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AREE VALORIALI SVILUPPO E APPUNTAMENT

2.  L’apprendimento in età adulta 

2.3.  L’apprendimento come consapevolezza di sé: la teoria trasformativa

Nell’ambito  delle  teorie  dell’apprendimento  degli  adulti  inteso  come  acquisizione di consapevolezza di sé, di coscientizzazione, emergono i nomi  di Paulo Freire e di Jack Mezirow.  

Studioso di origine brasiliana, Freire, a partire dalla realtà del suo paese  negli  anni  Sessanta,  propone  una  pedagogia  degli  oppressi  (1972)  volta  ad  offrire  alle  classi  deboli  l’alfabetizzazione  quale  strumento  di  presa  di 

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coscienza  e  di  emancipazione.  Egli  è  infatti  convinto  che  solo  attraverso  la  conquista  della  scrittura  e  della  lettura  le  masse  popolari  possono  prendere  coscienza  della  propria  condizione  esistenziale  di  oppressione,  liberarsi  dai  vincoli del dominio e della sottomissione e acquisire una visione della realtà  critica e creativa (Frabboni‐Pinto Minerva, 2002). La pedagogia degli oppressi  perciò  concepisce  l’educazione  come  un  momento  del  processo  di  trasformazione  della  società  e  propone  l’educazione  per  consentire  la  conquista degli strumenti espressivi attraverso i quali le masse diventano co‐ autrici  della  propria  storia.  Con  questi  strumenti,  infatti,  si  giunge  gradualmente alla presa di distanza dalla propria esperienza di individuo e di  comunità, la si astrae dalla dimensione dell’immediatezza del vissuto e la si  sottopone a riflessione critica. Raccontando e scrivendo il proprio pensiero e  la  propria  vita,  quindi,  il  soggetto  non  solo  amplia  le  proprie  competenze  lessicali e semantiche, ma matura anche la capacità di ricostruire i significati  della  propria  storia  e  di  inserirli  in  un  più  ampio  schema  di  significato.  In  questa  prospettiva,  la  pedagogia  di  Freire  si  configura  come  una  vera  e  propria  presa  di  coscienza  di  sé,  della  propria  storia  passata,  e  apre  la  via  ad  una  reinterpretazione  dell’esistenza  che  contraddistinguerà  il  percorso  futuro.  

All’opera di Freire si ispira Mezirow all’inizio degli studi e ricerche che  lo conducono all’elaborazione della teoria trasformativa. “La sua ambizione è  insegnare  anzitutto a pensare, a ragionare, a riflettere con la propria testa a  donne  e  uomini  che  si  trovano  coinvolti  in  eventi  formativi  progettati  per  loro  e  in  quelle  situazioni  critiche  che  ogni  adulto  conosce  e  attraversa  vivendo” (Demetrio, 2003b, p. VIII). 

Una  caratteristica  peculiare  dell’essere  umano  è  il  bisogno  di  capire,  attribuire  un  significato  alle  esperienze  per  poter  agire  efficacemente.  Trovare un significato è infatti una forma di interpretazione che serve a dare  un  senso  alle  nostre  esperienze,  ed  è  fondamentale  nell’apprendimento  poiché nel processo di apprendimento l’individuo interagisce con situazioni  ed  eventi  sotto  la  guida  di  un  insieme  precostituito  di  aspettative.  Queste  aspettative  consolidate  sono  gli  strumenti  di  cui  ci  si  serve  per  capire  e  analizzare  la  natura  di  un’esperienza  nuova  o  poco  chiara  o  erroneamente  interpretata.  Per  fare  delle  interpretazioni  che  ci  aiutino  a  scegliere  le  dimensioni  di  una  nuova  esperienza,  occorre  attingere  alle  esperienze  pregresse. Il processo tacito di revisione delle esperienze pregresse attraverso  il quale arriviamo a delimitare l’esperienza attuale è la cosiddetta percezione,  cioè  un’operazione  di  riconoscimento  che  comporta  l’identificazione  di  un’esperienza  attraverso  il  raffronto  tra  l’esperienza  stessa  con  uno  o  più  simboli  interiorizzati.  Tramite  questo  processo,  si  identificano  gli  oggetti 

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familiari.  Quando  ci  si  imbatte  in  un  oggetto  non  familiare,  si  avverte  la  mancanza  di  un  termine  di  raffronto,  di  un  modello  simbolico  utilizzabile  per interpretare il significato di quell’oggetto e renderlo familiare.   

L’apprendimento  diventa  trasformativo  quando  un’esperienza  viene  riletta  in  base  ad  aspettative  diverse  per  cui  acquisisce  un  significato  e  una  prospettiva nuovi. Cinque sono i contesti primari di interazione necessari per  l’apprendimento: 1. lo schema di riferimento ‐ o prospettiva di significato ‐ a  cui  appartiene  l’apprendimento;  2.  le  condizioni  di  comunicazione  (la  padronanza  del  linguaggio,  i  codici,  le  modalità  di  trasmissione);  3.  la  linea  d’azione  con  cui  avviene  l’apprendimento  (intenzionalità,  desiderio  e  volizione  da  parte  del  discente);  4.  l’immagine  di  sé  del  soggetto  in  apprendimento;  5.  le  circostanze  esterne  in  cui  si  verifica  l’apprendimento  (2003).  

Nella  sua  teoria  trasformativa,  Mezirow  identifica  quattro  forme  distinte in cui può verificarsi l’apprendimento degli adulti: 

1. l’apprendimento  attraverso  gli  schemi  di  significato,  cioè  finalizzato  ad  elaborare  criticamente  gli  schemi  di  significato  preacquisiti  o  che  avviene  entro  la  struttura  degli  schemi  di  riferimento  preesistenti.  Questa  forma  di  apprendimento  include  le  risposte  abituali  e  stereotipate  alle  informazioni  ricevute  attraverso  delle  categorie  di  significato note; 

2. l’apprendimento di nuovi schemi di significato, cioè la creazione di nuovi  schemi  coerenti  e  compatibili  con  le  prospettive  di  significato  preesistenti  in  modo  da  integrarle  efficacemente  e  ampliarne  la  portata.  In  questa  forma  di  apprendimento,  la  prospettiva  di  significato,  anche  se  si  amplia,  non  cambia  radicalmente.  La  prospettiva  prevalente  viene  rafforzata  perché  la  comprensione  di  nuove  aree  di  esperienza  resa  possibile  dal  nuovo  schema  di  significato risolve le incongruenze e le anomalie esistenti nel vecchio  sistema di riferimento; 

3. l’apprendimento  attraverso  la  trasformazione  degli  schemi  di  significato,  cioè  l’apprendimento  che  comporta  una  riflessione  sui  presupposti.  Esso  si  verifica  quando  i  punti  di  vista  e  le  convinzioni  diventano  disfunzionali,  subentra  un  senso  di  inadeguatezza  per  gli  approcci  soliti  alla  ricerca  e  alla  comprensione  dei  significati  e  gli  schemi  di  significato subiscono una conseguente trasformazione; 

4. l’apprendimento  attraverso  la  trasformazione  della  prospettiva,  che  consiste  nel  prendere  consapevolezza,  attraverso  la  riflessione  e  la 

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critica,  dei  presupposti  specifici  su  cui  si  basa  una  prospettiva  di  significato  distorta  o  incompleta.  Questa  viene  allora  trasformata  attraverso  una  riorganizzazione  del  significato.  Questo  è  il  tipo  di  apprendimento  più  significativo.  Inizia  quando  ci  si  imbatte  in  una  situazione che non corrisponde alle aspettative e quindi appare priva  di significato; ridefinendola, si rivalutano criticamente gli assunti che  supportano lo schema di significato che viene messo in discussione.  Queste  trasformazioni  si  associano  spesso  ad  una  crisi  esistenziale  che impone una ridefinizione degli schemi precedenti. 

La teoria trasformativa suggerisce una forma di progressione evolutiva  nell’età adulta che non segue degli schemi chiaramente definiti, anche se gli  adulti  mostrano  diversi  livelli  di  disponibilità  alla  progressione  che  sono  significativamente  correlati  sia  all’età,  sia  all’istruzione.  Una  volta  completato,  però,  l’apprendimento  trasformativo  diventa  irreversibile:  quando  la  comprensione  è  diventata  chiara  e  il  soggetto  si  è  impegnato  ad  intraprendere l’azione che essa suggerisce, non è più possibile retrocedere a  livelli  inferiori  di  comprensione.  Raggiungere  questo  livello  di  piena  comprensione è però difficile, e molti regrediscono prima di arrivarci. 

Mezirow  (2003)  specifica  che  la  trasformazione  degli  schemi  di  significato  non  conduce  necessariamente  all’autoriflessione;  può  infatti  limitarsi  ad  una  semplice  correzione  degli  errori.  Questo  perché  la  trasformazione  degli  schemi  coinvolge  il  senso  del  sé  e  implica  una  riflessione  critica  sulle  premesse  che  sorreggono  la  struttura  di  aspettative.  La  trasformazione  delle  prospettive  è  il  processo  attraverso  cui  si  diventa  critici sulle modalità e sulle ragioni per le quali i nostri assunti sono arrivati a  condizionare  il  nostro  modo  di  percepire  il  mondo.  Queste  strutture  si  modificano solo per acquisire una prospettiva più inclusiva, discriminante e  integrativa  e  alla  fine  si  compiono  nuove  scelte  o  si  intraprendono  nuove  azioni sulla base delle conoscenze così acquisite. 

Il  processo  di  trasformazione  può  avvenire  tramite  l’accumulazione  di  schemi  di  significato  trasformati,  che  deriva  da  una  serie  di  dilemmi,  o  in  risposta  ad  un  evento  sconcertante  imposto  dall’esterno.  Qualunque  sfida  significativa ad una prospettiva consolidata può indurre una trasformazione.  Ma  si  tratta  sempre  di  sfide  dolorose  perché  spesso  mettono  in  discussione  dei valori profondamente radicati e minacciano il senso del sé.  

Le  difficoltà  della  trasformazione  descrivono  un  doloroso  iter  di  negoziazione,  compromesso,  stallo,  ritorno  all’antico,  autoinganno.  Infatti,  anche  se  a  livello  intellettuale  si  comprende  l’esigenza  di  modificare  il  proprio  modo  di  agire,  per  procedere  occorrono  forza  emotiva  e  un  atto  di 

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volontà.  Il  ritorno  all’antico,  che  si  riscontra  spesso  nel  processo  di  trasformazione,  si  può  spiegare  proprio  alla  luce  del  conflitto  che  si  crea  nell’immediato tra la prospettiva di significato consolidata e la prospettiva di  trasformazione. 

Qual è, in tutto ciò, il ruolo del docente/facilitatore? Secondo Mezirow,  egli deve accettare le priorità di apprendimento iniziali del discente, ma non  deve  sentirsi  costretto  a  restringere  il  suo  campo  d’azione  entro  i  limiti  che  tali priorità suggeriscono. La trasformazione delle prospettive è una modalità  di  apprendimento  che  né  il  discente,  né  il  docente  possono  prevedere  o  indurre  a  comando.  Ciò  che  l’educatore  dovrebbe  porsi  come  obiettivo  è  esclusivamente  che  il  discente  impari  liberamente  e  decida  se,  come  e  quando agire. In altri termini, che diventi autonomo.      3. Riflettere nel corso dell’azione: Donald A. Schön  Pur non rientrando nelle finalità specifiche del presente lavoro, il filone  di studi relativo all’apprendimento organizzativo, o learning organization, ha  fornito dei contributi interessanti alle teorie dell’apprendimento degli adulti  (Schön, 1983; Argyris e Schön, 1996). In particolare, ci si riferisce al lavoro di  Donald Schön su quello che egli definisce il professionista riflessivo (1983). 

Partendo  da  una  critica  alla  Razionalità  Tecnica7,  Schön  afferma  che  l’attività professionale quotidiana si sviluppa sulla base del conoscere tacito.  Ogni professionista competente, infatti, è in grado di individuare i fenomeni  per i quali non è capace di fornire una descrizione ragionevolmente accurata  o completa. Nella pratica quotidiana, egli formula dei giudizi di qualità per i  quali  non  sa  fornire  dei  criteri  e  mostra  di  possedere  delle  capacità  senza  saper elencare le regole e le procedure che ne stanno alla base. Anche quando  fa un uso consapevole di teorie e tecniche fondate sulla ricerca, egli dipende  da taciti riconoscimenti, giudizi e azioni esperte. 

Quando però si confronta con un fenomeno enigmatico, problematico o  interessante,  egli  cerca  di  coglierne  il  senso  riflettendo  anche  sulle  comprensioni implicite nella propria azione, che viene criticata, ristrutturata  e  incorporata  nell’azione  successiva.  È  questa  la  normale  attività  cognitiva  che caratterizza un’azione intelligente, il conoscere nell’azione, al quale Schön  attribuisce le seguenti proprietà (1983, p. 80): 

7  Secondo  il  modello  della  Razionalità  Tecnica,  l’attività  professionale  consiste  nella  soluzione  strumentale  di  problemi  resa  rigorosa  dall’applicazione  di  teorie  e  tecniche  a  base scientifica.  

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‐ vi  sono  azioni,  riconoscimenti  e  giudizi  che  sappiamo  spontaneamente  come  effettuare;  non  dobbiamo  pensarci  sopra  prima o durante il loro svolgimento; 

‐ siamo  spesso  inconsapevoli  di  aver  imparato  a  fare  queste  cose;  semplicemente ci troviamo a farle; 

‐ in  alcuni  casi,  eravamo  un  tempo  consapevoli  di  comprensioni  che  erano  susseguentemente  interiorizzate  nella  nostra  sensibilità  per  la  sostanza  dell’azione.  In  altri  casi,  non  avremmo  mai  potuto  esserne  consapevoli. In entrambi i casi, comunque, siamo di solito incapaci di  descrivere l’attività cognitiva rivelata dalla nostra azione. 

Dopo  il  conoscere  nell’azione,  l’autore  introduce  il  riflettere  nel  corso 

dell’azione, che si verifica quando il professionista pensa a ciò che sta facendo. 

Questo  tipo  di  riflessione  dipende  dall’esperienza  della  sorpresa:  se  una  prestazione  è  intuitiva,  spontanea  e  non  produce  risultati  inattesi,  di  solito  non è oggetto di riflessione. Ma se una prestazione porta alla sorpresa (voluta  o non voluta), la risposta solita è la riflessione nel corso dell’azione, cioè una  conversione  del  conoscere  nell’azione  in  conoscenza  dell’azione  (p.  85).  Questo  meccanismo  sembra  inevitabile  ogni  qualvolta  si  voglia  esprimere  a  parole  un’attività di tipo cognitivo.  

Ogni  pratica  professionale  comprende  una  componente  ripetitiva  poiché  comporta  il  ripetersi  di  situazioni  similari.  Il  professionista  sperimenta perciò molte varianti di un numero limitato di casi, sviluppando  un  repertorio  di  aspettative,  immagini  e  tecniche.  Fino  a  quando  la  sua  pratica  si  mantiene  stabile,  gli  procura  cioè  dei  casi  tra  loro  simili,  egli  è  sempre  meno  soggetto  a  sorpresa  e  il  suo  conoscere  nella  pratica  diventa  sempre  più  tacito,  spontaneo  e  automatico.  Ma  se  la  pratica  diventa  abitudinaria,  e  il  conoscere  ancora  più  tacito  e  spontaneo,  si  riducono  le  occasioni di riflessione. C’è allora il rischio di diventare selettivi e di prestare  attenzione  solo  ai  fenomeni  familiari,  trascurando  quelli  che  non  corrispondono  alle  categorie  del  suo  conoscere  nell’azione.  Ne  derivano  limitatezza di orizzonti e rigidità.  

Il  professionista  può  ovviare  a  tutto  ciò  attraverso  la  riflessione.  Riflettendo,  infatti,  emergono  le  comprensioni  tacite  sorte  attorno  alle  esperienze  ripetitive,  vengono  sottoposte  a  critica,  a  riesame,  e  si  aprono  nuove  possibilità  di  sperimentazione  nelle  situazioni  caratterizzate  da  incertezza. 

Il professionista riflette sul proprio conoscere nella pratica (reflection on 

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comprensione  utilizzate  in  quel  caso  specifico.  La  riflessione  però  può  avvenire  anche  nel  corso  dell’azione  (reflection  in  action),  ma  è  limitata  dal  presente dell’azione stessa, dall’ambito temporale. In questo caso, i possibili  oggetti  della  riflessione  del  professionista  sono  variabili  esattamente  come  i  fenomeni  che  egli  affronta  e  i  sistemi  di  conoscenza  che  impiega.  Egli  può  riflettere  sulle  norme  e  sugli  apprezzamenti  taciti  che  sono  alla  base  di  un  giudizio, o sulle strategie e teorie implicite in un tipo di comportamento. Può  riflettere  sulle  decisioni  che  lo  hanno  portato  a  scegliere  una  determinata  linea d’azione, sul modo in cui ha strutturato il problema che sta tentando di  risolvere, o sul ruolo che ha costruito per se stesso nella situazione specifica. 

La  riflessione  nel  corso  dell’azione  è  fondamentale  per  far  fronte  alle  situazioni  problematiche  divergenti  che  il  professionista  spesso  deve  considerare.  

Quando  il  fenomeno  non  è  inseribile  all’interno  delle  categorie  ordinarie  del  conoscere  nella  pratica  e  si  presenta  unico  e  instabile,  il  professionista può criticare la propria comprensione iniziale di esso, costruire  una  nuova  descrizione  e  verificarla  attraverso  un  esperimento  sul  campo;  può,  cioè,  impostare  il  problema  in  un  modo  differente,  dare  un  nuovo  impianto strutturale alla situazione.    

 

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In  questo  capitolo,  sono  state  presentate  alcune  teorie  che  definiscono  l’età  adulta  e  ne  descrivono  le  caratteristiche,  insieme  alle  teorie  dell’apprendimento  in  età  adulta  elaborate  da  alcune  figure  che  hanno  fornito  un  contributo  significativo  agli  studi  di  settore.  Tuttavia,  è  evidente  che  i  contenuti  esposti  sono  il  risultato  di  una  selezione  operata  in  ragione  delle finalità del presente progetto di ricerca. Più nello specifico, si è tentato  di  dare  conto  in  particolare  di  quelle  teorie  che  evocano  la  capacità  di  prendere  le  distanze  dal  primo  livello,  quello  dell’attualità,  del  presente,  della concretezza, e di innalzarsi al livello successivo, quello della riflessione  sulle  strategie  e  dell’appropriazione  delle  stesse.  E  questo  ci  introduce  al  capitolo seguente che sarà dedicato all’apprendere ad apprendere.  

 

 

 

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Capitolo 3  

APPRENDERE AD APPRENDERE   

 

 

 

 

 

 

 

1. Premessa  Dopo aver definito l’adulto con le sue transizioni e fasi di vita, e dopo  aver  tracciato  un  percorso  attraverso  alcune  delle  teorie  più  significative  dell’apprendimento  in  età  adulta,  è  opportuno  proseguire  con  un’ulteriore  delimitazione  del  campo  d’indagine  e  concentrare  l’attenzione  sulle  prospettive  teoriche  che  fanno  da  cornice  al  concetto  dell’apprendere  ad  apprendere già citato nel capitolo sulle politiche europee e nazionali. 

Si  è  visto,  infatti,  che  l’Unione  europea  riconosce  nella  capacità  di  apprendere ad apprendere uno dei motori fondamentali del lifelong learning  poiché  consente  agli  individui  di  imparare  costantemente  e  mantenere  il  ritmo  evolutivo  accelerato  della  società  della  conoscenza.  È  evidente  che  l’esigenza  di  una  formazione  per  tutto  l’arco  della  vita  è  strettamente  collegata  ai  processi  di  ristrutturazione  del  mercato  del  lavoro,  che  richiedono  aggiornamento  continuo,  flessibilità,  capacità  di  rimanere  cittadini attivi evitando il rischio di obsolescenza delle qualifiche.   

Ma  l’apprendere  ad  apprendere  si  colloca  all’interno  di  una  cornice  teorica ben più vasta che accoglie i contributi di studiosi europei e americani  e  assume  diverse  sfaccettature  messe  in  evidenza  anche  dalla  varietà  di 

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approcci  che  si  riscontrano  in  letteratura.  Approcci  che  superano  la  logica  funzionalistica  di  un  apprendimento  teso  a  garantire  risposte  immediate  e  innovative  ai  mutamenti  del  mercato  del  lavoro  per  ragionare  nell’ottica  dello sviluppo di un modello di competenza strategica per il lifelong learning  (Alberici, 2008).  

La  prospettiva  del  lifelong  learning  disloca  nettamente  il  tempo  dell’apprendimento e costruisce un nuovo sistema identitario del soggetto in  apprendimento. Il tempo dell’apprendimento si amplia a tutta la durata della  vita, attiva e non. 

Risale  agli  anni  Novanta  il  profondo  cambiamento  che,  sul  versante  delle  innovazioni  professionali,  ha  comportato  l’emergere  di  nuovi  fabbisogni  di  competenze  per  le  organizzazioni  e  per  gli  individui  (Montedoro,  2004);  il  ruolo  della  formazione  diventa  allora  quello  di  contribuire in modo decisivo allo sviluppo di competenze di secondo livello  (o metacompetenze), competenze cioè che mettono in evidenza la qualità legata  all’azione  di  riflessività  effettuata  sulle  competenze  di  ordine  inferiore.  Le  metacompetenze  rappresentano  perciò  il  metacontesto  all’interno  del  quale  sono inserite le competenze. “L’accento quindi si sposta. Dallo sviluppo della  triade sapere, saper fare, saper essere, con le sue varianti più o meno creative,  ci si avvia alla ricerca delle competenze che possano consentire la crescita e la  trasformazione  delle  competenze  di  cui  il  soggetto  è  portatore.  Dalle  competenze alle metacompetenze per l’apprendimento in tutte le espressioni  della  vita.  Dalla  dimensione  individuale  a  quella  collettiva,  dal  lavoro  alle  istituzioni  scolastiche  e  formative,  fino  al  tempo  libero  e  ai  diversi  mondi  vitali” (Montedoro, 2004, p. 71). 

Le  metacompetenze  di  cui  favorire  lo  sviluppo  sono  evidentemente  quelle  orientate  alla  gestione  dell’apprendimento  come  pratica  continua,  negli  ambienti  di  lavoro  e  nelle  organizzazioni,  nella  vita  e  nei  contesti  sociali.  L’apprendimento  diventa  quindi  un  fatto  complesso  perché  avviene  in  una  società  complessa,  caratterizzata  da  una  molteplicità  di  contesti  che  interagiscono  in  un’ottica  di  sistema  all’interno  del  quale  l’individuo  riceve  continue sollecitazioni che richiedono risposte differenti.