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Il ddl Calabrò: un’occasione mancata

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 126-132)

LA PIANIFICAZIONE ANTICIPATA DELLE CURE

2. L’inadeguata risposta del legislatore

2.1 Il ddl Calabrò: un’occasione mancata

Contrariamente a quanto sarebbe stato auspicabile, il legislatore ha invece rifiutato la possibilità di inserirsi, col proprio operato, nel solco delle più recenti elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali.

Il caso Englaro ha sì rappresentato l’occasio legis per un Ddl sul testamento biologico, ma si è purtroppo dimostrato essere una calzante applicazione di una massima ben conosciuta nella cultura giuridica e politica nordamericana, secondo la quale hard cases make bad law.

192 L’assenza di un qualsiasi tipo di proficua interazione tra i diversi formanti del diritto rappresenta uno dei principali motivi di interesse nell’osservazione dell’esperienza olandese cui si dedica, più avanti nel lavoro, opportuna trattazione.

Sull’onda, anche emotiva, di quanto discusso dentro e fuori dal parlamento negli ultimi giorni di vita di Eluana, in Senato è stato presentato un disegno di legge recante “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”193.

Come anticipato, è apparso tuttavia immediatamente evidente quanto l’impostazione di fondo del testo in parola abbia deliberatamente voluto segnare una manifesta discontinuità con il percorso dottrinale e

soprattutto giurisprudenziale degli anni precedenti194.

Sebbene infatti la premessa metodologica dell’art. 1 riconduca al combinato disposto degli artt. 2, 13 e 32 Cost., il successivo sviluppo dell’articolato del Ddl percorre direzioni ben diverse, con il poco raccomandabile intento di sconfessare l’opera della giurisprudenza, anche costituzionale, di definizione contenutistica dei diritti coinvolti nelle scelte di fine vita.

Lo spazio operativo riservato al parlamento, con lo strumento della legge ordinaria, non era certo quello della definizione dei contenuti sostanziali del diritto alla salute e di quello all’autodeterminazione del paziente, quanto piuttosto quello di una normativa più puntuale di alcune fattispecie specifiche, così da aiutare al superamento di quel pericoloso 193 Dell’inopportunità di tempi e modi della scelta del legislatore dà conto S.

AGOSTA, Note di metodo al disegno di legge in materia di dichiarazioni

anticipate di trattamento (tra molteplici conclusioni destruens ed almeno una proposta costruens) in www.associazionedeicostituzionalisti.it

194 A.CORDIANO, Il disegno di legge sul testamento biologico: l’autodeterminazione

mancata e alcune antinomie sistematiche, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 9/2009, pp. 411-428

clima di incertezza circa la portata, anche penale, di determinate condotte.

La scelta del legislatore di investire con la propria opera aspetti sostanziali dei già citati diritti fondamentali ha quindi suscitato non poche perplessità, facendo dubitare diversi autori sulla stessa utilità di un simile intervento195.

In particolare, destano un certo sconforto alcune disposizioni che, di fatto, rischierebbero di far compiere al sistema significativi passi indietro sul piano della certezza del diritto.

In primo luogo il richiamo, seppur non espresso, all’articolo 1 della Convenzione di Oviedo pare del tutto fuorviante, dal momento che risultano essere diametralmente opposti tanto il terreno valoriale su cui si fondano i due testi, quanto i rispettivi intenti196.

In secondo luogo, ancora una volta si è persa l’occasione di fare chiarezza tra le diverse possibili condotte che si attuano in contesti terapeutici di terminalità: il divieto assoluto di ogni forma di eutanasia ed assistenza a suicidio operato mediante richiamo della normativa

penalistica (artt. 575, 579, 580 c.p.) non aiuta certo a segnare quella

195 S.AGOSTA, Note di metodo al disegno di legge in materia di dichiarazioni

anticipate di trattamento, cit.; in un certo senso ancor più netta la posizione di

L.CARLASSARRE, La Costituzioine,la libertà, la vita in www.astrid-online.it secondo il quale, a prescindere dalle scelte metodologiche effettuate in concreto dal legislatore, il sistema non necessita di un intervento normativo, in quanto la stessa Corte Costituzionale in occasione del conflitto di attribuzioni inerente a caso Englaro, ha avuto modo di affermare come il diritto sia certo, cosicché non debbono sussistere dubbi rebus sic stantibus circa la vincolatività delle dichiarazioni anticipate di trattamento eventualmente espresse dal paziente.

opportuna e già ampiamente condivisa distinzione, di creazione dottrinale e giurisprudenziale, che qualsiasi impostazione diversa dalla

incondizionata difesa della vita biologica pone come punto di partenza197. In terzo luogo, il più rilevante ai nostri fini, il combinato disposto degli articoli dal 2 al 7 del Ddl rivelano una scelta di fondo assai netta,

orientata alla prevalenza della dimensione collettiva e solidaristica della salute rispetto a quella personalista. Si osserva infatti come in numerosi momenti emerga uno squilibrio nel potere decisionale tra i due

protagonisti dell’alleanza terapeutica, rimettendo in molti casi le decisioni relative alla vita del paziente incosciente alla pressoché incondizionata discrezionalità medica.

Questo squilibrio si osserva in almeno tre passaggi cruciali del testo, il primo dei quali è rappresentato dal carattere meramente orientativo delle dichiarazioni, testimoniato da una scelta terminologica piuttosto

eloquente198, accompagnandola, più avanti nel testo, ad un generico dovere di “prendere in considerazione” .

Il secondo, e probabilmente più eclatante199, afferisce ai limiti

contenutistici delle DAT, qui talmente stringenti da renderle praticamente 197 Così L. D’AVACK, Il disegno di legge sul consenso informato all’atto medico e

sulle direttive anticipate di trattamento, approvato al Senato, riduce

l’autodeterminazione del paziente e presenta dubbi di costituzionalità, cit., p. 1285.

198 secondo l’art 3.1 del Ddl, infatti, “nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante esprime il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari in previsione di un’eventuale futura perdita della propria capacita ` di intendere e di volere”.

199 Di questo avviso, tra gli altri, S. AGOSTA, Se l’accanimento legislativo è peggio

di quello terapeutico: sparse notazioni al disegno di legge in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento, in

inoperanti: soffermandosi sul terzo comma dell’articolo 3 si legge infatti come il disponente possa rinunciare “ad ogni o ad alcune forme

particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale”200. Rinviando alle considerazioni effettuate in precedenti parti del presente lavoro riguardo alla proporzionalità delle cure, si può qui giungere a tradurre la disposizione in parola come la possibilità conferita al paziente di rifiutare solamente quelle cure che risultino, proprio da un punto di vista medico, sostanzialmente sbagliate. E’ di immediata percezione come la portata del diritto all’autodeterminazione rischi seriamente di risolversi allora in un mero strumento di legittima difesa.

Infine, come terzo passaggio chiaramente sintomatico di una impostazione di fondo smaccatamente orientata all’esclusiva

conservazione del dato biologico dell’esistenza, occorre segnalare come la figura del soggetto fiduciario eventualmente indicato dal disponente esca da questo Ddl fortemente menomata rispetto all’istituto

dell’amministrazione di sostegno tratteggiata dalla sentenza Englaro. Si osserva infatti come i poteri attribuitigli risultino del tutto insufficienti ad arginare la discrezionalità medica e mantenere quantomeno una

pariteticità dell’alleanza terapeutica. Il potere-dovere del medico di decidere “in scienza e coscienza, in applicazione del principio

dell’inviolabilità della vita umana e della tutela della salute e della vita” 200 Enfasi aggiunta.

anche a fronte di indicazioni diverse provenienti dalle DAT e ribadite dal fiduciario, privano di fatto il paziente sia della propria voce autentica che di quella espressa per interposta persona. A ribadire e rafforzare il

concetto, il Ddl impedisce in ogni caso al medico di “prendere in considerazione orientamenti volti comunque a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la

deontologia medica”, con le complicazioni derivanti dalla già sottolineata mancata distinzione delle diverse possibili forme di eutanasia201.

Le considerazioni conclusive sul testo appena analizzato non possono quindi che allinearsi a quelle già svolte da vasta ed autorevole dottrina, secondo la quale il Ddl Calabrò ha rappresentato non solo un’occasione sprecata, ma addirittura un notevole passo indietro, che ha rischiato di disfare il lungo lavoro della giurisprudenza e annullare i benefici derivati dalla “rivoluzione” del consenso informato202. Sembra quindi potersi concludere, con le parole allora espresse da Rodotà sul rischio,

presumibilmente scongiurato dal successivo insabbiamento parlamentare, che laddove vi “era un «soggetto morale», quello nato appunto

dall’attribuzione a ciascuno del potere di accettare o rifiutare le cure, troviamo di nuovo un «oggetto»”203.

201 Distinzione fondamentale ormai ampiamente accolta in giurisprudenza e da ultimo ribadita proprio dalla sent. 21748/2007, nella quale la Cassazione ribadisce come il “rifiuto delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, non può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale”

202 S.RODOTA’, George Orwel a Palazzo Madama, in La Repubblica, 27 marzo 2009 203 Ibidem

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 126-132)