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L’argomento civilistico: l’irrilevanza dell’art 5 del codice

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 48-53)

IL DIRITTO ALLA SALUTE

2. Il dovere di vivere

2.1 L’argomento civilistico: l’irrilevanza dell’art 5 del codice

civile

Altri tipi di argomenti da cui la dottrina in questione è solita far discendere l’indisponibilità del bene vita, sono da ricercarsi nella legislazione ordinaria, con riferimento sia alla branca privatistica che penalistica.

Per quanto riguarda la disciplina civilistica che si ritiene applicabile alla tematica del fine vita, la dottrina in analisi è solita invocare la norma espressa dall’articolo 5 del codice civile, in ragione della quale sono vietati gli atti di disposizione del proprio corpo qualora questi “cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”.

Effettivamente pare difficile negare come, prima facie, l’articolo in questione possa rappresentare un valido parametro normativo nelle

faccende inerenti al fine-vita e più in particolare al rifiuto delle terapie. Tuttavia, questa impressione è destinata ad essere fugata laddove si prendano in considerazione alcuni aspetti che ne inficiano la capacità di limitare il libero esercizio del diritto dell’individuo all’autodeterminazione.

La prima critica che si può muovere all’utilizzo di una norma codicistica quale unità di misura di un diritto costituzionale è la sua patente violazione del principio gerarchico. Non pare invero in nessun modo accettabile una compressione di un diritto costituzionalmente sancito, al quale, alla fine di percorsi più o meno articolati, e come si è già avuto modo di illustrare nelle pagine che precedono, dottrina e giurisprudenza concordano nell’attribuire immediata precettività81, ad opera di una norma gerarchicamente subordinata, come nel caso del codice civile.82

Proseguendo, un secondo appunto ancora di carattere del tutto oggettivo, è quello che rileva l’antecedenza cronologica dell’art. 5 c.c. rispetto alla Carta Costituzionale. Viene quindi in soccorso il secondo dei tre criteri fondamentali di soluzione delle antinomie previsti dal nostro ordinamento, secondo il quale lex posterior derogat priori. A fronte del dato di fatto, sembrano difficilmente sostenibili anche le diverse varianti interpretative ed argomentative che si è tentato di percorrere. Una su tutte 81 Si vedano le note 65 e 66 del presente lavoro

82 Sul punto, ex multis, G.M.FLICK, Dovere di vivere, diritto di morire, oppure…?, cit., p.12, secondo il quale, appunto, “è appena il caso di sottolineare come l’art. 5 c.c. (…) vada interpretato alla stregua della Costituzione e non viceversa.”

pare dover essere qui contestata: quella secondo la quale il disposto dell’articolo 5 sarebbe da utilizzarsi quale disposizione ermeneutica, nella funzione di guida nella specificazione su di un piano concreto di una norma che, come sempre avviene per quelle costituzionali, in ragione della sua apertura semantica, abbisogna necessariamente di una trasposizione da principio a regola83. Non si può infatti tacere l’incongruenza logica insita nella pretesa di definire con uno strumento di oltre cinque anni precedente, le reali intenzioni del legislatore successivo, ed in assenza peraltro di qualsiasi menzione del secondo nei confronti del primo.84

Spostandosi adesso verso il piano contenutistico pare doversi rilevare come ormai ampia dottrina convenga sul fatto che la ratio e le finalità dell’art. 5 c.c. esulino dalla materia delle decisioni inerenti il fine-vita85.

83 Per una breve ma incisiva analisi del rapporto tra valori e regole, nonché sulla sconsigliabile tendenza attuale del dibattito soprattutto bioetico, a far precedere la riflessione sulle seconde rispetto a quella sui primi, si veda G.M. FLICK, op. ult cit, p.6 e ss.

84 Sulla doppia critica di questa interpretazione, tanto contenutistica quanto fondata sui principi gerarchico e cronologico, F. PIZZETTI, Diritto di morire?

Considerazioni sui principali profili del quadro costituzionale tracciato dalla Corte di Cassazione nella decisione sul “caso Englaro”, in S.BOCCAGNA (a cura di) Diritto di morire, decisioni senza legge, leggi sulla decisione, DIKE, Roma, 2014,

p. 32-33.

85 Il più grosso equivoco di fondo infatti è che non si tiene nella dovuta

considerazione il fatto che l’articolo 5 c.c. fosse stato concepito per regolare alcune fattispecie tipiche che, come autorevoli autori riferiscono, consistevano nel contratto di baliatico, in quello di circo, nonché le trasfusioni di sangue e i trapianti di organi e tessuti. Così A. SANTOSUOSSO, Situazioni giuridiche critiche nel

rapporto medico-paziente: una ricostruzione giuridica, in Politica del diritto, 1990,

Questa dissonanza è ben percepibile almeno sotto due distinti aspetti. In primo luogo si deve ravvisare come la ratio dell’art. 5 riposi sull’intenzione del legislatore di vietare al titolare atti di mercimonio del proprio corpo, in special maniera laddove da questi derivasse una menomazione irreversibile della propria piena funzionalità fisica. In altre parole, l’articolo in commento trova il proprio ambito di operatività ogniqualvolta gli atti dispositivi del proprio corpo non si esauriscano all’interno della sfera individuale, ed esulino dalla motivazione esclusiva della gestione della propria integrità psico-fisica, così come questa è percepita dall’individuo86. Ne sono testimonianza, a contrario, tutti quei casi in cui al soggetto è consentito a vario titolo di compiere atti di disposizione del proprio corpo in assenza di finalità lucrative, mentre sono comprensibilmente punite tutte quelle condotte in cui il soggetto trae profitto dall’utilizzo del proprio corpo, o di parti di esso, a beneficio di terzi o per finalità altre da quella già spiegata87. Del resto la stessa occasio legis della norma in questione è stata oggetto di ampio dibattito, ed è ricondotta ad un celebre caso della cui decisione fu investita la Corte di Cassazione negli anni ‘30, vertente sulla valutazione, secondo canoni di liceità, di una compravendita di una ghiandola sessuale maschile tra un

86 In tal senso A. MORACE PINELLI, Libertà di curarsi e rilevanza delle decisioni di

fine vita, cit., pp. 40-41;

87 Si porta l’esempio degli atti autolesionistici a cui si ricorre(va) per sottrarsi agli obblighi di leva, oppure danni auto-inflitti al proprio corpo per riscuotere un premio assicurativo R.ROMBOLI, La libertà di disporre del proprio corpo, cit., pp. 247- 248

giovane studente ed un facoltoso anziano88. In secondo luogo, risulta oramai del tutto pacifico come l’articolo in questione non possa in alcun modo utilizzarsi proficuamente in tutte quelle occasioni in cui gli effetti degli atti dispositivi si esauriscono all’interno della sfera del titolare. Andrebbero quindi in ogni caso esenti dall’applicazione dell’art.5 tutte le ipotesi di condotte omissive (tra le quali rientra senza dubbio il rifiuto delle cure) nonché le condotte attive manu propria, residuando solamente, per la materia che qui si tratta, l’ipotesi riconducibile all’eutanasia attiva consensuale, peraltro già disciplinata in maniera ben più incisiva da altre norme.

Pare, in definitiva, doversi escludere la possibilità di operare un ribaltamento della gerarchia tanto delle fonti, quanto dell’assiologia della materia, talché deve concludersi per una irrilevanza dell’articolo 5 del codice civile nel quadro della disciplina delle decisione di fine vita.

88 R. ROMBOLI, op. ult. cit, pp. 315-316 il quale illustra le ragioni per cui, ad oggi, sarebbe inaccettabile una simile pronuncia. Del resto, già all’epoca la sentenza sollevò notevoli polemiche, come testimoniano le aspre critiche di G. ARANGIO RUIZ nella nota alla sentenza Cass. Pen. 31 gennaio 1934, in Foro It, 1934, II, pp. 146 ss., “Contro l’innesto Voronoff da uomo a uomo”. Nel caso di specie, infatti la Cassazione si pronunciò per l’assoluzione degli imputati, sulla base della

scriminante del consenso dell’avente diritto. I giudici nell’occasione giudicarono che la compravendita, non danneggiando irreparabilmente il donatore, e

beneficiando largamente il ricevente aveva in definitiva prodotto un risultato vantaggioso per la collettività.

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 48-53)