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Il ddl Manconi: una proposta par un “diritto gentile”

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 132-137)

LA PIANIFICAZIONE ANTICIPATA DELLE CURE

2. L’inadeguata risposta del legislatore

2.2 Il ddl Manconi: una proposta par un “diritto gentile”

Cercando di ricostruire un immaginario percorso logico e cronologico del complesso di norme e principi regolanti il fine vita, si può forse considerare il Ddl Calabrò come una parentesi aperta e poi chiusa, per successivamente riprendere da dove ci si era interrotti. Molto più coerente con gli approdi di dottrina e giurisprudenza pare infatti essere stato il disegno di legge avanzato dagli Onn. Manconi e Corsini durante la XVII legislatura, che rappresenta la fedele ed integrale riproposizione della “proposta di idee in forma normativa” elaborata dal gruppo di lavoro “Undirittogentile” promosso nella primavera 2012 dal prof. Paolo Zatti.

In netta contrapposizione con il Ddl Calabrò infatti, la proposta in questione ha saputo più avvedutamente occupare gli spazi che competono al legislatore fornendo una disciplina mite ed elastica, senza tracimare col proprio operato ad investire profili sostanziali dei diritti costituzionali coinvolti nella materia. Il pregio del Ddl Manconi è stato quello di recuperare il discorso interrotto dopo la sentenza Englaro, sviluppandolo e riempiendo i vuoti legislativi che ancora comportano incertezze

applicative, di fatto impedendo una limpida emersione ed affermazione delle best practices ospedaliere, pur esistenti.

Rispetto alla precedente proposta, possono dirsi sostanzialmente superate le criticità evidenziate nel paragrafo precedente, mentre con

riferimento ai principi ed ai diritti fondamentali si può affermare che questi sono salvaguardati nella loro più moderna e progredita accezione, ed anzi valorizzati dalla normativa di dettaglio e di attuazione.

Limitandosi ad una sommaria esposizione degli spunti più pregevoli e di quelli che segnano il maggior progresso rispetto al Ddl Calabrò si segnalano, su tutti, tre punti di forza.

Il primo riguarda la vincolatività delle disposizione anticipate, riguardo alle quali si evidenzia un approccio radicalmente opposto rispetto al precedente Ddl: se in passato ad esse non si riconosceva più che un valore meramente orientativo, qui si parla espressamente di “pieno rispetto”204. Peraltro nel testo annotato della proposta205 si legge di come la scelta lessicale sia stata frutto di opportuna ponderazione, essendosi “evitato di usare la parola «vincolato» perché fonte di malintesi”. L’intento è stato infatti quello di imporre al medico “un obbligo di pieno rispetto”, che è cosa ben diversa da quello di “passiva esecuzione”, e si specifica poi come “nel caso delle direttive anticipate il rispetto passa attraverso la loro applicazione alla situazione che si è di fatto creata”. Si può ben comprendere allora come il ruolo del medico non risulti affatto svilito da una siffatta impostazione, che pare piuttosto trovare un giusto compromesso tra la valorizzazione della competenza professionale del sanitario ed il carattere essenzialmente morale delle decisioni

terapeutiche nel fine vita. 204 Art.21, comma 1.

Il secondo passaggio meritevole di menzione riguarda il contenuto e la portata applicativa delle DAT, riguardo alle quali si segnala innanzitutto l’estensione a tutte le scelte terapeutiche, i trattamenti sanitari (comprese quindi le pratiche di NIA) e le preferenze del paziente circa cura ed accudimento durante la malattia, restando invece escluse, e quindi non rifiutabili le “misure di assistenza e accudimento indispensabili alla tutela della dignità della persona”206. Infine, nell’intento di delineare le

DAT come uno strumento multifunzione207, rivolto quindi non solo a dettare specifiche disposizioni per situazioni e terapie individuate, si prevede che il disponente possa, al loro interno, “esprimere le proprie convinzioni, credenze, inclinazioni circa la relazione con la malattia e la fine della vita, secondo la propria concezione di sé e dell'esistenza, perché ad esse si adegui il trattamento e l'assistenza”.

Il terzo profilo sotto il quale si apprezza l’equilibrio ricercato dal Ddl in analisi riguarda il ruolo del soggetto fiduciario. Partendo dal dato di fatto, riscontrato anche in quei paesi che già da tempo si sono muniti di una legge sulle DAT, per cui la redazione di living wills, specie fuori da contesti di patologia terminale conclamata, avviene in un numero risibile

206 Art 19, comma 3 che cita, a titolo di esempio “ la pulizia e la prevenzione e cura delle piaghe. La disposizione in questione ha la funzione di sottolineare come il valore della dignità sia ineludibile e rappresenti il parametro cui il testo deve necessariamente essere orientato, ragione per cui scelte che risultino degradanti per la dignità dell’individuo non sono ammesse, nemmeno se autodeterminate

all’interno delle DAT.

207 Sul tema della necessità di un consenso multilivello (cui si accompagnano livelli differenti di vincolatività) valgono le considerazioni già svolte in altra parte del presente lavoro ed il rinvio alle già citate opere di P.ZATTI, cui si deve il merito della illuminante nota a commento della proposta normativa.

di casi, si comprende come tale ruolo sia spesso assolutamente centrale e in ogni caso pressoché imprescindibile. Nel Ddl Manconi, diversamente da quanto osservato con riferimento alla proposta del 2009, pare potersi dire rispettata la struttura duale dell’alleanza terapeutica. L’obiettivo perseguito è infatti quello di scongiurare lo scenario in cui l’assenza di voce del malato si traduce in una incondizionata soggezione del suo corpo a scelte altrui, alle quali non hanno accesso istanze personalistiche, e che per ciò stesso difficilmente potranno mai tendere al rispetto delle sue (pregresse) volontà. Al soggetto fiduciario verrebbero quindi attribuiti, oltre ad incisivi poteri nel contraddittorio con il personale medico, anche funzioni di interpretazione delle volontà in qualunque modo espressa, contribuendo così al racconto della personalità dell’incapace208.

Il giudizio complessivamente positivo che pare di potersi assegnare alla proposta appena esaminata non è però stato accompagnato da migliori fortune rispetto al Ddl Calabrò, confermando piuttosto le difficoltà del nostro paese ad approcciarsi in maniera serena ad un dibattito in materie eticamente connotate. Duole constatare come, ad 208 Allineandosi alla soluzione elaborata dalla Cassazione nella sentenza 21748/2007,

nel Ddl Manconi si legge infatti che “chiunque assista la persona [...] non in grado di autodeterminarsi deve comunque assicurare alla persona il pieno rispetto di quanto caratterizza la sua identità e a tal fine deve tenere nella massima considerazione, ai fini delle decisioni terapeutiche, ogni dichiarazione,

manifestazione o condotta di cui si abbia certa conoscenza, che indichi in modo inequivoco le convinzioni e preferenze della persona stessa con riguardo al trattamento medico nella fase finale della sua esistenza”.

oggi, perduri il silenzio del legislatore, e che tale inerzia lasci presagire con tutta probabilità analoga sorte anche per quanto riguarda l’ultima proposta avanzata in tema di eutanasia. E’ infatti del gennaio 2016 la notizia dell’intesa della conferenza dei capigruppo della Camera circa la calendarizzazione della proposta di legge di iniziativa popolare promossa dall’associazione Luca Coscioni, prevista per marzo dello stesso anno. Al momento in cui si scrive, oltre sei mesi dopo quella data, nulla di nuovo sembra rilevarsi nel dibattito pubblico in materia209.

209 La proposta dell’associazione Luca Coscioni, annunciata nella Gazzetta Ufficiale del 22 dicembre 2012 n. 298, mira alla esplicita legalizzazione dell’eutanasia, anche nella sua fattispecie attiva, e si caratterizza per l’essenzialità della sua formulazione. Dal punto di vista sostanziale, ripropone buona parte delle soluzioni adottate dalla legge olandese del 2001, rispetto alla quale tuttavia non presenta analoga

elaborazione e codificazione dei cd criteri di adeguatezza. Altrettanto scarna pare essere la parte del testo dedicata alla questione delle DAT. La proposta in questione esula probabilmente dal contesto di riferimento del presente lavoro, collocandosi in tutta evidenza tra quelle posizioni apertamente favorevoli a forme di eutanasia anche attiva. Per quanto, come si è già tentato di argomentare in altre parti della trattazione, tali posizioni non siano precluse a priori dal quadro costituzionale, è parso più opportuno limitarsi all’esposizione dei due precedenti Ddl, in ragione del loro maggior peso in seno al dibattito dottrinario, quantomeno nazionale, e quantomeno in attesa di nuovi sviluppi.

CAPITOLO SESTO

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 132-137)