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Il rifiuto delle cure da parte di paziente competente: il caso d

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 93-101)

I CASI CHE HANNO SEGNATO IL DIBATTITO ITALIANO, LE RELATIVE PECULIARITA’ E

1. Il rifiuto delle cure da parte di paziente competente: il caso d

Piergiorgio Welby

Tra i casi che hanno maggiormente segnato il dibattito nazionale non si può non segnalare la drammatica vicenda umana e giudiziaria che ha visto come protagonista Piergiorgio Welby, un paziente affetto da una gravissima ed incurabile forma di distrofia scapolo-omerale che lo ha costretto ad assistere ad un inesorabile decorso lungo oltre quarant’anni, durante i quali la malattia lo ha progressivamente privato di qualsiasi funzione motoria, eccezion fatta per la capacità di una seppur difficoltosa comunicazione attraverso i movimenti dei bulbi oculari e del battito delle palpebre. La vicenda giudiziaria inizia invece nel 1997, quando a seguito di una crisi respiratoria acuta, Welby veniva ricoverato d’urgenza ed in stato di incoscienza su richiesta della moglie, che non se l’era sentita, in quel drammatico e concitato frangente, di assecondare la volontà già espressa in passato dal marito di non essere in nessun caso rianimato150.

A seguito della rianimazione Welby riacquista coscienza, ed è in questo stato che viene sottoposto in via definitiva a respirazione assistita e NIA. L’inizio della vicenda giudiziaria è appunto segnato dal rifiuto cosciente e consapevole alle suddette terapie opposto dallo stesso Welby. A tale rifiuto ha fatto seguito quello, in senso opposto, della struttura ospedaliera curante, e da qui la decisione del paziente di intraprendere un’azione legale ex artt. 699ter e 700 c.p.c. per ottenere l’interruzione, previa sedazione terminale, della somministrazione della terapia cui era sottoposto contro la propria volontà151.

Il Tribunale di Roma, investito della questione, con ordinanza del 16 dicembre 2006 dichiarò tuttavia inammissibile la richiesta, sulla base di argomentazioni manifestamente contraddittorie, come del resto segnalato da ampia ed autorevole dottrina152. L'ordinanza, infatti, dopo avere ribadito l’assoluta rilevanza costituzionale dei diritti e delle libertà invocate dal ricorrente, conclude comunque che questi non sono concretamente tutelabili per mancanza di una specifica disciplina normativa di attuazione.

151 E’ stato in questo momento che si è toccato forse il momento di massima rilevanza umana, sociale e politica della vicenda, con il denso scambio epistolare tra lo stesso Piergiorgio Welby e l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Alle drammatiche parole del primo, testimonianza di lucidissima e ragionata

consapevolezza a fronte di altrettanto acuta sofferenza, segue l’esortazione del Presidente, rivolta agli organi politici competenti, ad una “non frettolosa riflessione su situazioni e temi, di particolare complessità sul piano etico, che richiedono un confronto sensibile e approfondito, qualunque possa essere in definitiva la conclusione approvata dai più” ammonendo saggiamente come “il solo

atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio, la sospensione o l’elusione di ogni responsabile chiarimento”

152 Su tutti, A. SANTOSUOSSO, La volontà oltre la coscienza: la Cassazione e lo

Come già si è avuto modo di sottolineare in altra parte del presente lavoro, l’ingiustificabile errore interpretativo ed argomentativo del Tribunale è stato quello di collocare la Costituzione (non al vertice, ma) al di fuori del sistema delle fonti, alla stregua di norme platoniche, buone per la morale ma forse non per il “diritto di tutti i giorni”, in tal modo, peraltro, uscendo dal cammino chiaramente tracciato da dottrina e giurisprudenza che riconoscono, laddove necessario, carattere immediatamente precettivo alla norma costituzionale153, e trincerandosi dietro un inammissibile non liquet154.

Attorno al nucleo rappresentato dall’impostazione appena esposta, il Tribunale sviluppa una serie di altre motivazioni altrettanto discutibili.

In primo luogo negava la copertura del secondo comma del 32 Cost. con riferimento agli specifici presìdi di cui il ricorrente richiedeva l’interruzione. Secondo il giudice, infatti, le terapie di sostentamento vitale, tra le quali rientrano a pieno titolo la ventilazione assistita e la nutrizione ed idratazione artificiale, non costituivano trattamento medico, e come tali prescindevano dal consenso informato del paziente ai fini della loro somministrazione, non configurandosi ipotesi di accanimento terapeutico. Tuttavia, sul punto, la giurisprudenza successiva si è 153 Cass. Sent. 17461/2006. Concorde con tale qualificazione dell'art 32 nel senso di un diritto soggettivo assoluto immediatamente giustiziabile, tra gli altri, G.M. FLICK,

Dovere di vivere, diritto di morire, oppure....?, cit., p. 14 ss. Guardando invece più

indietro nel tempo, danno conto dell’evoluzione in questo senso del diritto in questione Corte Cost. Sentt 45/1965; 88/1979; 212/1983; 167/1986; 184/1986; 559/1987; 307/1990; 455/1990; 202/1991; 356/1991; 218/1994; 118/1996; 399/1996

154 A. PIZZORUSSO, Il caso Welby: il divieto di non liquet, in Quaderni

definitivamente allineata alla posizione della dottrina maggioritaria, che riconduce senza particolari esitazioni le tecniche di sostentamento vitale al più ampio concetto di “trattamento sanitario”, considerandole quindi ricadenti sotto l’ombrello del 32 Cost. per quanto riguarda la loro imprescindibile volontarietà. Tale soluzione si giustifica sulla base tanto di criteri scientifici quanto giuridici, rientrando tra i primi la loro applicazione e successiva supervisione da parte di personale medico, e tra i secondi l’invasione della sfera personale dell’individuo155.

In secondo luogo, si richiama la teoria dell’indisponibilità del bene vita: se questa teoria rimane una posizione rispettabile ed entro certi precisi confini del tutto condivisibile, quello che indebolisce irrimediabilmente l’impianto argomentativo è il ricorso agli articoli 5 c.c., nonché 575, 576, 577, 579, 580 c.p., riguardo ai quali già si è dedicata opportuna trattazione nel presente lavoro, ritenendo pertanto in questo momento sufficiente limitarsi a ribadire la posizione della dottrina assolutamente maggioritaria, che nega in radice l’applicabilità degli articoli appena menzionati ai casi di sospensione delle terapie (ancorché salvavita) su richiesta dello stesso paziente competente, per le evidenti ragioni di rispetto della gerarchia sia delle fonti che assiologica, oltre che al criterio temporale di soluzione di conflitti tra norme ed alla non

155 Sul punto C. CASONATO, Il malato preso sul serio: consenso e rifiuto delle cure

riconducibilità della fattispecie in questione alla ratio sottesa alle norme codicistiche richiamate156.

L’appello di Welby, respinto dal tribunale, viene successivamente accolto dal dr. Riccio, medico anestesista che accetta di dare esecuzione alla volontà del malato. Alla presenza di testimoni, tra cui anche diversi parlamentari e membri di associazioni impegnate sul tema dell’eutanasia, il medico pone fine all’esistenza di Welby, procedendo a sedazione terminale e successivamente al distacco del macchinario che lo teneva in vita.

Sulla condotta del dr. Riccio avranno modo di pronunciarsi dapprima la Commissione disciplinare dell’Ordine dei medici di Cremona, che disporrà all’unanimità l’archiviazione del procedimento disciplinare a suo carico, ed in seguito anche il Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di Roma il quale, svolte le indagini, formulava richiesta di archiviazione della posizione del medico, dal momento che la sua condotta non integrava ipotesi di reato, essendosi lo stesso limitato a dare esecuzione alla richiesta attuale, esplicita, consapevole, personale ed informata del paziente che aveva in cura, nell’esercizio di un diritto riconosciuto e pienamente tutelato dall’ordinamento.

Tuttavia, il G.i.p. dello stesso tribunale riteneva ugualmente di dover disporre, a carico del Pubblico Ministero, ex art. 409 c.p.p, la

156 Fortemente critica sull’intero impianto argomentativo della sentenza, tra le molte, l’autorevole voce di A. SANTOSUOSSO, La volontà oltre la coscienza: la

formulazione di imputazione coatta del dr. Riccio per il reato di omicidio del consenziente. La conclusione della vicenda giudiziaria si avrà solo con la successiva decisione del G.u.p. cui era stata rimessa la causa, il quale dichiarava il non luogo a procedere nei confronti dell’imputato, non punibile del reato di cui all’art 579 c.p. in ragione del ricorrere dell’esimente dell’adempimento di un dovere157.

Ecco allora che, neppur troppo implicitamente, questa ultima pronuncia del G.u.p. ristabilisce il corretto ordine delle cose e la coerenza interna del sistema, conferendo la assoluta precedenza all’esercizio di un diritto fondamentale dell’individuo, quale quello alla libera autodeterminazione in ambito terapeutico, risolvendo quindi il paradosso che vedeva l’ordinamento da un lato riconoscere un diritto, e dall’altro impedirne, sotto minaccia di sanzione penale, l’esercizio ad una determinata categoria di titolari.

Allo stesso tempo, corre l’obbligo di sottolineare la assoluta rilevanza della pronuncia del G.u.p. per quanto riguarda una più esatta definizione e delimitazione del ruolo di garanzia di cui l’ordinamento investe il medico, giungendosi ad affermare come questa funzione sia attribuita al sanitario nell’esclusivo interesse del paziente, ed a testimonianza di ciò vi è il fatto che la configurazione dell’adempimento di un dovere del primo sia funzionale all’esercizio di un diritto (fondamentale) del secondo. 157 Un’attenta ricostruzione della vicenda Welby dalla prospettiva (anche) del medico e

della sua posizione di garanzia si deve a C. CUPELLI, I diritti del paziente e i

doveri del medico nelle ‘scelte di fine vita’, in Forum di Quaderni Costituzionali, 4

Infine, della pronuncia in questione deve evidenziarsi come una volta di più si rivolga l’invito al legislatore affinché si possa giungere ad una normazione della materia, proteggendo quell’alleanza terapeutica, assunta dall’ordinamento come cardine nell’erogazione dei servizi sanitari (specie laddove abbiano ad oggetto condizioni cliniche eticamente connotate), dall’aleatorietà intrinsecamente connessa alla soluzione offerta discrezionalmente dal giudice158.

2. ...e quello di Giovanni Nuvoli

Per molti versi affine alla vicenda appena esaminata è quella che vede protagonista Giovanni Nuvoli. Anch’egli malato di SLA ed anch’egli, nella fase terminale della sua malattia, incapace di comunicare con l’esterno se non grazie al battito delle palpebre. Analogamente al caso romano, anche la vicenda di Nuvoli, svoltasi nella provincia di Sassari, ha visto un complesso iter giudiziario percorso dal malato per ottenere l’esecuzione delle proprie volontà in relazione alle terapie cui era forzatamente sottoposto. Nuvoli, infatti, attraverso la persona del dr. Ciaccia, medico anestesista appartenente all’associazione Luca Coscioni, aveva comunicato alla Procura della Repubblica di Sassari la sua volontà di interrompere la somministrazione delle terapie di sostentamento vitale, 158 M. AZZALINI, Il rifiuto di cure. riflessioni a margine del caso Welby, in Nuova

interruzione alla quale avrebbe provveduto lo stesso anestesista. Nel frattempo si era anche compiuto un delicato procedimento medico per l’accertamento della piena capacità di discernimento del paziente, al quale un collegio di medici nominati ad hoc aveva dato risposta affermativa159. Sul piano giudiziario, invece, il diniego della Procura alla richiesta del medico ha di fatto impedito che questi potesse dare esecuzione alla volontà del paziente, anche e soprattutto per i rischi di imputazione appresi dal caso Welby. La vicenda di Nuvoli si concluderà poi nella maniera più drammatica possibile, con il malato che, non potendo procedere al distacco del respiratore, si lascerà morire di inedia160.

Ancora una volta, è appena il caso di sottolineare quanto le vicende umane di questi due cittadini abbiano probabilmente scontato colpe altrui, prima su tutte quella di un legislatore che a tutt’oggi si ostina nel suo perdurante silenzio. Non è infatti difficile scorgere, nelle posizioni assunte dai due tribunali, una prudenza forse eccessiva, ma sicuramente motivata dall’incertezza derivante dal vuoto legislativo, che sicuramente induce chi deve pronunciarsi prima che il “danno” sia compiuto, a

159 La piena capacità di intendere e di volere era confermata successivamente anche dal Tribunale di Sassari: il Giudice tutelare infatti ha riconosciuto nel caso di specie l’inutilità della nomina dell’amministratore di sostegno, dal momento che il soggetto conservava integre le facoltà di discernimento, e ritenendo allo stesso tempo il dispositivo di comunicazione di cui si serviva il paziente del tutto idoneo ad esternarne la volontà, superando così l’ostacolo rappresentato dall’impossibilità di una comunicazione scritta o verbale.

160 La drammatica vicenda è ripercorsa da FERRATO, Il rifiuto di cure e la

responsabilità del sanitario: il caso Nuvoli, in Responsabilità civile e previdenza,

posizioni estremamente conservatrici, quando non ad eludere apertamente la questione161.

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 93-101)