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I requisiti di validità del consenso e la pluralità dei suo

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 87-93)

IL VALORE DEL CONSENSO ALL’INTERNO DELLA RELAZIONE DI CURA

2. I requisiti di validità del consenso e la pluralità dei suo

modelli

Nell’affrontare il tema dei requisiti prescritti affinché il consenso possa considerarsi validamente prestato, pare sin d’ora opportuno avanzare, in via di premessa, l’osservazione per cui non è possibile, pena la mortificazione dello stesso diritto che ne sta alla base, predeterminare un unico standard qualitativo del consenso universalmente valido per tutte le condizioni cliniche143. Non pare infatti possibile esimersi dal sottolineare come una compiuta valorizzazione del principio del

142 Sulla natura morale del consenso, ancora, C. CASONATO, op.ult.cit.;

M.GENSABELLA, Prendersi cura del malato terminale: tempi e modi del com-

patire, Contributo al convegno: Nuove strategie terapeutiche e qualità di vita in oncologia: dalla clinica alla bioetica. Messina 9-10 marzo 2001, in www.unime.it

Del resto pare piuttosto chiaro anche il tenore dello stesso codice deontologico (art 35), a norma del quale “il medico non intraprende né prosegue in procedure diagnostiche e/o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato”

143 In questo senso, su tutti, P.ZATTI, Consistenza e fragilità dello ius quo utimur in

consenso informato debba far sì che la raccolta dello stesso segua modelli differenti e flessibili, da calibrarsi con riferimento al caso concreto. Si avverte infatti una duplice esigenza: da un lato superare il modello “modulistico” del consenso, sicuramente prezioso per quanto riguarda la routine della medicina “di massa”, ma incapace di cogliere la drammaticità delle situazioni di chi si trova a vivere “tra le ombre della morte”144, fornendo quindi uno standard inferiore all’auspicabile; dall’altro saper proficuamente regolare quell’universo di situazioni accomunate dall’impossibilità per il paziente di esprimere un consenso pieno, poiché si versa in una condizione di materiale impossibilità a compiere uno o più dei requisiti di validità prescritti dalla legge, e riguardo alle quali si corre il serio rischio, richiedendo stavolta uno standard troppo elevato, di annullare alla radice il diritto all’autodeterminazione terapeutica.

Pare quindi opportuno, per ragioni espositive, soffermarsi inizialmente sull’analisi dei requisiti di validità prescritti per il consenso del paziente competente, e successivamente valutare in che misura questi possano soddisfare le esigenze evidenziate dalla prima delle due direttrici appena illustrate, riservando invece separata trattazione alla seconda, all’interno dell’ampia tematica delle disposizioni anticipate di trattamento.

144 l’espressione è presa dall’intervento del Dr. G. ROCCO in chiusura al convegno

Rifiuto di cure e direttive anticipate. Diritto vigente e prospettive di

regolamentazione, Università di Genova, 23 maggio 2011. Le parole dell’autore ben

esprimono la situazione depressiva che spesso accompagna la terminalità, con i connessi rischi di inquinamento della qualità del dissenso.

Analizzando allora la forma archetipa del consenso (o del dissenso), ossia quella prestata da individuo compos sui, si può osservare come questa sia essenzialmente mutuata dal modello civilistico, presentando i requisiti efficacemente compendiati dalla Cassazione in occasione della sentenza Englaro, e riassumibili nei caratteri di:

(i) specificità: il primo criterio menzionato vale a stabilire un riferimento inequivoco tra il consenso prestato e lo specifico trattamento terapeutico a cui il paziente accetta (o rifiuta) di sottoporsi. Logico corollario della specificità non può che essere l’informazione, dovendosi a tal proposito conciliare il processo di determinazione autonoma con la situazione di disordine emotivo del paziente. Si impone, in sostanza, che al paziente siano rappresentate, in una maniera oggettivamente e soggettivamente chiara e comprensibile, tutte le implicazioni del trattamento. Con riferimento all’ampiezza dell’oggetto dell’informazione, legge e giurisprudenza continuano a tracciare un perimetro variabile, potendosi probabilmente individuare il momento di massima estensione del dovere medico di informazione quello raggiunto con la l.40/2004 in materia di PMA, implicante anche profili etici ed economici. Ad ogni modo si deve ritenere che vi sia ormai unanimità di vedute per quanto riguarda il contenuto essenziale dell’informazione, coincidente con la sincera esposizione dei rischi e dei benefici derivanti dal trattamento, avendo riguardo anche alle indicazioni fornite dal paziente riguardo alla sua percezione della “qualità della vita” attesa, cui

deve necessariamente accompagnarsi l’illustrazione di tutte le possibili alternative terapeutiche145;

(ii) libertà e spontaneità: il consenso espresso dal paziente deve essere frutto di un processo di riflessione non viziata da errore o da dolo, venendo quindi in considerazione l’esigenza di proteggere il malato da tutti i possibili condizionamenti esterni (ivi compresi quelli provenienti dagli stessi sanitari), ed assicurando invece che la scelta da lui comunicata al medico sia la coerente manifestazione del suo più intimo convincimento, formatosi sulla base di informazioni fornitegli in maniera oggettiva e non suggestiva146;

(iii) competenza: il consenso deve essere espresso da soggetto capace di intendere e di volere, dovendosi sostanziare in una manifestazione di volontà che sia attendibile ed attuale. E’ il caso di sottolineare come per la dottrina maggioritaria147 si possa prescindere dalla capacità di agire ex art 2 c.c, dovendosi piuttosto operare una valutazione riferita al caso concreto, atta a valutare la capacità naturale del malato di comprendere le conseguenze del consenso (o dissenso) prestato;

145 Sembra in questo modo essere stato fedelmente recepito lo spirito che ha animato la Convenzione di Oviedo, così come emerge nel più dettagliato ed illuminante Explanatory Report. Con riferimento alla stesura dell’art.5 della medesima Convenzione si legge infatti come “ this information must be sufficiently clear and

suitably worded for the person who is to undergo the intervention. The patient must be put in a position, through the use of terms he or she can understand, to weigh up the necessity or usefulness of the aim and methods of the intervention against its risks and the discomfort or pain it will cause”

146 Si legge ancora nel Rapporto Esplicativo come il consenso del paziente “is

considered to be free and informed if it is given on the basis of objective

information from the responsible health care professional as to the nature and the potential consequences of the planned intervention or of its alternatives, in the absence of any pressure from anyone”

(iv) revocabilità: il consenso prestato deve essere sempre revocabile da parte di chi lo ha prestato.

Si comprende ora come lo standard qualitativo del consenso così come appena tracciato necessiti probabilmente di essere implementato, con riferimento alle ipotesi di terminalità, mediante politiche che sappiano fondarsi su un approccio più globale alle esigenze del malato, così da conciliare le due direttrici (forse solo in apparenza contrapposte) di promuovere la solidarietà e di tutelare le scelte personali del paziente. Pare infatti che, nelle ipotesi in questione, il consenso di tipo modulistico comporti il duplice svantaggio di una “burocratizzazione del capezzale” e di una mortificazione dell’idea di “governo del corpo”. Sottolinea giustamente Paolo Zatti come nelle ipotesi più gravi di trattamento medico, una simile forma di raccolta del consenso possa tradursi in una “istigazione alla finzione giuridica della consensualità”148. Ecco allora che la dottrina si trova a rivolgere un appello al legislatore, al fine di disciplinare il momento della raccolta del consenso nella maniera più accurata ed allo stesso tempo più umana possibile: gli strumenti in questo senso passano quasi tutti attraverso il coinvolgimento di professionisti sanitari che siano in grado di “distillare” la volontà manifestata dal paziente, il quale comprensibilmente potrà trovarsi a versare in severi stati depressivi, come spesso avviene nei soggetti che avvertono 148 P.ZATTI, Consistenza e fragilità dello ius quo utimur in materia di relazione di

l’imminenza della morte. Da questo punto di vista allora il supporto di personale qualificato in grado di isolare il paziente dai condizionamenti esterni (si pensi anche solo alla sofferenza che in questi casi il malato vive in maniera riflessa da parte dei suoi cari) e dalle fasi acute della propria malattia dell’animo, valutando infine la sua effettiva capacità naturale di intendere la portata delle proprie decisioni.

Parallelamente anche il criterio della revocabilità del consenso deve incontrare una ulteriore garanzia nella procedimentalizzazione della manifestazione dello stesso, prevedendo una soluzione forzata della continuità tra la decisione e l’esecuzione, fornendo così un ragionevole lasso di tempo per un eventuale ravvedimento del malato.

Tanto il supporto psicologico al malato, quanto la previsione di tempi di riflessione forzata, risultano peraltro essere strumenti già largamente utilizzati ed osservabili nelle normative dei paesi che ammettono più pacificamente il rifiuto delle cure salvavita o che addirittura prevedono la possibilità di ricorrere a forme attive di eutanasia149, rappresentando un tema di riflessione a cui la dottrina, specie quella maggioritaria orientata ad ammettere la libertà di morire, deve necessariamente rivolgere la propria attenzione.

149 Si vedano, su tutte, le articolate procedure previste dalla normativa belga e olandese per quanto riguarda l’ eutanasia attiva.

CAPITOLO QUARTO

I CASI CHE HANNO SEGNATO IL DIBATTITO

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 87-93)