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I tre procedimenti principal

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 103-111)

I CASI CHE HANNO SEGNATO IL DIBATTITO ITALIANO, LE RELATIVE PECULIARITA’ E

2. La ricostruzione presuntiva della volontà: la lunga battaglia

2.1 I tre procedimenti principal

Ciò che più immediatamente risalta nella ricostruzione della lunga vicenda giudiziaria affrontata da Beppino Englaro è probabilmente l’andare ondivago delle sentenze e dello sviluppo processuale nel suo complesso, di modo che per lunghi tratti il vero nodo gordiano della

situazione è stato eluso, alternandosi pronunce che negano alla radice le pretese della famiglia Englaro, ad altre che evitano volutamente di entrare nel merito della questione, confinando le pur evidenti aperture all’interno di obiter dicta.

Il primo passo di questo tortuoso iter è rappresentato dalla richiesta del padre di Eluana al Tribunale di Lecco, al fine di ottenere l’interruzione dei trattamenti di NIA, facendo appello al divieto di accanimento terapeutico. Il Tribunale, tuttavia, pur esprimendo “l’umana comprensione per il dolore e l’esasperazione che hanno indotto il genitore istante a ravvisare nella nella morte l’unica risposta dignitosa alla sofferenza che da anni pervade la vita della figlia”, respingerà il ricorso, sulla base dell’asserito contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento, su tutti il 2 Cost., e con quello di indisponibilità del bene vita, desumibile dalla norma espressa dal 579 c.p.164.

Nel successivo giudizio d’appello la Corte milanese si pronuncia su due distinte questioni.

La prima ha ad oggetto la legittimazione a ricorrere in capo a Beppino Englaro quale tutore della figlia interdetta, concludendo in senso positivo “in quanto ex art 357 c.c. egli ha «la cura» della stessa, deve provvedere a fornirle i trattamenti necessari nel suo esclusivo interesse”165.

164 Tribunale di Lecco, decreto 2 marzo 1999

La seconda e più rilevante questione inerisce alla qualificazione attribuibile alle pratiche di idratazione e nutrizione artificiale. In questo caso il Collegio, ben consapevole che la riconduzione o meno delle stesse quali “trattamenti medici” comporterebbe conseguenze diametralmente opposte, per l’ovvia ragione di una loro possibile rifiutabilità solo nel primo dei due casi, compie un’ampia dissertazione dello stato attuale della conoscenza scientifica e della discussione in seno ai principali organismi etici dei diversi Paesi, salvo poi concludere per l’impossibilità di considerare una delle due posizioni come definitivamente prevalente. Sebbene quindi nelle premesse appaia orientata ad una visione maggiormente valorizzatrice dell’aspetto biografico dell’esistenza piuttosto che di quello biologico, ingenerando così l’aspettativa di una pronuncia favorevole alla sospensione delle terapie quale dovere del medico ogniqualvolta dal trattamento (in senso lato) non sia dato attendere alcun miglioramento della situazione clinica del paziente e quindi nessun beneficio dalla prosecuzione di uno stato di accertata, radicale ed irreversibile incoscienza del dello stesso166, la Corte pare tuttavia non aver voluto compiere il passo successivo, fermandosi piuttosto a monte del problema. L’istanza di Englaro sarà quindi respinta “considerato il dibattito ancora aperto in ambito medico e giuridico in ordine alla qualificazione del trattamento somministrato ad E.E.”. Il decreto si conclude con l’esortazione rivolta al legislatore a che si colmi 166 Questa la posizione dell’ American Academy of Neurology riportata dalla Corte di

una simile lacuna dell’ordinamento, auspicando che questioni dalle implicazioni etiche così profonde “siano oggetto di consultazioni appropriate” dando così finalmente ascolto alle sollecitazioni espresse dal Consiglio d’Europa nell’art. 28 della Convenzione di Oviedo167.

Nel 2002 si apre un secondo procedimento, sempre presso il Tribunale di Lecco, che vede nuovamente respinte le istanze del padre-tutore, fondate sugli stessi presupposti del precedente giudizio. E’ richiamato nuovamente, a smentire la prospettazione del ricorrente, il principio di necessaria ed inderogabile prevalenza della vita umana, a prescindere dalla condizione in cui questa versi concretamente.

Il secondo punto affrontato, invece, pare contraddire apertamente quanto statuito nel primo giudizio riguardo al complesso dei poteri e del ruolo che l’ordinamento assegna alla figura del tutore. Nella pronuncia in oggetto si è infatti negato che il tutore possa disporre l’interruzione dei trattamenti sanitari, ritenendo che il potere di cura del quale egli risulta investito implichi necessariamente un “quid di positivo volto alla conservazione della vita del soggetto stesso e non certo, invece alla sua soppressione”, cosicché “appare [...] una contraddizione in termini o, comunque, una conseguenza contraria alla logica, prima ancora che al diritto, assegnare al tutore, ovverosia a colui che è titolare di poteri- doveri di conservazione della persona interdetta, la potestà di compiere 167 Corte d’Appello di Milano, decreto 31 dicembre 1999

atti che implichino di necessità (come, nella specie, a seguito della cessazione della somministrazione dell’alimentazione artificiale) la morte del soggetto tutelando”.

Infine, il Tribunale si allinea nuovamente a quanto già sostenuto dalla Corte d’Appello di Milano nel provvedimento del dicembre 1999, reiettivo del reclamo, secondo il quale non vi è sufficiente accordo in seno alla comunità medica circa la corretta qualificazione delle pratiche di NIA, a ciò non valendo nemmeno la sopravvenuta presa di posizione, espressa in maniera piuttosto netta, del Gruppo di lavoro istituito dal Ministero della Sanità168, nel senso di una qualificazione come “trattamento medico” a tutti gli effetti, ed allegata dal ricorrente169.

La decisione del Tribunale viene allora nuovamente impugnata presso la Corte d’Appello di Milano.

Questa, per le sue premesse, prende spunto dalla più salda giurisprudenza tedesca che già da tempo aveva definito con precisione il ruolo ed i poteri propri del tutore, finalizzandoli all’esclusivo interesse del paziente incosciente a che sia data esecuzione alla volontà 168 Decreto del 20/10/2000

169 Si legge infatti come “nell’idratazione e nutrizione artificiale in individui in stato

vegetativo persistente viene somministrato un nutrimento come composto chimico (una soluzione di sostanze necessarie alla sopravvivenza), che solo medici possono prescrivere e che solo medici sono in grado di introdurre nel corpo attraverso una sonda nasogastrica o altra modalità e che solo medici possono controllare nel suo andamento, anche ove l'esecuzione sia rimessa a personale infermieristico o ad altri. Mentre il beneficiato non solo non può apprezzare il preparato o i suoi effetti, ma soprattutto non può, e non potrà mai più, rendersi conto del fatto di essere alimentato. Quando l'alimentazione e l'idratazione si svolgono in tali condizioni esse perdono i connotati di atto di sostentamento doveroso e acquistano quello di trattamento medico in senso ampio”

precedentemente espressa, garantendone così il diritto all’autodeterminazione. A questa esposizione il Collegio fa seguire quella della giurisprudenza contraria. Non può però sfuggire come, sia per numero che per grado delle sentenze, così come per l’approfondimento dedicato, traspare una maggior rilevanza attribuita alle soluzioni più permissive.

Stesso fenomeno si può osservare laddove la Corte si sofferma assai più diffusamente sulle posizioni più favorevoli alle DAT, rispetto alle motivazioni avverse, concludendo infine la trattazione con una frase per certi versi emblematica: “è agevole verificare che gli spunti nella cultura etico-giuridica per valorizzare il principio di autodeterminazione sono molti. Si tratta di individuare i criteri e le modalità con cui il suddetto principio possa essere applicato con riferimento al soggetto in SVP, titolare, come si è già detto del suddetto diritto”170

Questa ampia rassegna di argomenti sciorinata dal collegio si risolve tuttavia, nella sostanza, in senso opposto a quanto paresse logico attendersi, rigettando il reclamo di Beppino Englaro. La Corte si definisce infatti “perplessa sull’opportunità/legittimità di una interpretazione integrativa – che sarebbe praeter legem, non già contra legem. E’ pure perplessa in ordine al possibile espletamento di un’attività sostanzialmente paranormativa, considerati i dilemmi giuridici, medici, filosofici, etici che si avvertono nei dibattiti della società civile, e nelle 170 Corte d’Appello di Milano, 10 dicembre 2003

relazioni dei comitati e delle commissioni investite della tematica”. In sostanza, la Corte ha ritenuto che la delicatezza della materia trattata rappresentasse un ostacolo insormontabile ai fini della pronuncia, e la perplessità di fronte ad una simile non-soluzione risulta se possibile maggiore laddove si consideri che, per ammissione dello stesso collegio, “la mancanza di regole lede diritti e interessi che corrispondono a interessi costituzionalmente garantiti (2, 3, 13, 32 Cost.)”.

A conclusione della pronuncia vi è poi un appello, l’ennesimo, rivolto al legislatore ordinario, affinché questi “individui e predisponga gli strumenti adeguati per l’efficace protezione della persona e il rispetto del suo diritto di autodeterminazione, prevedendo una verifica rigorosa da parte dell’Autorità giudiziaria della sussistenza di manifestazioni di direttive anticipate”, suggerendo come “l’intervento legislativo potrebbe evitare strumentalizzazioni e sofferenze e contribuirebbe alla responsabilizzazione della collettività”171.

L’ultimo, infruttuoso tentativo di Beppino Englaro all’interno di questo secondo procedimento è rappresentato dal ricorso straordinario per Cassazione, dichiarato inammissibile ex art 78 c.p.c. poiché mancava la nomina di un curatore speciale quale contraddittore del tutore, ravvisandosi nel caso di specie un conflitto di interessi tra lo stesso tutore e l’incapace172.

171 Corte d’Appello di Milano, 10 dicembre 2003 172 Cassazione, ordinanza 20 aprile 2005 n.8291

Il terzo e decisivo procedimento instaurato da Englaro, ora munito della nomina di curatore speciale, ha visto la modifica del petitum, fondato adesso sulla volontà della figlia così come espressa in epoca antecedente all’incidente di cui è stata vittima. Tuttavia, anche su queste basi il ricorso venne dichiarato inammissibile a causa dei già noti argomenti di indisponibilità del bene vita dell’incapace da parte del tutore, in quanto diritto personalissimo, dovendosi piuttosto ritenere, secondo le considerazioni del collegio, assolutamente prevalente il dovere, ispirato ad istanze solidaristiche, di mantenere in vita i soggetti incapaci, a prescindere dalla condizione clinica, ed anche facendo ricorso a NIA.

Nel giudizio d’appello si osserva una parziale apertura da parte della Corte milanese, ammettendo la legittimazione sostanziale e quindi anche processuale del tutore con riferimento alla domanda di interruzione dell’alimentazione artificiale, e più in generale all’espressione del consenso o dissenso alle terapie173. Si deve tuttavia riscontrare come lo slancio suggerito da tale apertura si esaurisca ben presto, poiché il ricorso viene rigettato nel merito, non essendosi ritenute nel caso di specie

173 In particolare la Corte approva i termini in cui la domanda è rivolta dal momento che “i rappresentanti legali non chiedono (…) di essere autorizzati, in tale veste,

dal giudice a sospenderne l’alimentazione forzata, bensì domandano che sia l’autorità giudiziaria a disporne l‘interruzione, costituendo un trattamento invasivo dell’integrità psicofisica, contrario alla dignità umana, non praticabile contro la volontà dell’incapace o, comunque, in assenza del suo consenso e che è stato disposto, e continua ad esserlo, in violazione degli art. 13 e 32 Cost.(…) Invero, ai sensi degli art. 357c.c. e 424 c.c., nel potere di«cura della persona» conferito al rappresentante legale dell’incapace non può non ritenersi compreso il diritto- dovere di esprimere il consenso «informato» alle terapie mediche ”

sufficientemente univoche e probanti le opinioni espresse in vita da Eluana, idonee cioè a valere nel contesto specifico ed attuale della malattia.

Nel documento Profili costituzionali del fine vita (pagine 103-111)