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La cornice costituzionale: il combinato disposto degli articol

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 35-43)

IL DIRITTO ALLA SALUTE

1. La cornice costituzionale: il combinato disposto degli articol

2, 13 e 32 Cost.

Per una corretta comprensione del quadro costituzionale in cui la discussione si deve sviluppare, non ci si può certamente esimere da una previa ricostruzione del bene-salute, oggetto dell'articolo 32 della Costituzione repubblicana.

Una moderna ed ormai pacificamente accettata nozione di salute, ne offre una visione che ingloba tanto la dimensione fisica quanto quella psichica, tra loro poste in un rapporto di indissolubile interdipendenza. Volendo tracciare la parabola giurisprudenziale attraversata dal diritto in questione in epoche non troppo risalenti, non si può allora prescindere dall’apporto fornito da una fondamentale sentenza del Tribunale di Milano del 1998, nella quale si afferma che “l’idea tradizionale di patologia risulta sempre più distante rispetto a quella di salute, ormai carica di una forte componente soggettiva”. Allo stesso modo, “gli atti terapeutici, secondo una visione allargata di salute, […] non fanno più solo riferimento a una concezione organica della malattia ma tengono conto degli aspetti fisici e psichici della persona e delle sue personali e

insindacabili aspettative di vita” avendo sempre come punto di riferimento “l'idea che l'individuo ha di se stesso e delle sue aspettative di vita”. Da tali premesse, i giudici concludono, coerentemente, che una negazione della libertà di autodeterminazione dell’individuo per ciò che concerne la gestione del proprio corpo e della propria salute, implichi “un’alterazione in termini obiettivamente fisici del suo generale stato di salute”.57

Sulla stessa scia si collocano anche due sentenze della Cassazione del biennio 2006-2007, tra l’altro accompagnate, almeno nel c.d. caso Englaro58 da una vasta eco mediatica e dall’aspro confronto tra i due contrapposti schieramenti, tanto in parlamento quanto nell’opinione pubblica.

La prima fa ancora una volta propria la ormai quasi settantennale definizione di salute fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, affermando che questa non coincide con il “solo diritto all’integrità fisica, tutelando infatti lo stato di benessere non solo fisico ma anche psichico del cittadino”59. La seconda invece afferma in maniera ancor più coraggiosa come questa “nuova dimensione” del bene-salute coinvolga, “in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti 57 Tribunale di Milano, 14 Maggio 1998. (c.d. caso San Raffaele)

58 Cassazione, 16 Ottobre 2007, n. 21748

59 Cassazione ,SS.UU., 1 Agosto 2006, n. 17461; sulla stessa linea, nell’asciuttezza tipica della prospettiva medica, spesso scettici riguardo ad una eccessiva

soggettivizzazione del bene salute, anche i vari codici deontologici della professione medica succedutisi nel tempo. Per un’analisi della discrepanza di vedute tra diritto e medicina, per il naturale scetticismo di quest’ultima verso il non osservabile v. P. ZATTI, Maschere del diritto, volti della vita, Giuffrè, Milano, 2009, p. 231 ss.

interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza”60.

Questo traguardo è il frutto di un lungo processo che ha visto il progressivo abbandono del modello dello Stato paternalistico e della visione del cittadino come mezzo. Parallelamente si è andato affermando il principio personalista, che si qualifica come elemento fondante e permeante l'intero testo costituzionale, configurandosi ad oggi come la lente sotto la quale leggere i vari diritti e doveri lì sanciti, tra cui sicuramente anche il diritto alla salute. Il merito di una lettura combinata degli articoli costituzionali 2, 13 e del secondo comma del 32 va riconosciuto anche ad una fondamentale sentenza della Corte Costituzionale che, attraverso il filtro dell’inviolabilità dell’individuo, configura la salute (anche) “come «libertà», nella quale è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo”61. L’apporto di tale pronuncia alla delimitazione di una nuova dimensione dell’idea di salute, è da considerarsi indubbiamente quello di aver istituito “un’interazione contenutistica tra salute, libertà e personalità”62.

60 Cassazione, 16 Ottobre 2007, n. 21748

61 Così, al punto 3 del Considerato in Diritto, Corte Costituzionale n. 471/1990 62 Così P. ZATTI, Maschere del diritto, volti della vita, Giuffrè, Milano, 2009, p. 231

Come ci si propone di argomentare in seguito, una simile accezione del diritto alla salute dovrà allora necessariamente includere il suo contraltare, ossia il diritto a perderla, a non curarsi. Salvo limitate e tassative ipotesi, infatti, si riconosce e garantisce il diritto della persona a non subire trattamenti sanitari contrari alla propria volontà, imponendosi a questi ultimi, ad ogni modo, una ulteriore invalicabile barriera rappresentata dal rispetto della persona umana. Ed è proprio qui che più marcatamente si avverte l'esigenza di leggere l'art 32 alla luce del principio personalista. Escluse le ipotesi di TSO, la cui ratio riposa sulla necessità di tutelare il diritto alla salute degli altri consociati, si impone il rispetto della volontà dell’individuo, quale manifestazione della dignità della persona umana colta nella sua globalità, nella quale appare assolutamente doveroso ricomprendere, “con interpretazione estensiva ma non arbitraria”63, anche le sue “convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche”64 che inevitabilmente rappresentano l'inchiostro con cui il singolo scrive la propria biografia e sigla le proprie statuizioni di volontà. In sostanza, e questo sarà l’oggetto dei successivi approfondimenti, il benessere garantito e promosso dal costituente tramite l’art 32, fa si che l’arbitrio dell’individuo circa il trattamento da riservare al proprio corpo possa spingersi fino ad ammettere che il perseguimento di una immagine di sé autonomamente determinata passi anche dalla rinuncia alla salute.

63 Così V. CRISAFULLI, In tema di emotrasfusioni obbligatorie, in Diritto e Società., 1982, p. 562

Avendo riguardo, invece, alla portata applicativa della norma in argomento, dottrina e giurisprudenza sono ormai largamente concordi nel riconoscerle carattere precettivo e non meramente programmatico65. Nella sua evoluzione concettuale, il diritto alla salute, fu inizialmente inteso come mera questione di ordine pubblico, e successivamente connotato come diritto sociale tipico, di valenza programmatica. Entrambe le interpretazioni collocavano il diritto in questione su di un piano preminentemente collettivistico. Ad oggi invece risulta particolarmente incisivo l’arricchimento del significato offerto dalla Cassazione, che ha contribuito a connotarlo, nel suo nucleo essenziale, quale “vero e proprio diritto soggettivo assoluto e primario volto a garantire l'integrità psico-fisica delle persone bisognose di cura” 66.

Tale valore immediatamente precettivo della norma espressa dall'art 32 è stata più volte sottolineata dalla giurisprudenza, anche costituzionale67, incontrando però una significativa seppur estemporanea smentita, in una paradossale sentenza del Tribunale di Roma, nella quale, pronunciandosi sul ricorso presentato ex art 700 c.p.c da Piergiorgio Welby per ottenere l'interruzione delle terapie di supporto vitale, da un lato riconosceva il

65 Il principio dell’immediata precettività del 32 Cost. è stato da ultimo affermato da Consiglio di Stato, sent n. 4460/2014 con commento di P. ZATTI in Nuova

Giurisprudenza Civile Commentata, 2/2015; in precedenza R.ROMBOLI, “Il caso Englaro”: la costituzione come fonte immediatamente applicabile dal giudice, in Quaderni Costituzionali, 2009, pp. 91 ss.

66 Cass. Sent. 17461/2006. Concorde con tale qualificazione dell'art 32 nel senso di un diritto soggettivo assoluto immediatamente giustiziabile, tra gli altri, G.M. FLICK,

“Dovere di vivere, diritto di morire, oppure....?”, cit., p. 14 ss.

67 Corte Cost. Sentt 45/1965; 88/1979; 212/1983; 167/1986; 184/1986; 559/1987; 307/1990; 455/1990; 202/1991; 356/1991; 218/1994; 118/1996; 399/1996

principio dell'autodeterminazione e del consenso informato come “una grande conquista civile delle società culturalmente evolute […] ormai positivamente acquisito”, indicando a fondamento dell'affermazione il ben noto trittico di articoli costituzionali, dall'altro, invece, respingeva la richiesta del ricorrente argomentando che allo stato attuale l'ordinamento giuridico difetta, nell'ambito delle terapie salvavita, e con riferimento alla condotta del medico, di una “disciplina specifica […] ai fini dell'attuazione pratica del principio di autodeterminazione per la fase finale della vita umana”. Nella conclusione risalta nitidamente l'incongruenza logica della sentenza, allorché il giudice riconosceva come sussistente “il diritto del ricorrente a richiedere l'interruzione della respirazione assistita e il distacco del respiratore artificiale, previa somministrazione della sedazione terminale”, ma ne negava al contempo l'esercizio nel caso di specie, in quanto “diritto non concretamente tutelato dall'ordinamento”.

Tale soluzione si pone in contrasto con una dottrina ed una giurisprudenza già ampiamente affermate, secondo le quali le norme costituzionali possono, ed in alcuni casi devono (per evitare che il titolare dei relativi diritti li veda non giustiziabili), costituire la base del riconoscimento non mediato dei diritti sanciti, tanto nei rapporti verticali quanto in quelli orizzontali. L'immediata precettività che viene riconosciuta ad alcuni diritti costituzionali (e tra questi vengono pressoché unanimemente inclusi quelli coinvolti nella presente

discussione, cioè il 13 ed il 32) prescinde quindi da qualsiasi concreta attuazione o mediazione a livello legislativo, pena una sovversione del principio della gerarchia delle fonti 68.

L'impostazione già affermatasi negli anni, ma smentita dalla pronuncia in questione, è stata in seguito recuperata dal Tribunale penale di Roma, sempre con riferimento al medesimo caso. Questo infatti, dichiarando il non luogo a procedere nei confronti del dott. Mario Riccio (il medico anestesista che accolse le volontà di Welby, contrariamente alla pronuncia del Tribunale civile di Roma), ha avuto modo di affermare che la condotta del medico non è punibile in quanto sussiste “l'esimente dell'adempimento di un dovere”, dal momento che il rifiuto delle terapie da parte del paziente, anche se si tratta di terapie salvavita, ed anche se già in corso , “costituisce un diritto […] già perfetto, rispetto al quale sul medico incombe […] il dovere giuridico di consentirne l'esercizio”.

E’ possibile allora agilmente apprezzare come, con questa ultima pronuncia, si sia ristabilita una corretta lettura della gerarchia delle fonti, sovraordinando il diritto al rifiuto delle cure sancito dal 32 Cost. alla legge penale che di fatto rappresenta un ostacolo al suo esercizio, superando, per dirla con le parole dello stesso Tribunale penale di Roma,

68 Tra gli altri, C. TRIPODINA La tutela dei diritti fondamentali tra diritto politico e

diritto giurisprudenziale, Giuffrè, Milano, 2012 p. 64, secondo la quale, molto

chiaramente, “non si può affermare che esiste un diritto soggettivo perfetto, ma che questo è insuscettibile di tutela: un diritto soggettivo o esiste o non esiste; se esiste non potrà non essere tutelato, incorrendo l'organo di giustizia in un ammissibile non

liquet, con l'effetto di lasciare senza risposta una pretesa giuridicamente

“la contraddizione dell'ordinamento giuridico che, da una parte, non può attribuire un diritto e, dall'altro, incriminarne l'esercizio”.

Correndo il rischio di allontanarsi dal fulcro del diritto in questione, pare tuttavia interessante osservare come il diritto alla salute ex art. 32 si atteggi nell’interazione con altri diritti fondamentali della persona. E’ forse allora opportuno sottolineare come il rifiuto delle cure sia ammesso in maniera forse più pacifica laddove, nella ponderazione dei principi in gioco, abbia avuto accesso anche il 19 Cost. riguardante la libertà religiosa. All’interno del medesimo quadro normativo di riferimento si osserva come l’art 32 goda di una ben diversa effettività. Una simile graduazione della giustiziabilità del diritto, laddove alle scelte del singolo sia data veste religiosa, pare non avere appiglio costituzionale alcuno, come non lo avrebbe, su un piano di pura astrazione, ad esiti invertiti. Non è in altre parole distinguibile un diritto al rifiuto delle cure corroborato dalla libertà religiosa, da uno fondato sulla “semplice” libertà di autodeterminazione. Il riferimento è chiaramente ai noti fatti di cronaca che periodicamente riguardano i Testimoni di Geova, e al precetto religioso che fa loro divieto di accettare emotrasfusioni. In questi casi tuttavia, se proprio si volesse operare un paragone tra le diverse situazioni del caso concreto, non potrebbe non rilevare un quadro clinico generalmente assai più favorevole nel caso delle emotrasfusioni rispetto a quello infausto dei malati terminali69.

69 Analoga riflessione, pur partendo da premesse lievemente differenti è sviluppata da L.RISICATO, Dal diritto di vivere al diritto di morire. Riflessioni sul ruolo della

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