso dal  punto di vista emotivo, cognitivo e pratico. 

In entrambi i modelli, ad ogni stadio emergono nuovi comportamenti  che  derivano  dall’esigenza  di  attribuire  significati  nuovi,  anche  molto  distanti da quelli precedenti. 

Indagini più recenti hanno messo in rilievo i cicli di cambiamento in  età adulta (Merriam‐Cunningham, 1991). Quattro sono le fasi individuate,  tutte  definibili  a  partire  dai  compiti  che  occorre  svolgere  per  passare  da  una  fase  alla  successiva.  La  rapidità  di  evoluzione  di  ogni  fase  e  del 

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passaggio  dall’una  all’altra  sarebbe  strettamente  individuale  poiché  determinata da aspetti legati al carattere della persona, alle occasioni in cui  si imbatte, al supporto ricevuto da altre persone, alla maturità conoscitiva  e affettiva. La prima fase è la ricerca della conformità. Prende forma intorno  ad  una  raffigurazione  del  futuro  (il  “sogno”)  che  diventa  fonte  di  motivazione a sviluppare un programma di vita personale. In questa fase  il  soggetto  costruisce  la  propria  missione,  che  può  essere  sottoposta  ad  adattamenti  nel  corso  del  tempo  e  costituisce  il  primo  nucleo  della  struttura del sé che verrà formandosi gradualmente grazie alla definizione  di componenti di natura razionale ed emozionale. 

Segue la seconda fase, la mancanza di sincronia, che si verifica quando  il  percorso  verso  il  completamento  della  missione  perde  la  sua  linearità  perché attraversato da elementi di carattere dissonante rispetto ai desideri  iniziali. È allora necessario eliminare tutto ciò che non risulti funzionale al  cammino, che deve essere riprogettato di conseguenza. La struttura perde  l’equilibrio  e  l’armonia  della  fase  precedente  e  si  sfalda,  inducendo  l’individuo ad allontanarsi dagli spazi sociali e a concedersi dei momenti  di  rifugio  introspettivo  che  rappresentano  dei  nuovi  spazi  di  riflessione.  Ciò  che  si  verifica  qui  è  la  crisi  di  attaccamento  affettivo  a  momenti  e  interessi che nella fase precedente erano cruciali. Sopraggiunge una fase di  stasi,  di  routine,  che  ‐  ben  lungi  dall’avere  la  spinta  passionale  della  fase  precedente ‐ comporta una discesa nella noia della quotidianità, anche se  la missione è stata compiuta e il “sogno” si è realizzato. In altri termini, la  struttura vitale desiderata all’inizio è diventata inefficace e ha perso la sua  funzione di stimolo. 

Si  entra  allora  nella  terza  fase,  la  presa  di  distanza.  Alla  frammentazione della struttura corrisponde la scoperta della drammaticità  dell’esistenza e delle lacerazioni affettive, seguita dal bisogno di risorgere  con  le  proprie  forze.  Iniziano  momenti  di  smarrimento,  angoscia,  solitudine;  la  missione  perde  la  sua  attualità  e  diventa  una  memoria  del  passato.  La  scoperta  dell’illusorietà  del  “sogno”  e  della  precarietà  della  vita  porta  gradualmente  ad  una  nuova  maturazione  poiché  il  dialogo  interiore crea nuove certezze: il distacco dalle cose e dalle passioni induce  riflessioni non più su ciò che si è fatto o si può fare ancora, ma sul senso  dell’essere.  Arriva infine la quarta fase, la reintegrazione, che segna l’inizio di un  periodo nuovo in cui si esce dall’isolamento e si recuperano i contatti con  il mondo esterno. Il “sogno”, a sua volta, subisce una ristrutturazione che 

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gli  darà  una  forma  profondamente  differente  rispetto  a  quella  originaria,  poiché meno condizionata dalla paura del fallimento, dalla competizione e  più legata alla riscoperta di se stessi. 

L’attuale generazione di adulti presenta dimensioni sempre più varie  e  complesse  da  esplorare,  che  sintetizzano  molte  delle  caratteristiche  sin  qui individuate. Essi hanno inventato nuovi stili di vita. Con un livello di  istruzione  tendenzialmente  più  alto  rispetto  alla  generazione  precedente,  hanno  una  percezione  delle  fasi  della  vita  in  cui  la  transizione  nell’età  adulta  è  continuamente  rimandata.  Wolf  (2009)  elenca  le  seguenti  caratteristiche: 

‐ una rivalutazione dei ruoli, soprattutto di quelli tradizionali;  ‐ una rivalutazione dei rapporti; 

‐ sogni e desideri più realistici; 

‐ necessità di adattamento ai cambiamenti fisici; 

il  riconoscimento  del  fenomeno  della  cosiddetta  “sandwich 

generation”  in  cui  l’adulto  si  trova  tra  i  propri  figli  e  i  propri 

genitori ed è responsabile degli uni e degli altri;  ‐ l’emergere di nuove responsabilità; 

‐ un maggior controllo del proprio mondo;  ‐ una nuova enfasi nella relazione di coppia;  ‐ generatività piuttosto che stagnazione; 

‐ sensazione  di  “tempo  rimasto”  piuttosto  che  di  “tempo  passato”;  ‐ il bisogno di apprendere.      1.3. La prospettiva del corso di vita e le transizioni  In questo ambito si collocano quegli approcci teorici e quelle linee di  ricerca che considerano l’età adulta all’interno di un processo di sviluppo  e cambiamento che scorre durante tutta la vita e che fa emergere il ruolo  delle  scelte  e  dei  comportamenti  individuali  rispetto  ai  condizionamenti  esterni (nonché a quelli bio‐psicologici).  

Si  parla  perciò  di  life  span  perspective  o  ciclo  vitale,  ma  anche  del  rapporto  tra  cambiamento  e  sviluppo,  del  ruolo  e  della  funzione  del  cambiamento  nella  dinamica  delle  diverse  età  della  vita,  del  ruolo  delle  transizioni nella prospettiva dello sviluppo nell’arco vitale.  

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Gli  studiosi  che  seguono  questo  ambito  di  ricerca  negano  la  possibilità  di  individuare  un  modello  unitario  di  adultità  e  un’unica  metodologia  di  indagine  e  sostengono  l’indispensabilità  di  uno  specifico  metodo di ricerca sullo sviluppo, al fine di perseguire possibili modelli di  sviluppo  adulto  basati  sullo  studio  delle  rappresentazioni  dei  cambiamenti e dei modelli dei cambiamenti interindividuali piuttosto che  sulle singole caratteristiche fisiche ambientali.  

Uno  degli  aspetti  più  innovativi  della  life  span  perspective  consiste  nell’introduzione del concetto di plasticità, che fa riferimento all’unicità di  ogni singolo percorso poiché si  modella nel rapporto  con i diversi agenti  che lo influenzano (Alberici, 2002). 

Sul  concetto  del  ciclo  vitale/life  span  perspective  poggia  la  teoria  delle  transizioni.  Queste  possono  avere  una  durata  variabile  (solitamente  da  uno  a  tre  anni)  e  sono  sempre  in  stretta  correlazione  con  l’esterno,  con  il  caso, l’occasione, l’imprevisto.  

Demetrio  (2003a)  elenca  una  serie  di  descrittori  funzionali  alla  ricostruzione  del  ciclo  di  vita  e  da  considerarsi  quali  variabili  a  fini  di  ricerca: i condizionamenti infantili, che hanno plasmato, limitato o arricchito  gli  anni  adulti;  la  percezione  dei  cambiamenti  intrapresi  o  subiti;  la 

rielaborazione progressiva di problemi antichi che si ripresentano in nuove 

forme; le influenze storico‐sociali che incidono sugli orientamenti valoriali  e sui modelli di azione; le differenze di genere riconducibili alla maternità o  paternità  e  alla  vita  di  coppia;  la  carriera  e  gli  ambienti  professionali;  le 

relazioni con le esperienze di morte e con le malattie proprie e/o altrui; il senso 

di  integrità personale,  di  appartenenza;  il  rapporto  con  l’introspezione,  la  solitudine,  la  propria  interiorità;  il  rapporto  con  le  esperienze  di  svago,  con  l’impegno  sociale;  il  senso  della  leadership  personale,  quando  ci  si  riconosce portatori di esperienze, valori, pratiche educative.  

Smolak  (1993,  citato  in  Demetrio,  2003a)  aggiunge  che  per  il  ricercatore  che  si  occupa  dell’adultità,  il  ciclo  di  vita  non  può  essere  pienamente compreso e interpretato se non si prendono in considerazione  le  cosiddette  sei  aree  valoriali  di  base  che  sono  responsabili  della  produzione  di  energia  motivazionale  (anche  se  scompaiono  e  riappaiono  in momenti diversi). Le aree valoriali sono le seguenti: 

il  senso  di  sé  (identità,  autostima,  indipendenza,  autonomia,  confini,  responsabilità),  che  si  acquisisce  in  modo  progressivo  interrogandosi ripetutamente su se stessi; 

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la  realizzazione,  che  si  verifica  quando  si  raggiungono  i  propri  obiettivi o si gode del riconoscimento sociale desiderato; 

l’intimità,  vissuta  nell’amore  di  coppia,  nell’amicizia,  nel  prendersi cura degli altri; 

la creatività e il gioco, che riempiono i momenti della vita dedicati  al piacere, alla spensieratezza; 

la  ricerca  del  significato,  caratterizzata  dalla  riflessione,  dalla  scoperta, dal raggiungimento della pace interiore; 

la  compassione  e  la  solidarietà,  ossia  il  dare  agli  altri  in  modo  disinteressato, l’aiutare, l’educare, l’essere grati.   

 

Ne  deriva  un  modello  evolutivo  di  adultizzazione5  caratterizzato  dalla  corrispondenza  tra  fascia  d’età  e  area  valoriale,  sintetizzato  nella  tabella 1:   

Tabella 1. Modello evolutivo di adultizzazione   ETÀ SCOPI

VITALI

AREE VALORIALI SVILUPPO E