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CAPITOLO 4: Aspetti legali

4.2 La proprietà delle mod

4.2.1 Definizione legale delle mod

Come può essere definita legalmente una mod? Nel Capitolo 1 abbiamo avvicinato le mod ai derivative products, nel caso in cui vengano effettivamente commercializzate. La definizione propria delle mod, tuttavia, si avvicina più a quella di derivative works (Spare the Mod, 2012; Wallace, 2014). Un derivative work è definito come “a work based on or

derived from one or more already existing works” (U.S. Copyright Office, 2013, p. 1),

verso cui gli enti proprietari dei diritti sono normalmente tutelati (Wallace, 2014). A tutelare gli interessi delle aziende intervengono le licenze d’uso dei software, di cui abbiamo fatto menzione prima, come l’EULA: normalmente, nella licenza d’uso di un videogioco vi è indicato il trattamento riservato alle mod (Wallace, 2014; Spare the Mod, 2012). Per decidere se un lavoro di un utente è un derivative work, si analizzano le similarità con l’opera originale, in termine di risorse prese da essa (Wallace, 2014). In questo senso, le mod agiscono quasi totalmente a partire dall’opera originale: che ne modifichino i contenuti o che ne alterino il codice o l’engine, le mod si basano sempre sul possesso quantomeno di una copia dell’opera originale (Wallace, 2014; Postigo, 2010). Se una mod permette a chi la scarica di giocare integralmente al gioco originale, rientra nella sfera della pirateria informatica ed è considerata una pratica illegale (Kow e Nardi, 2010; Wallace, 2014). Se, invece, una mod è definita derivative work, può essere considerata una pratica illegale, ma può anche essere protetta dalla licenza d’uso o rientrare nella dottrina del fair use (Wallace, 2014; Spare the Mod, 2012). Ad esempio, nel caso in cui nell’EULA di un gioco sia indicato che il contenuto creato attraverso l’utilizzo del toolkit fornito dall’azienda non costituisca una violazione della licenza, gli

utenti potranno creare derivative works senza timore di essere accusati di illecito. La dottrina del fair use è più complessa, e non è applicabile in tutti gli Stati.

4.2.1.1 Le mod come fair use

Alcuni studiosi hanno argomentato a favore dell’inclusione delle mod all’interno della pratica di fair use di un prodotto (Spare the Mod, 2013; Kawashima, 2010; Postigo, 2008; Shivonen, 2011). Per fair use si intende una disposizione legislativa che regolamenta, sotto certe condizioni, l’uso di contenuti protetti da copyright (U.S. Copyright Office, 2013). Inizialmente adottato in America con il Copyright Act del 1976 (Sezione 107), venne poi introdotto in altri Stati del mondo, tra cui l’Italia, con la Legge del 9 gennaio 2008 n. 2 (Muscillo, 2017), e l’Unione Europea, con l’IPRED 2 del 2007. Dunque, anche se un prodotto di un utente è definibile derivative work, se è coperto dal fair use, non costituisce reato (Wallace, 2014). Nella legislazione americana, ci sono quattro condizioni in cui la dottrina del fair use possono essere applicate (17 USC § 107, 2012):

 lo scopo e la natura dell’uso del contenuto, soprattutto se è in relazione con un utilizzo commerciale. Come dal preambolo alla sezione 107, si può parlare di fair

use se lo scopo del lavoro è critico, didattico, parodico o di ricerca. Tali scopi

rientrano nella natura “trasformativa” del lavoro (Wallace, 2014): se il lavoro aggiunge qualcosa di nuovo all’opera originale, ridefinisce il suo significato o trasforma il mezzo di espressione, è più facile considerarlo fair use;

 la natura dell’opera protetta, cioè se l’opera è creativa o fattuale, e se è stata pubblicata o no. Un lavoro che si basa su un’opera creativa viene considerato più raramente fair use (Wallace, 2014);

 la quantità e l’importanza della parte utilizzata dell’opera per il derivative work, in relazione al suo insieme;

 le conseguenze di questo uso sul mercato potenziale o sul valore dell’opera protetta. Questo è considerato il fattore più importante per quanto riguarda la dottrina del fair use, e si considera non solo l’impatto del lavoro sul mercato potenziale o sul valore dell’opera, ma anche quello che il lavoro ha sul posizionamento di eventuali altri derivative work creati dall’azienda che detiene i diritti dell’opera (Wallace, 2014).

Ci sono argomenti a favore ed argomenti contro l’estensione della dottrina del fair use alle mod. La nota Spare the Mod dell’Harward Law Review (2012) suggerisce che alle

mod dovrebbe essere concesso il fair use, in particolare alle total conversion, e vi si

richiede un adattamento della legge sul copyright americana per favorire lo sviluppo dello

user-generated content. Anche Baldrica (2007) e Rosen (2005) definiscono la

legislazione attuale concernente il mondo del modding e dei contenuti generati dagli utenti come inefficace e insufficiente, e premono per una maggiore protezione per gli utenti. McKay (2011) si spinge oltre e sostiene che l’intero corpus del Digital Millennium

Copyright Act andrebbe rivisto, rendendo automaticamente qualsiasi lavoro creato dagli

utenti per scopi non commerciali un fair use del prodotto originale, e inserendo normative per punire le violazioni, da parte delle aziende, dei diritti degli utenti. Wallace (2014), d’altro canto, smentisce l’idea che le mod possano essere del tutto soggette al fair use, in quanto in nessun modo soddisfano le condizioni poste dalla Sezione 107 del Copyright

Act.

Vediamo in che modo le quattro condizioni vengono discusse nel riguardo delle mod:  spesso, lo scopo di una mod non è commerciale, in quanto sono distribuite

gratuitamente sulle piattaforme di aggregazione (Postigo, 2010). Dunque, la discussione si concentra sulla natura della mod: per Wallace (2014), le mod non sono trasformative nel loro scopo, in quanto, spesso, non rientrano all’interno dei parametri previsti dalla Sezione 107, cioè di critica, didattica o parodia. Per Baldrica (2008), invece, sostiene che la concezione di “trasformativo” sia difficilmente applicabile ai videogiochi, in quanto combinazione di due elementi, l’engine e il contenuto (Spare the Mod, 2012);

 per quanto riguarda la natura dell’opera originale (creativa o fattuale), dipende in larga parte dalla visione che la legge ha dell’opera, in questo caso, del videogioco, e può variare da Stato a Stato, come abbiamo visto (Ramos et al., 2013). Considerare un videogioco un’opera creativa o di finzione rende più difficile applicare il fair use (Wallace, 2014), mentre considerare solo gli elementi informativi del videogioco, come il codice o l’engine, permette più propriamente di parlare di fair use, ma limita la visione d’insieme del prodotto come l’unione di due componenti inseparabili (Baldrica, 2008; Postigo, 2010);

 il terzo fattore, che considera la porzione di gioco riutilizzata, tende ad andare contro alla definizione di fair use, in quanto le mod riutilizzano l’intero gioco come base si cui operare (Wallace, 2014). Tuttavia, anche in questo caso si deve considerare in che modo le diverse parti del gioco sono protette: una mod che

è ritenuto meritevole di protezione, la mod potrebbe ricadere nel fair use (Baldrica, 2008). Altri autori sostengono che questo fattore non è determinante, in quanto le mod, come derivative works, non possono fare altro che agire sul gioco completo (Spare the Mod, 2012);

 il quarto fattore è più determinante, in quanto esamina l’impatto che la mod può avere non soltanto sul mercato attuale e potenziale del gioco, ma anche sul mercato di eventuali sequel e riutilizzi dell’IP. In questo caso, una mod non può essere considerata fair use, in quanto sviluppa idee che invadono lo spazio di un eventuale riutilizzo del materiale coperto da copyright (Wallace, 2014). Tuttavia, si può argomentare che una mod, in quanto necessita del gioco originale per funzionare, non possa rubare spazio sul mercato al prodotto originale, agendo, ad esempio, da sostituto (Spare the Mod, 2012; Baldrica, 2008; Postigo, 2010). Inoltre, come abbiamo visto, i benefici derivanti dalle mod possono avvantaggiare anche le aziende, potenzialmente allargando il mercato.

In definitiva, l’invocazione del fair use per una mod riguarda soltanto quei casi in cui una corte è chiamata a giudicare una potenziale infrazione della licenza d’uso di un gioco. Il problema non sussiste se nella licenza la proprietà delle mod e dei contenuti creati dagli utenti è già specificata (Spare the Mod, 2012). Inoltre, le aziende, anche se non specificano le disposizioni nella licenza d’uso, potrebbero essere più interessate a incoraggiare l’attività della community che a proteggere le proprietà intellettuali, e quindi possono adottare una politica di laissez-faire nei confronti degli utenti, anche se, di fronte alla legge, i loro contenuti potrebbero essere facilmente dichiarati illeciti in quanto

derivative works (Wallace, 2014).

4.2.1.2 La ownership delle mod

Abbiamo visto come si relazionano le mod alle leggi sul copyright. Tuttavia, all’interno delle community, in cui non vigono leggi che proteggono gli autori, come ci si comporta verso la proprietà delle mod? In altre parole, qual è l’atteggiamento nei confronti dell’owner della mod? Kow e Nardi (2010) definiscono come, all’interno della community di utenti, si riconosca un senso di ownership dei contenuti: il creatore della mod ne è anche il possessore, anche se tale diritto non è regolato da leggi o contratti (Kow & Nard, 2010; Kawashima, 2013; Joseph, 2018). Questa ownership sulle mod si inserisce in un sistema etico di collective work, in cui il lavoro e volontario e sregolato: un modder può

abbandonare lo sviluppo di una mod per qualsiasi motivo, a meno che la mod non stia venendo finanziata attraverso delle piattaforme (come Kickstarter o Patreon). Inoltre, se un modder abbandona un progetto, la ownership può passare ad altri utenti che si offrono di portare avanti quel progetto, mantenendo viva l’innovazione (Kow & Nardi, 2010; Shivonen, 2011).

La proprietà individuale di una mod incoraggia gli utenti ad assumere decisioni strategiche autonomamente, riguardanti la qualità della mod e i tempi di sviluppo (Kow & Nardi, 2010). Poiché i modder devono essere imprenditoriali per far sì che le proprie creazioni abbiano successo, è nel loro interesse garantire mod di qualità e mantenerle aggiornate (Hong, 2013). Inoltre, i modder possono appoggiarsi alla community, cercando collaboratori per portare avanti il lavoro o migliorare la qualità di una mod, oppure “eredi” che ne raccolgano il progetto nel caso in cui lo sviluppo si fermasse (Kow & Nardi, 2010). Ciò segnala una supremazia della creatività e del lavoro volontario rispetto alle logiche di proprietà, quantomeno nel mondo ristretto dei modder: infatti, al di fuori della

community, tale ownership spesso non è riconosciuta dalla maggior parte degli utenti, a

cui interessa soltanto la qualità dell’esperienza di gioco. Si può anche vedere come, nel mondo dei modder, la proprietà sia un ostacolo all’espressività e alla creatività, in quanto intralcia il lavoro della community e la cultura partecipativa (Joseph, 2018).

Tale ownership sulle mod può essere riconosciuta dalle aziende in diversi modi, oppure può essere negata. Il riconoscimento della proprietà su un contenuto genera allineamento positivo rispetto ai creatori e alla community, che vedranno riconosciute le loro capacità e il loro potenziale creativo, e saranno spinti alla creazione di ulteriore contenuto (Kow & Nardi, 2010; Postigo, 2008; Sotamaa, 2007). Al contrario, una negazione della

ownership causerà un disallineamento tra l’azienda e i suoi utenti, che saranno meno

incentivati a produrre, se sanno che c’è il rischio di incorrere in sanzioni legali.