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Il mercato dei videogames: il ruolo dello user generated content e della pratica del modding nell'industria videoludica

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale

in Economia e

Gestione delle Arti e dei beni culturali

Tesi di Laurea Magistrale

MODDERS KNOW BETTER

IL CONTENUTO CREATO DAGLI UTENTI

NELL’INDUSTRIA VIDEOLUDICA, TRA

PARTECIPAZIONE CULTURALE E MODELLI

ECONOMICI

Relatrice

Prof.ssa VALERIA MAGGIAN Correlatore

Prof. WALTER QUATTROCIOCCHI

Laureando

ANDREA DI LORETO Matricola 871253

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Sommario

INTRODUZIONE ... 5

CAPITOLO 1: Il modding nell’industria dei videogiochi ... 8

1.1 Analisi del settore ... 8

1.1.1 Dimensioni del mercato ... 9

1.1.1.1 Il mercato globale ... 10

1.1.1.2 Il mercato su PC ... 13

1.1.2 L’industria dei videogiochi ... 14

1.1.3 Il videogioco come forma culturale ... 16

1.1.3.1 Il videogioco come arte di massa ... 16

1.1.3.2 Il videogioco come forma d’arte e gli art games ... 17

1.1.3.3 Il videogioco come forma di partecipazione culturale ... 20

1.2 Analisi della pratica del modding ... 22

1.2.1 Definizioni ... 22

1.2.1.1 User interface customization ... 24

1.2.1.2 Game conversions ... 26

1.2.1.3 Altre forme di modification ... 28

1.2.2 Supporto alle mod ... 30

1.2.2.1 Supporto delle aziende alle mod... 31

1.2.2.2 Altri fattori a supporto delle mod ... 33

1.2.3 Piattaforme di distribuzione ... 35

1.2.4 Retribuzione dei modder ... 37

1.2.4.1 Il caso dello Steam Workshop ... 38

1.3 Derivative products ... 39

1.3.1 I prodotti derivati dalle mod ... 41

(4)

2.1 Il business model dei videogiochi ... 45

2.1.1 Elementi chiave del business model ... 46

2.1.2 Evoluzione del business model ... 48

2.1.2.1 Il modello P2P ... 50

2.1.2.2 Il modello F2P ... 53

2.2 La catena del valore ... 58

2.2.1 La catena di valore dell’industria videoludica classica ... 59

2.2.2 La catena di valore dell’industria videoludica moderna ... 63

2.3 Il ruolo delle mod all’interno dell’industria ... 68

2.3.1 L’user generated content nel value network ... 69

2.3.2 Pratiche di co-creazione ... 71

2.3.2.1 La harnessing strategy ... 73

2.3.2.2 Apertura vs. Controllo ... 74

2.3.2.3 La retribuzione dei modder ... 74

2.3.3 Benefici per le aziende ... 75

2.3.3.1 L’innovazione attraverso le mod ... 77

2.3.3.2 Le mod come veicoli di conoscenza ... 78

2.4 Un nuovo modello di business ... 78

2.4.1 Elementi del modello platform ... 80

2.4.2 Il modello platform nel mercato videoludico... 82

CAPITOLO 3: La figura del modder nell’industria ... 84

3.1 La community dei giocatori ... 84

3.1.1 Tassonomia della community ... 85

3.1.1.1 Il ruolo dei lead user ... 90

3.1.2 La figura del modder ... 91

3.1.2.1 La relazione con la community ... 93

(5)

3.1.3 Le motivazioni dei modder ... 96

3.1.3.1 Il valore per i modder ... 99

3.1.3.2 I sacrifici legati al modding ... 100

3.2 Il modder come prosumer ... 102

3.2.1 L’ascesa del prosumer ... 102

3.2.1.1 Pratiche di produsage ... 106

3.2.1.2 Il prosumer nell’industria videoludica ... 107

3.2.2 La pratica del playbour ... 108

3.2.2.1 Il playbour come pratica economica e culturale ... 110

3.2.2.2 Giocare lavorando o lavorare giocando? ... 111

CAPITOLO 4: Aspetti legali ... 113

4.1 Il copyright dei videogiochi ... 113

4.1.1 Legislazione internazionale ... 114

4.1.1.1 Il copyright in America ... 116

4.1.1.2 Il copyright in Europa ... 117

4.1.1.3 Il copyright in Cina ... 119

4.1.1.4 Il copyright in Giappone ... 119

4.1.2 L’EULA e la proprietà sui videogiochi ... 120

4.2 La proprietà delle mod ... 121

4.2.1 Definizione legale delle mod ... 122

4.2.1.1 Le mod come fair use ... 123

4.2.1.2 La ownership delle mod ... 125

4.2.2 La strategia aziendale ... 126

CONCLUSIONI ... 129

BIBLIOGRAFIA ... 131

SITOGRAFIA ... 144

(6)

Articoli online ... 144 INDICE DELLE FIGURE ... 153 INDICE DELLE TABELLE ... 154 

 

 

(7)

INTRODUZIONE

Negli ultimi vent’anni, l’industria videoludica è enormemente cresciuta, divenendo una delle industrie più redditizie e più influenti del mondo culturale. Tuttavia, vi è ancora una certa ritrosia nel giudicare i videogiochi come un medium serio e capace di veicolare contenuti. In quanto prodotto artistico e culturale, il videogioco si trova ad occupare uno spazio unico, a metà tra la cultura “bassa” dell’intrattenimento e quella “alta” della riflessione culturale. Un modo per approcciare questo medium è analizzare la cultura partecipativa che si è creata, negli anni, attorno ai videogiochi, influenzando le scelte e le azioni delle aziende nei confronti della community. Di queste pratiche di partecipazione, il modding è certamente quella più importante, in quanto è unica dell’industria videoludica ed impossibile da ritrovare in altri medium culturali come l’arte, il cinema e la musica. Per modding, infatti, si intende la modificazione, da parte degli utenti, di un gioco, tramite l’aggiunta di contenuto o di codice al gioco originale. Obiettivo di questa tesi è, dunque, analizzare più a fondo questo importante fenomeno, collocandolo all’interno dell’industria videoludica e delle sue meccaniche ed inquadrandolo in un’ottica economica, sociale e legale.

La letteratura in merito non presenta un quadro generale, ma cerca di inquadrare la pratica del modding attraverso la teoria della cultura partecipativa di Jenkins (2006a, 2006b) e la teoria del prosumerismo di Bruns (2006). I diversi autori che hanno trattato l’argomento, tra cui Postigo (2003, 2007, 2008, 2010), Sotamaa (2003, 2007, 2010), Scacchi (2010, 2011), Münch (2013), Kow & Nardi (2010), Sihvonen (2011) e Hong (2013), hanno seguito questi due filoni letterari per cercare di descrivere tali pratiche. In nessun caso il

modding è descritto unicamente in un modo, piuttosto, la cultura delle mod ricade in

entrambe le teorie. Küklich (2005) ha coniato il termine playbour per definire le attività degli utenti dietro le mod e il loro rapporto con l’industria, basandosi su Terranova (2000) e su Coleman & Dyer-Whiteford (2005). Wallace (2014), Kawashima (2010), Kretzschmar & Stanfill (2018), Baldrica (2007) e la nota Spare the Mod dell’Harward Law Review (2012) hanno tentato di descrivere il nebuloso mondo legale dietro il

modding e i problemi legati al copyright.

Nonostante il numero di studi riguardanti il modding sia cresciuto negli anni, tale pratica rimane ancora in gran parte inesplorata, anche a causa delle diverse motivazioni che spingono gli utenti a produrre contenuto, che sono allo stesso tempo economiche e

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non-economiche (Poor, 2014). Diversi autori fanno rientrare tali attività nella teoria neoliberale del mercato, in cui anche il consumatore è produttore ed organizzatore del suo lavoro allo stesso tempo (Harvey, 2005; Hong, 2013; Brown, 2005). Quello che è certo è che la figura del consumatore-produttore è frutto dell’evoluzione digitale del mercato del lavoro, e la creatività nell’era del Web 2.0, e i problemi che porta, hanno risvolti sia per gli utenti, sia per l’industria.

Nel primo capitolo di questa tesi analizzeremo l’industria dei videogiochi e la sua recente espansione, e tenteremo di definire che cos’è una mod, che cosa si intende per modding e le pratiche ad esso collegate. Nel secondo capitolo descriveremo il modello di business dell’industria videoludica, la sua evoluzione nel tempo, la sua value chain e in che modo le mod rientrano in essa. Nel terzo capitolo, approfondiremo le motivazioni dei modder, inserendoli all’interno della teoria del prosumerismo e del playbour e descrivendo la

community di cui fanno parte. Nel quarto capitolo cercheremo di delineare un quadro

degli aspetti legali riguardanti i videogiochi e le mod. L’obiettivo di questa tesi è quello di raccogliere i punti di vista e le teorie che sono sorte negli anni attorno alla pratica del

modding in un discorso unitario, che riesca ad affrontarne ogni aspetto, per quanto

brevemente. Inoltre, si desidera proporre un modello di value network dell’industria videoludica che incorpori l’azione dei consumatori e gli effetti delle mod, basato sul modello prosumeristico di Bruns (2010), e una tassonomia dei modder che li categorizzi secondo il tipo di mod che creano, seguendo lo schema di Bartle (1996).

                       

(9)

                                                         

(10)

CAPITOLO 1: Il modding nell’industria dei

videogiochi

In questo capitolo vogliamo dare un primo sguardo generale all’industria dei videogiochi mondiale, per vedere i nuovi trend che la caratterizzano. Inoltre, descriveremo il videogioco in quanto prodotto culturale. Successivamente, daremo la definizione di mod e di modding, e cercheremo di categorizzarli e di descrivere le pratiche che circondano le attività dei modder. Infine, parleremo dei derivative products e di come siano collegati alla pratica del modding.

1.1 Analisi del settore

 

Il mercato dei videogiochi ha attraversato un periodo di grande evoluzione e cambiamento negli ultimi suoi vent’anni di vita. Dall’inizio del nuovo millennio ad oggi, il mercato ha visto la nascita di tre differenti generazioni di videogames (la sesta, la settima e l’ottava generazione) oltre all’ascesa dell’enorme settore dei mobile games. I cambiamenti ne hanno riguardato la dimensione, la produzione, la distribuzione e il consumo.

Il 2018 è stato l’anno di maggiore espansione del mercato dei digital games di sempre. I diversi settori di vendita di videogiochi hanno fruttato globalmente 109.8 miliardi di dollari (SuperData, 2018), con una crescita di più dell’11% rispetto al 2017.

 

Figura 1 – Ricavato dalla vendita digitale di videogiochi nel 2018 (SuperData, 2018)

I ricavi, come si vede dalla Figura 1, hanno riguardato soprattutto il mercato dei mobile

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non sia crollata, ma anzi sia cresciuta del 10% nel 2018, con un ricavo di 17,8 miliardi di dollari (SuperData, 2018), a farla da padrone sono i giochi free-to-play (F2P), cioè senza un costo all’ingresso, ma caratterizzati da una forte componente pubblicitaria e da micro-transazioni al loro interno, coprendo oltre l’80% del ricavato in tutto il mercato (Simon et al., 2014). Le micro-transazioni fanno parte di dei nuovi modelli di business legati allo sviluppo dei giochi free-to-play, e consistono nell’acquisto, attraverso pagamenti di piccole somme di denaro, di beni virtuali, come nuovi oggetti e miglioramenti estetici del gioco (Van Berlo & Liblik, 2016). Questo boom dei giochi free-to-play, con un aumento del 12 % circa rispetto al 2017, è dovuto principalmente a due fattori collegati fra di loro:  l’espansione del mercato asiatico, che, nel 2018, ha contribuito al 62 % dei ricavi totali dei giochi digitali F2P, con sette dei dieci giochi in cima alla classifica dei più venduti provenienti da case di produzione asiatiche, come la coreana Nexon e la cinese Tencent Holdings Limited (Simon et al., 2014);

 la diffusione di un certo modello di F2P, chiamato anche freemium, incarnato nel 2018 da Fortnite dell’americana Epic Games, responsabile da solo di un ricavo annuo pari a 2,4 miliardi di dollari e della crescita così pronunciata del fatturato del modello F2P (Simon et al., 2014). Come vedremo più in dettaglio nel Capitolo 2, il modello freemium non pone un prezzo d’entrata al gioco, che è disponibile gratuitamente per tutti, ma basa il guadagno sulle micro-transazioni all’interno del gioco (Davidici-Nora, 2014).

Il modello Fortnite si basa principalmente su due caratteristiche essenziali: l’essere multipiattaforma, cioè disponibile simultaneamente per PC, mobile e console, e l’offerta di un battle pass come alternativa vincente rispetto ad altri modelli di micro-transazioni (SuperData, 2018). Il battle-pass è un tipo di approccio alla monetizzazione dei videogiochi F2P che offre contenuto aggiuntivo ai giocatori che, in un periodo di tempo limitato, completano delle sfide e raggiungono le posizioni più alte in classifica. Fortnite ha fatto del battle pass il centro della sua strategia di monetizzazione, ispirando e influenzando la creazione di offerte dello stesso tipo in altri giochi F2P o a pagamento, come PlayerUknown’s Battleground, Call of Duty e Magic: the Gathering. Arena.

1.1.1 Dimensioni del mercato

Come abbiamo visto, il mercato dei videogiochi ha raggiunto dimensioni notevoli nel 2018, con un ricavato complessivo di 134,9 miliardi di dollari e una crescita del 10,9 %

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rispetto al 2017 (Batchelor, 2018). L’industria videoludica ha superato agevolmente sia l’industria musicale che l’industria cinematografica globale, con una differenza all’anno 2018 rispettivamente di 90,5 e di 68,3 miliardi di dollari a separarli (Smartlaunch, 2019). Il trend non sembra volersi fermare, con l’entrata sul mercato dei nuovi produttori orientali e una base di giocatori costantemente in crescita. Andiamo ora a vedere più in dettaglio la composizione del mercato, la sua evoluzione lo stato delle cose attuale. Dopodiché, ci concentreremo nell’analisi del mercato dei videogiochi per PC, il quale risulta il più interessante ai fini della nostra tesi.

1.1.1.1 Il mercato globale

Il mercato dei videogiochi ha ormai estensione globale, con i suoi epicentri al 2017 negli Stati Uniti, in Nord Europa e nell’ Asia centrale.

 

Figura 2 – I paesi con il ricavato maggiore in dollari per il mercato videoludico (NewZoo, 2018)

È in questi paesi che si concentrano le case di sviluppo più importanti e dai ricavi più ampi, come si vede in Figura 2. Andiamo a vedere nel dettaglio le performance di ogni

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area geografica, sfruttando i dati forniti dal 2018 Global Games Market Report del sito Newzoo (Newzoo, 2018).

 In testa abbiamo i mercati orientali, con un ricavato complessivo di 71,4 $ miliardi, equivalenti al 51,8 % delle entrate globali del 2018, superiori del 16,8 % rispetto a quelle del 2017. Il numero di giocatori nei paesi orientali è superiore al miliardo e 200 milioni di persone. Tra i paesi, la Cina e il Giappone sono in testa per ricavi, con 37,9 $ e 19,2 $ miliardi rispettivamente.

 A seguire, l’America del Nord, comprendente Stati Uniti e Canada, con un ricavato complessivo di 32,7 $ miliardi, corrispondenti al 23,7 % del mercato globale, a seguito di una crescita del 10 % rispetto all’anno precedente. Gli Stati Uniti rappresentano il secondo paese mondiale per ricavo, con 30,4 $ miliardi nel 2018, ma non per numero di giocatori, pari soltanto a 200 milioni di persone.  L’Europa Occidentale si configura come la terza area più redditizia, con un

guadagno complessivo di 20 $ miliardi, maggiori del 5,6% rispetto al 2017, costituenti una fetta del mercato globale del 14,5 %. In testa, la Germania, con 4,7 $ miliardi, e l’Inghilterra, con 4,5 $ miliardi. L’Italia, al pari con la Spagna, ha avuto un ricavato di soli 2 $ miliardi nel 2018. In Europa occidentale vivono poco più di 200 milioni di giocatori.

 L’America latina è il quarto continente più redditizio, con un ricavato complessivo di 5 $ miliardi nel 2018, pari al 3,6 % del ricavato globale, con una crescita del 13,5 % rispetto agli anni passati. Messico e Brasile guidano il mercato, con 1,5 $ miliardi di ricavi ciascuno. L’America latina conta 230 milioni di giocatori.  Le regioni medio-orientali e l’Africa rappresentano il quinto continente più

redditizio, con un ricavo complessivo di 4,9 $ miliardi, pari al 3,6 % del ricavato globale, con una crescita del 23,6 % rispetto al 2017. Turchia e Arabia Saudita sono i paesi con il ricavato maggiore, rispettivamente di 878 $ milioni e 761 $ milioni. I giocatori in questa regione sono più di 330 milioni.

 Infine, l’Europa Orientale e la Russia costituiscono la regione con minor ricavato nel 2018, pari soltanto a 3,9 $ miliardi, il 2,8 % del ricavato globale, in crescita rispetto al 2017 del 9,1 %. La Russia, con 1,7 $ miliardi di guadagni, guida le vendite di questa regione. Il numero di giocatori ammonta a circa 150 milioni per questi paesi.

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A seguito di questi dati, possiamo dire che i mercati orientali e medio-orientali sono quelli la cui crescita è stata più forte negli ultimi anni. La Cina si conferma il singolo mercato più largo, con una crescita prevista al 2021 del 19,2 %, per arrivare ad un ricavato di oltre 50 $ miliardi. Altri mercati in espansione nei prossimi tre anni saranno l’India e le altre regioni del sudest asiatico, cementando l’Asia come paese più redditizio e con il maggior bacino di utenti per il mercato dei videogiochi.

 

Figura 3 – Ricavato globale diviso per aree geografiche (NewZoo, 2018)

Possiamo motivare questa crescita a seguito del boom parallelo nel settore dei videogiochi per smartphone e tablet, che per la prima volta nella storia nel 2018 hanno costituito oltre il 50 % dei ricavi globali dell’industria. Il mobile gaming, cioè i giochi su dispositivi mobili, è particolarmente apprezzato nei paesi asiatici, dove si concentrano molte case di sviluppo tecnologiche, di smartphone e tablet (NewZoo, 2018).

Analizziamo ora i diversi settori del mercato nel 2018.

 Come abbiamo detto, il ricavato delle vendite dei giochi per smartphone supera per la prima volta tutti gli altri campi, con un guadagno complessivo di 56,4 $ miliardi, pari al 41 % di tutto il mercato, in crescita del 29 % rispetto al 2017.  A seguire, ma staccato di molto dal mercato mobile, troviamo i giochi per console,

di cui i maggiori esponenti sono la Sony per la Playstation, la Microsoft per l’Xbox e la Nintendo per la Nintendo Switch. Il ricavato complessivo dei giochi

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per console nel 2018 è di 34,6 $ miliardi, cioè il 25 % del mercato, con una crescita rispetto all’anno precedente del 4,1 %.

 Subito dietro troviamo il mercato dei giochi per PC, con un ricavato annuo di 28,6 $ miliardi, cioè il 21 % del mercato globale, in crescita rispetto al 2017 del 4,5 %.  Per ultimo, ma accomunabile al settore mobile, il mercato dei giochi per tablet, che raggiunge i 13,9 $ miliardi di guadagni, pari al 10 % del fatturato complessivo, con una crescita del 13 % rispetto al 2017.

È evidente come la crescita dei giochi per mobile sia sproporzionata rispetto a quella degli altri settori. Questa crescita è stata resa possibile da diversi fattori: innanzitutto, il miglioramento dei motori degli smartphone e dei tablet, diventati più potenti e graficamente performativi grazie allo sviluppo tecnologico e a forti investimenti nel settore (Feijòo, 2014); lo sviluppo di giochi e l’adattamento di generi classicamente riservati a PC e console anche per i mobile device; la spinta sulle componenti competitive e multiplayer anche per i giochi casual e meno impegnativi (De Prato et al., 2014); lo sviluppo delle applicazioni cloud, che permettono di oltrepassare i limiti di memoria del dispositivo appoggiandosi su di un online network; infine, possiamo anche citare come ragion d’essere di questo sviluppo il comprovato successo del modello di business dei giochi F2P, con micro-transazioni al loro interno, che rappresentano il 90 % dei modelli di business per prodotti mobile (Newzoo, 2016). L’app economy, in cui l’offerta di dispositivi e di network sempre più avanzati incontra la domanda sempre crescente dei consumatori, si basa principalmente sui mobile games come fonte primaria di reddito.

1.1.1.2 Il mercato su PC

Il mercato dei videogiochi per personal computer, sebbene, come abbiamo visto, abbia un’importanza ridotta a livello globale rispetto ad un tempo, è ancora uno dei mercati più importanti sui quali il sistema è portato ad investire. Il mercato PC è valutato a 29,5 $ miliardi nel 2018, e ci si aspetta che salga a oltre 33 $ miliardi di ricavato per il 2020, come evidenziato dalla Figura 4 (Video Gaming Africa, 2017). Il suo epicentro è tuttora all’interno del Nord America e dell’Europa centrale, mentre i mercati asiatici si concentrano di più sull’industria mobile e tablet. Il ricavato del mercato per PC non è formato solo dalla vendita dei videogiochi, ma anche dalla vendita hardware, che ammonta a oltre 23 $ di dollari al 2017 (Jon Peddie Research, 2014).

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Figura 4 – La dimensione del mercato PC (Video Gaming Africa, 2017)

La piattaforma Steam è il canale di distribuzione digitale di videogiochi preferito dagli utenti PC e dagli sviluppatori, con un fatturato di oltre 5 $ milioni nel 2018 (VG24, 2018). Tra i giochi per computer, in cima alla lista troviamo Fortnite e League of Legends per il mercato dei titoli F2P, e PlayerUnknown’s Battleground, Call of Duty V e Grand Theft

Auto V per il mercato premium, cioè dei titoli a pagamento (SuperData, 2018).

1.1.2 L’industria dei videogiochi

Quando parliamo di industria dei videogiochi parliamo di un’industria che si sviluppa a livello globale, tramite un sistema di business e un modello di creazione del valore molto complessi e ramificati.

Innanzitutto, possiamo fare una prima distinzione tra le aziende che compongono il mercato: dividiamo le aziende di sviluppo (developers), che si occupano della programmazione e dello sviluppo creativo del gioco, dalle aziende di distribuzione (publishers), che provvedono all’advertising, alla distribuzione dei prodotti e alla gestione delle licenze (Zackariasson & Wilson, 2012).

Lo sviluppo di un gioco si può dividere in tre diversi segmenti (Zackariasson & Wilson, 2012; Bethke, 2003):

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 lo sviluppo first-party di titoli prevede che le case di sviluppo siano di proprietà delle stesse aziende di publishing, dunque, lo sviluppo avviene tutto all’interno dell’azienda. È il caso dei grandi publisher e dei pezzi grossi dell’industria, come Sony, Microsoft e Nintendo, che impiegano sviluppatori first-party per creare giochi adatti alle loro console;

 lo sviluppo second-party riguarda quelle case di sviluppo che sono legate da contratto ad una specifica azienda o uno specifico publisher, ma non sono di proprietà. È il caso della Game Freak, casa di sviluppo che si occupa del brand Pokémon per la Nintendo ma che non è di proprietà della Nintendo;

 infine, i titoli third-party sono sviluppati da case di produzione slegate dai

publisher, che possono lavorare in proprio (è il caso delle piccole case di sviluppo

indipendenti, o indie, come l’australiana Team Cherry, per citare un caso di grande successo) o a contratto per uno o più publisher (l’americana Activision Blizzard sviluppa giochi sia first-party, per sé stessa, che third-party, stipulando contratti con altre case di sviluppo).

Un’analisi più approfondita del mercato rivela che una gran parte dei software per videogiochi è prodotto da un ristretto numero di aziende che dominano il mercato (Statista, 2016). In questo senso, il mercato dei videogiochi è un oligopolio, in cui la maggior parte del reddito è generato da poche aziende di punta, tra cui figurano le tre grandi produttrici di console, cioè Microsoft, Sony e Nintendo e la cinese Tencent (Hennig-Thurau, 2013). Ogni azienda è caratterizzata da un vasto portafoglio di titoli, ciascuno indirizzato ad un certo tipo di consumatori, per garantire una presenza su tutti i mercati e una differenziazione dell’offerta.

Un’altra importante componente del mercato sono i canali di distribuzione dei prodotti. Fino agli anni 2000, questa componente riguardava principalmente la distribuzione fisica del prodotto, dunque i negozi di videogiochi che vendevano fisicamente il prodotto. Dal 2003, con la nascita di Steam, seguita da altre piattaforme di vendita virtuale, alle copie fisiche dei giochi si sono via via sostituite le copie virtuali, e la distribuzione, ai nostri giorni, riguarda principalmente tali piattaforme. Tra queste ricordiamo anche l’Epic Games Store, il PlayStation Store della Sony e, per quanto riguarda il mercato mobile, l’iOS Store e il Google Play Store (De Prato et al., 2014).

Non andremo oltre ad indagare il business system dell’industria dei videogiochi ora, lasciando un’analisi più dettagliata per il Capitolo 2.

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1.1.3 Il videogioco come forma culturale

Come abbiamo visto, i videogiochi hanno superato come dimensione del mercato altri settori culturali ben più affermati, come il cinema e la musica. Tuttavia, il loro statuto come forma d’arte dà tuttora adito a discussioni e controversie. Vediamo alcune delle posizioni più esplicative di questo tema e cerchiamo di sintetizzare una risposta alla domanda: i videogiochi sono una forma d’arte?

1.1.3.1 Il videogioco come arte di massa

Un videogioco, in quanto oggetto, è ontologicamente differente da un quadro o una scultura, in quanto non ne esiste una singola istanza, ma può essere facilmente riprodotto ed ogni istanza ha la stessa “valenza” ontologica di un’altra (Tavinor, 2011). Dunque, possiamo classificare i videogiochi in quella forma di arte chiamata arte di massa (mass

art) secondo la definizione di Noël Carroll (1998, p. 196):

“1. is a multiple instance or type art work, 2. produced and distributed by a mass technology, 3. which art work is intentionally designed to gravitate in its structural choices (for example, its narrative forms, symbolism, intended effect, and even its content) toward those choices that promise accessibility with minimum effort, virtually on first contact, for the largest number of untutored (or relatively untutored) audiences.”

Le condizioni (1) e (2) sono facilmente verificabili, in quanto un videogioco può essere giocato contemporaneamente da molte persone diverse, su dispositivi tecnologici di massa come cellulari, tablet, PC o consoles. La condizione (3) è più difficile da verificare, in quanto i videogiochi richiedono una certa abilità per essere giocati (Tavinor, 2011), anche se si può affermare che tali barriere di abilità sono state praticamente annullate con l’espansione del mercato mobile, i cui prodotti sono indirizzati a giocatori casual, senza esperienza di gioco. Un’altra barriera che limita l’accesso a certi videogiochi è quella computazionale: certi giochi richiedono una certa potenza computazionale o un motore grafico di un certo livello per poter essere usufruiti.

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d’intrattenimento, come i film, la musica o i libri. Quando guardiamo un film già visto, sappiamo cosa aspettarci, in quanto la trama, la composizione della scena, le luci e l’audio saranno uguali all’ultima volta che lo abbiamo visto. Di un film, siamo spettatori passivi. Nel caso di un videogioco, che basa la propria esistenza sull’interazione con i giocatori, invece, ogni volta che giocheremo avremo esperienze diverse: soprattutto nei giochi

open-world, potremo saltare intere sequenze di trama, decidere di non compiere alcune

missioni, o dare alla trama un’altra direzione con le nostre scelte.

Ontologicamente, definiamo la relazione tra un film e la sua struttura rappresentativa come la relazione tra un tipo e le sue istanze (type/tokens relationship, Lopes, 2001). Il tipo di un film determina sempre ed è sempre determinato dalle sue istanze, che condividono la stessa la sua struttura rappresentativa. Non è dunque il caso dei videogiochi, in cui non sembra esserci una singola struttura artistica comune a tutte le istanze del gioco (Tavinor, 2011). Questo è particolarmente vero in quei giochi che danno molta libertà ai giocatori di personalizzare la loro esperienza (come i role-play

videogames e i videogiochi di simulazione come The Sims). Dunque, questa caratteristica

rende falsa la condizione (1) della definizione di Carroll, che vuole che ogni multipla istanza di un tipo sia uguale alle altre (Carroll, 2001).

Tuttavia, Tavinor (2011) sostiene che i videogiochi, per quanto lontani da un film o un libro, si basino comunque su una struttura artistica, articolata però sull’interpretazione dell’algoritmo di gioco attraverso gli assets, cioè i contenuti audio-video, e gli input del giocatore. Tale struttura artistica quindi non è espressa attraverso una relazione

type/tokens, ma tramite un “computational artifact” (Tavinor, 2011, p. 13), cioè un

artefatto in grado di generare infinite combinazioni di assets a partire dall’algoritmo e dagli input dei giocatori. Dunque, il videogioco può rientrare nella definizione di Carroll di “mass art”, in quanto istanza multipla di un singolo computational artifact.

1.1.3.2 Il videogioco come forma d’arte e gli art games

Abbiamo parlato di come il videogioco possa costituire una forma d’arte di massa secondo la definizione di Carroll (2001). I videogiochi, tuttavia, possono essere definiti artistici? Possono, cioè, i loro contenuti essere definiti artistici in quanto portatori di significati? Tale questione di natura filosofica è aperta e il dibattito è estremamente esteso; cerchiamo, dunque, di definire alcune delle posizioni più importanti sul tema senza addentrarci troppo in un argomento che richiederebbe una vasta ricerca a sé stante.

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Partiamo da una visione critica della questione, citando la tesi del critico Roger Ebert

Video games can never be art del 2010, in cui sostiene che i videogiochi non possono

essere considerati una forma d’arte a causa del fatto che essi sono costituiti da regole, punti, obiettivi e condizioni di vittoria (Ebert, 2010). La stessa possibilità dello spettatore di interagire con il prodotto renderebbe inammissibile lo statuto di “opera d’arte”, andando contro all’opinione di altri autori che invece vedono i videogiochi come una forma d’arte “in fieri”, non ancora sviluppata in tutto il suo potenziale (Santiago, 2010; Sjöberg, 2010). A sostegno di Ebert, altri autori hanno sostenuto che è proprio la capacità di scelta dei giocatori ad invalidare l’autorialità, dunque l’artisticità, dei videogiochi (Moriarty & Caoili, 2011).

Un’altra posizione critica da citare è quella di Michael Samyn, membro fondatore dello studio videoludico Tale of Tales, che in una conferenza del 2010 sulla storia dell’arte nei videogiochi espresse i suoi dubbi sull’artisticità dei videogiochi, sostenendo che, derivando essi dai giochi, non avrebbero fatto altro che andare incontro ad un bisogno fisiologico delle persone, cioè quello del “gioco” (Pratt, 2010). Ciò sarebbe sufficiente per invalidare l’idea di gioco come opera d’arte. Secondo Samyn, per poter avvicinare il videogioco ad un’espressione artistica, ci si dovrebbe liberare dell’influenza dell’industria videoludica, che impone un modello di videogioco basato sulla competizione e sul gameplay (Samyn, 2011), ed andare verso un gioco “non-gioco” in cui l’autorialità possa essere espressa al di fuori della logica di gameplay e di intrattenimento (Samyn, 2011).

Le affermazioni di Samyn non stupiscono, in quanto lo studio belga Tale of Tales è considerato uno studio “indie”, cioè indipendente, specializzato nella creazione di quelli che vengono chiamati art games, cioè giochi caratterizzati da un’estetica distintiva o altamente stilizzata, creati da team di sviluppo relativamente piccoli in cui è facilmente distinguibile una figura autoriale, un gameplay ridotto ai minimi termini e un “tema” centrale su cui i giocatori sono portati a riflettere (Parker, 2013; Stalker, 2005). Tale tema può essere una riflessione politica, identitaria o sociale, o un tentativo di farci immedesimare in un personaggio per cui proviamo empatia (Holmes, 2003; Dìaz, 2015). La definizione non è univoca né comprensiva, ma serve ad inquadrare un genere videoludico che negli ultimi anni è divenuto piuttosto diffuso, con titoli come Limbo della Playdead (2010), Journey della Thatgamecompany (2012), Unravel della Coldwood Interactive (2016) e, in un certo senso, Undertale di Toby Fox (2015).

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Il mondo degli art games è strettamente legato a quello della produzione videoludica

indie, con piccoli studi di sviluppo capaci di affrontare i rischi di creare giochi con

meccaniche innovative e non classicamente “giocose” (Stalker, 2005). Questo concetto di “non-gioco” prende forma in titoli in cui il gameplay si configura più come una passiva “camminata” in un mondo virtuale in cui il giocatore è semplice spettatore passivo di una narrazione. In questo senso il videogioco è stato avvicinato più all’architettura che ad altre forme d’arte, in cui l’artista crea uno spazio di cui lo spettatore può fare esperienza secondo i suoi termini (Young & Misener, 2011).

Tuttavia, il concetto di art games ha sollevato numerose critiche, innanzitutto per il fatto di innalzare in questo modo un muro tra un videogioco “alto”, collegato a valori propriamente artistici, e un videogioco “basso”, che risponde unicamente ad una funzione di gioco (Young & Misener, 2010; Pedercini, 2011; Sterling, 2012). In particolare, si parla di un doppio standard: qualora un gioco si concentrasse su delle meccaniche di gameplay e di competizione, come gran parte dei giochi considerati mainstream, sarebbe immediatamente escluso da un discorso artistico; un gioco che, invece, venisse sviluppato come art game, cioè con un’estetica distintiva e un gameplay innovativo, non avrebbe comunque quelle caratteristiche per poter essere chiamato a tutti gli effetti “artistico” nel senso tradizionale del termine (Young & Misener, 2010). Inoltre, chiamare arte gli indie

games soltanto perché innovano il genere e si differenziano dai giochi mainstream

sarebbe come dare validità all’innovazione in quanto tale, pur essendo gli indie games altrettanto aridi di contenuti artistici quanto altri giochi (Smith, 2013). C’è anche da dire che gli art games sono spesso stati considerati elitari, per un pubblico colto, accademico e “snob”, e raramente attirano le attenzioni dei gamer come invece fanno giochi più basati sulla competizione e sul gameplay (Holmes, 2003; Sterling, 2012; Rogers, 2013).

Mettendo un attimo da parte le differenze strutturali, ciò che differenzia un art game è principalmente l’intento artistico, assente dai videogiochi mainstream realizzati con fini puramente commerciali e orientati al gameplay (Stalker, 2005; Ploug, 2005). In un art

game, la parte gameplay e interattiva altro non è che un mezzo per un fine artistico, che

può essere estetico, comunicativo o riflessivo (Holmes, 2003). Graham ed Elizabeth Coulter-Smith (2006, pp. 179) definiscono i videogiochi come “a mode of communication

that is not instrumental and not overbearingly focused on the linguistic model”, cioè un medium comunicativo che richiede una partecipazione attiva invece che basarsi su un

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fonte di creatività nella vita di tutti i giorni, ma riconoscono che, ad oggi, gli art games sono realizzati principalmente per un’audience accademica ed istruita.

In definitiva, il bagaglio che il videogioco si porta dietro e non gli permette di entrare a pieno titolo nei canoni della high art è quello di essere associato ad uno sviluppo commerciale ed industriale e di essere configurato come bene di consumo e intrattenimento (Holmes, 2003). Gli art games possono uscire da questi canoni, a discapito tuttavia di alcuni elementi essenziali del gioco in quanto tale: il gameplay, il ruolo attivo ed interattivo del giocatore e una larga fetta di audience – e, dunque, una

community realmente dedicata (Stalker, 2005; Holmes, 2003; Coulter-Smith, 2006).

1.1.3.3 Il videogioco come forma di partecipazione culturale

Abbiamo visto che l’idea che un videogioco figuri tra le high arts ha suscitato numerose controversie ed è ancora per molti inaccettabile. Tradizionalmente, i videogiochi occupano un “cultural gutter”, uno strato culturale considerato “basso”, kitsch, rientrante nella categoria della low art (Young & Misener, 2010). I videogiochi sono spesso associati alla cultura giovanile, alla sedentarietà e all’occupazione del tempo libero, come anche altri prodotti di intrattenimento, caratterizzati da un’”improduttività” di fondo (Cannon, 2005; Pearce, 2006). Tuttavia, non si può negare che i videogiochi siano una delle forme di intrattenimento più diffuse nel mondo, e che continuino ad avere un’influenza sulla cultura popolare, finendo per formare una sub-cultura caratterizzata dal proprio lessico, i propri rituali e le proprie community, come vedremo nel Capitolo 3 (Sihvonen, 2011; Burger-Helmchen & Cohendet, 2011).

Una cultura della partecipazione è definita in contrasto alle tradizionali nozioni di ricezione passiva dei media e vede il consumatore come una parte fondamentale del processo di creazione del valore. Essendo il videogioco un prodotto creativo, esperienziale e di intrattenimento (Troilo, 2014), il suo valore sta tutto nell’esperienza di consumo del giocatore. Il gioco stesso presuppone dunque una partecipazione tra lo sviluppatore e il consumatore, in quanto sta a quest’ultimo la parte della creazione del valore tramite il consumo (Pearce, 2006). Tuttavia, tale processo va molto oltre il semplice consumo edonico di un gioco: il valore di un videogame sta anche e soprattutto nella capacità di comunicarlo e condividerlo con una community attiva e partecipante.

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Tale cultura partecipativa va oltre il gioco, inserendosi nella filosofia OSS0F

1, che da sempre incoraggia la collaborazione, il co-learning e la libera circolazione di informazioni (Pearce, 2006).

Possiamo definire il videogioco come una forma “ibrida”, un mix di tecnologia, contenuti artistici e storytelling interattivo (Burger-Helmchen & Cohendet, 2011). Attraverso differenti pratiche di consumo, è possibile, per i consumatori, appropriarsi culturalmente di questa forma ibrida, adattandola ai propri bisogni e alle proprie preferenze (Scacchi, 2011; Shivonen, 2011). Una prima forma di appropriazione culturale sono le mod, attraverso cui è possibile, come vedremo, cambiare colore della pelle di un personaggio o del proprio avatar. La personalizzazione dell’avatar è un “livello zero” del design di molti giochi – un paradigma che deriva dalla prima domanda basilare che un gioco può fare ad un giocatore: vuoi essere maschio o femmina (Shivonen, 2011)? In giochi come

The Sims, in cui il gameplay è incentrato sulla creazione di contenuto da parte del

giocatore, questo tipo di appropriazione è portato alle estreme conseguenze, e le mod costituiscono un modo per aggiungere scelte dove non sono state previste (Shivonen, 2011).

La partecipazione culturale, dunque, non passa per forza dalla condivisione dell’esperienza di gioco: non a tutti interessa o non tutti hanno la possibilità di giocare in compagnia. Tuttavia, dal momento che il giocatore fa una scelta – maschio o femmina? – sta compartecipando ad una creazione di valore, assimilando il gioco all’interno della propria cultura, delle proprie credenze e dei propri rituali (Shivonen, 2011; Scacchi, 2008). L’avatar videoludico è una maniera di rappresentare sé stessi, o, quantomeno, ciò che si vuol far percepire di sé, soprattutto nei giochi multiplayer (Jordan, 1999; Waggoner, 2009). Anche il modo di giocare è un’espressione di sé stessi, dei propri desideri e di ciò che effettivamente appaga (Bartle, 1996). Anche se attraverso il gioco non siamo portati a interagire con altri giocatori (come succede in tutti i giochi

single-player), stiamo comunque interagendo con il lavoro creativo di autori e sviluppatori, e,

fintanto che il gioco rimane interattivo, è sulla nostra partecipazione che il valore del gioco risiede. Le mod sono la forma più esemplificativa di tale partecipazione e della pratica dell’appropriazione culturale del media videogioco.

   

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1.2 Analisi della pratica del modding

 

Definiamo ora in modo preciso cosa si intende per modding e cerchiamo delle definizioni che ci aiutino a circoscrivere il nostro campo di ricerca. Il modding è una pratica ampia, sfaccettata e difficile da inquadrare, dunque, partiamo dalle definizioni di cosa è una mod, cosa si intende per modding e dove si trovano le mod per focalizzare meglio il problema.

 

1.2.1 Definizioni

 

La pratica del modding deriva dalla parola mod, che è un’abbreviazione di modification, cioè modificazione. Riferito ad un videogioco, per mod si intende un’alterazione di contenuto, che opera in maniera differente dal videogioco di partenza (Dey et al., 2016). La pratica del modding è definita come “the end user alteration of commercial hardware

and software products” (Kow, 2010, p. 1), o come “modification of a game through user-made additions of game content” (Hong, 2013, p. 985). Di conseguenza, coloro che

creano le mod sono chiamati modder, e sono principalmente da ricondurre alla fanbase di un gioco o una serie di giochi (Sotamaa, 2010; Postigo, 2008). La cultura del modding può essere vista come una cultura partecipativa, in cui i fan di un prodotto assumono un ruolo attivo in processi di “re-structuring and tweaking” della narrativa del prodotto stesso (Postigo, 2010; Jenkins, 2002; Sotamaa, 2010; Shivonen, 2011).

Possiamo dire che i giochi sono divisi in due componenti principali: il contenuto del gioco (content) e il motore di gioco, o engine (Wallace, 2014; Postigo, 2010; Sihvonen, 2011). Il contenuto del gioco è ciò con cui gli utenti interagiscono, attraverso l’interfaccia utente (UI), ed è composto dall’avatar del giocatore, dai personaggi, dai livelli e dagli oggetti. Ogni gioco ha un contenuto unico e a sé stante, a cui gli utenti possono avere più o meno accesso nei file di gioco (Sihvonen, 2011). Il contenuto si appoggia sul motore di gioco, cioè una collezione di moduli software riutilizzabili, che comprendono il render grafico, il motore fisico, i modelli di suono e l’intelligenza artificiale (Wallace, 2014). Un motore di gioco è molto difficile e costoso da costruire partendo da zero, dunque è pratica comune riutilizzare lo stesso engine per più giochi diversi, soprattutto in una stessa casa di sviluppo, o anche tra diversi produttori. Il motore Unreal Engine 3, della Epic Games, è stato utilizzato per più di 250 giochi differenti, da diverse case di produzione.

Una mod non è mai un software a sé stante, ma interviene sul contenuto di un gioco, basandosi sul suo engine. Questi interventi possono essere effettuati in due modi:

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di modificare il contenuto del gioco, oppure sfruttando dei software di terze parti (Wallace, 2014). La differenza tra questi due metodi risiede nella differente applicazione dei copyright contenuti all’interno dell’EULA (End-User License Agreement) del gioco: una mod realizzata con gli strumenti forniti dalla casa di sviluppo è autorizzata dall’EULA, fintanto che non se ne fa uso commerciale, mentre degli interventi realizzati con software di terze parti potrebbero non essere autorizzati.

Le mod possono modificare delle caratteristiche del gioco, possono aggiungere delle componenti o del contenuto ex novo o possono correggere dei bug o delle sviste presenti nel gioco originale. Dalle mod più semplici, in cui è soltanto il comparto grafico ad essere modificato, si arriva alle mod più complesse ed estese, come ad esempio le total

conversions, in cui è l’intero gioco ad essere modificato o allargato (Hong, 2013). Le mod

per un gioco possono diventare così importanti da richiedere una distinzione tra il gioco modificato o “moddato” e il gioco originale, o vanilla. La versione vanilla di un gioco non comprende nessuna mod al suo interno, mentre esistono giochi che possono sostenere centinaia di mod attive al proprio interno.

Scacchi (2013) individua cinque tipologie diverse di mod:

 personalizzazione dell’interfaccia (user interface customization);  conversione parziale o totale di un gioco (game conversion);  modificazioni artistiche o machinima (machinima and art mods);

 personalizzazione hardware di computer da gioco (game computer

customization);

 modificazioni delle console di gioco (game console hacking).

Per il nostro ambito di ricerca, ci interesseremo delle prime due tipologie di mod, che riguardano esclusivamente i software di gioco, ed escluderemo un’ulteriore ricerca sulle ultime due tipologie, incentrate su modificazioni dell’hardware. Inoltre, non ci soffermeremo sul fenomeno delle machinima (immagini e video creati partendo dall’engine grafico di un gioco) né sull’utilizzo dei contenuti dei giochi per la creazione di prodotti artistici o altro user generated content. Tali prodotti ed esperimenti, per quanto interessanti dal punto di vista del linguaggio artistico utilizzato, non rientrano a far parte del nostro ambito di ricerca in quanto sono pensati e realizzati per scopi differenti rispetto alle mod.

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1.2.1.1 User interface customization

Un primo livello di personalizzazione dell’esperienza di gioco viene spesso proposto direttamente dalle aziende nei loro prodotti, al fine di migliorare la soddisfazione dell’utente e il successo del prodotto. L’interfaccia di gioco è un medium attraverso il quale i giocatori possono esprimere la propria personalità o ottenere vantaggi nel gioco derivanti da una maggiore quantità di informazioni a loro disposizione. In questo caso, sono gli sviluppatori a decidere e governare il livello di personalizzazione dell’esperienza di gioco, e non si può parlare propriamente di mod. Spesso e volentieri, inoltre, la personalizzazione dell’interfaccia viene monetizzata dalle case di produzione attraverso i sistemi di micro-transazione, soprattutto nei casi dei giochi F2P (Davidici-Nora, 2014). Si possono osservare tre tipi di personalizzazione dell’interfaccia utente (Scacchi, 2013):

 la prima e più comune è la possibilità di selezionare, personalizzare e accessoriare il personaggio a cui è associata l’identità dell’utente nel gioco. Ad esempio, nei giochi con un avatar, il giocatore può personalizzare il colore dei capelli, il vestiario e il sesso del proprio avatar;

 la seconda è la possibilità di personalizzare i colori, le forme e il tema dell’interfaccia utente, similmente a quanto si può fare con un browser. Ad esempio, cambiare il colore o la dimensione dell’interfaccia;

 in terzo luogo, vi sono i componenti aggiuntivi (add-on o plugin) dell’interfaccia utente che vanno a modificare la gestione delle informazioni di gioco, ma che non modificano necessariamente le regole o le funzioni di gioco. Tali add-on sono spesso creati dagli stessi giocatori, utilizzando le risorse fornite dalla casa di sviluppo – le API (Application Programming Interface), che regolano le modificazioni al codice e costituiscono uno “spazio di design” per gli sviluppatori indipendenti (Davidici-Nora, 2009). Gli add-on vengono generalmente utilizzati per fornire informazioni maggiori o più dettagliate sulle statistiche numeriche di gioco, normalmente non visibili. La richiesta per tali add-on cresce proporzionalmente all’esperienza degli utenti: informazioni più dettagliate e precise sono utili e richieste dalla base di giocatori più esperti, mentre possono risultare superflue e confusionarie per i giocatori alle prime armi (Davidici-Nora, 2009). Gli add-on sono creati esclusivamente per il gioco originale, e non hanno

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Figura 5 – World of Warcraft senza add-on (sopra) e con add-on attive (sotto) (WoW Interface, 2019)

Un esempio di add-on lo troviamo in World of Warcraft, celebrità nel mondo dei MMORPG (Massive Multiplayer Online Role-Playing Game): più un giocatore diventa esperto e sblocca contenuti difficili, più diventa importante avere accesso a informazioni di gioco precise e avere un’interfaccia ottimizzata (Figura 5). La

Blizzard ha concesso agli utenti l’accesso alle API del gioco, permettendogli di

creare add-on e plugin adatti alle esigenze dei consumatori più esperti. Questi

add-on sono gratuitamente scaricabili e, in alcuni casi, vengono implementati

dalla stessa Blizzard in update successivi al gioco.

Generalmente, gli add-on sono mod piccole, di dimensione contenuta, sviluppate da una o due persone. Le conoscenze necessarie per sviluppare degli add-on riguardano principalmente i linguaggi di programmazione ed una buona conoscenza delle meccaniche di gioco e delle necessità dei giocatori. Non è difficile per un appassionato cimentarsi con la creazione di un add-on, se possiede delle competenze nella

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programmazione. Inoltre, le case di sviluppo possono offrire risorse o supporto ai creatori di add-on, fino ad integrare gli add-on ritenuti più utili all’interno del gioco stesso. Di questa pratica parleremo meglio più avanti.

1.2.1.2 Game conversions

La forma più comune di mod è rappresentata dalle mod di conversione. Tali mod possono essere divise in due grandi categorie (Scacchi, 2013):

 mod di conversione parziali, che vanno ad aggiungere o modificare:

a) i personaggi presenti nel gioco, tra cui l’avatar del personaggio e gli NPC (Non-Playable Characters), il loro aspetto, le loro capacità e il loro comportamento;

b) gli oggetti di gioco come armi, equipaggiamento e magie; c) i livelli di gioco, le missioni, gli ambienti e gli scenari; d) le regole e le meccaniche del gioco.

Tali mod sono le più comuni e diffuse, e sono eterogenee per dimensioni, complessità e scopi, anche nell’ambito dello stesso gioco. Solitamente non modificano l’engine1F

2 del gioco, ma agiscono all’interno del codice in maniera supplementare (Sihvonen, 2011), sfruttando le risorse già presenti nel gioco o creandone e importandone dall’esterno. Ad esempio, una tipologia molto diffusa di mod è creata per migliorare le texture utilizzate in un gioco e, per farlo, le importa a risoluzione più alta (Figura 6). Le texture possono essere realizzate con programmi terzi dagli utenti e poi inserite all’interno del gioco se il formato lo supporta.

Le mod di conversione parziali hanno una dimensione solitamente limitata, e possono essere sviluppate da singoli individui o team di sviluppo ristretti. Le mod più modeste, che aggiungono uno o pochi elementi ad un gioco, come un’arma, una mappa o un personaggio, vengono chiamate add-on. Le mod di conversione parziale più estese vengono chiamate overhaul, e consistono nella modifica quasi totale della grafica e delle meccaniche di un gioco, con l’intento di migliorarne la qualità, la difficoltà o la funzionalità. Un esempio di overhaul è una mod che

   

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agisce sul sistema di combattimento di un gioco, migliorandolo o modificandone certi aspetti;

 

Figura 6 – Comparazione tra il prima e il dopo nella mod Enhanced Lights and FX per Skyrim, sviluppata per

migliorare la luce ambientale dall’utente anamorfus nel 2012 (NexusMods, 2020)

 mod di conversione totali, che modificano l’intero assetto di un gioco, arrivando a creare giochi interamente nuovi basati sull’engine del gioco originale ma irriconoscibili da esso per meccaniche, grafica o gameplay. Tali conversioni sono ambiziose e richiedono la collaborazione di più sviluppatori indipendenti in un progetto di lavoro a lungo termine (Figura 7). Le mod di conversione totale possono portare alla nascita di derivative products, come vedremo più avanti, in cui ogni risorsa del gioco originale viene sostituita e viene creato un nuovo engine di gioco, in modo da poter sfruttare il prodotto a fini commerciali senza infrangere le leggi del copyright. Un celebre esempio di una mod di conversione totale è

Counterstrike, una mod per il gioco Half-Life II della Valve, diventata un gioco a

sé stante quando la stessa Valve ne ha acquistato i diritti nel 2011 e lo ha lanciato sul mercato, rendendolo uno tra i giochi più famosi e competitivi della storia (Küklich, 2005).

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Le mod di conversione sono generalmente più difficili da realizzare delle mod per la modificazione dell’interfaccia, e spesso non hanno nessun supporto da parte delle case di sviluppo. Le capacità richieste per sviluppare delle mod di conversione spaziano dalla programmazione, alla grafica, alla modellazione 3D e all’uso di software avanzati e costosi per la creazione di contenuti originali e indipendenti dal gioco, come Blender o Maya. In altri casi, come abbiamo visto, le case di sviluppo mettono a disposizione degli utenti dei toolkit o degli OSS (open-source software) basati sull’engine di un gioco, che permettono di creare con facilità dei contenuti indipendenti. Come vedremo, la distribuzione e l’uso dei toolkit ha avuto effetti molto importanti sullo sviluppo del mercato videoludico.

 

Figura 7 – L’ambiziosa mod Enderal per Skyrim, che mira a creare un intero nuovo mondo partendo dall’engine

originale. Sviluppata dal team SureAI e rilasciata nel 2016 (NexusMods, 2020)

1.2.1.3 Altre forme di modification

Non rientrano tra le tipologie sopra citate alcune tipologie di mod che risultano però importanti per la nostra ricerca (Shivonen, 2011). Tali tipologie sono:

 le unofficial patch: una patch “non ufficiale”, creata per risolvere bug o problemi del gioco che la casa di produzione non vuole o non riesce a risolvere, oppure per sbloccare del contenuto aggiuntivo del gioco che è stato nascosto o bloccato. Tali

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della casa di sviluppo, per ottenere prestazioni migliori, o per avere a disposizione anche certi contenuti inseriti nel gioco dagli sviluppatori, ma bloccati o nascosti per varie ragioni2F

3. Una tipologia di unofficial patch riguarda le mod create per adattare dei giochi di generazioni precedenti agli hardware di nuova generazione, garantendo delle prestazioni ottimali anche per giochi concepiti per motori grafici o engine più vecchi. Un’altra tipologia raccoglie le mod per il porting, cioè l’azione di trasportare un gioco dalla sua piattaforma di origine ad un’altra piattaforma per cui non è stato pensato dalla casa di sviluppo. Queste mod spesso si accompagnano a dei programmi chiamati emulatori (emulators), capaci di riprodurre su una certa piattaforma (solitamente un computer) il sistema di gioco di un’altra console.

 i giochi sandbox, letteralmente “recinto di sabbia”. In tali giochi, vengono posti pochissimi limiti ai giocatori, e lo scopo primario è scoprire e modificare il mondo di gioco a proprio piacimento, seguendo le meccaniche e i limiti imposti dagli sviluppatori (Shivonen, 2011). I giochi sandbox, di cui Minecraft è l’esponente di spicco, pongono l’accento sulla creatività del giocatore, integrando pratiche di co-creazione come elemento fondante dell’esperienza di gioco (Banks & Potts, 2010). Sebbene tali giochi non possano essere considerati a supporto delle mod, in quanto tutte le modifiche avvengono all’interno delle meccaniche del gioco predisposte dagli sviluppatori, sono importanti da ricordare perché incoraggiano e rafforzano l’inventiva degli utenti, costituendo dei banchi di prova per potenziali

modder. Inoltre, presentano spesso un supporto efficace e dedicato alla creazione

di vere e proprie mod;

 i life simulator games. Ricordiamo infine i giochi di simulazione di vita reale, di cui certamente la serie The Sims è l’esempio più famoso e lampante. In tali giochi, l’attenzione è di nuovo posta sulla creatività del giocatore, cioè sul contenuto

player-generated (Sihvonen, 2011). che può creare e modificare arredamento,

planimetria e decorazioni della casa e della città dei suoi avatar virtuali. Nel caso specifico di The Sims, è la stessa casa di produzione, l’Electronic Arts, a gestire un intero negozio di creazioni di contenuti originali dei giocatori, sia basate

   

3 Uno dei casi più famosi di questo tipo di mod è la Hot Coffee mod per GTA: San Andreas, grazie a cui i giocatori hanno potuto sbloccare delle scene di sesso esplicito inserite dagli sviluppatori ma nascoste nel codice. La scoperta ha portato la ESRB a cambiare il rating del gioco da Maturo (M) a Solo Adulti (AO).

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interamente sul sistema di gioco (ad esempio, si può condividere la propria casa affinché altri utenti possano costruirla uguale), sia mod vere e proprie (un vestito completamente nuovo o un reskin di un vestito esistente), che quindi possono essere scambiate e condivise con la community in maniera facile e controllata.

1.2.2 Supporto alle mod

Un aspetto da definire meglio per inquadrare in maniera completa il mondo delle mod è che non tutti i giochi possono avere mod (non tutti i giochi sono “moddabili”, mod-able). I giochi che possono avere mod sono una percentuale molto bassa rispetto al mercato globale dei videogiochi.

Per operare una prima, elementare restrizione, possiamo dire che la maggior parte delle

mod viene sviluppata unicamente per i videogiochi per PC, che, come abbiamo visto,

rappresentano una parte abbastanza ristretta del mercato globale (circa il 21 % del mercato secondo Newzoo, 2018). Compiamo questa restrizione perché le mod, per essere sviluppate, richiedono un accesso al software che costituisce il prodotto e degli strumenti per modificarlo. Un tale livello di accessibilità non è raggiungibile nel caso di giochi per

console o mobile, in quanto l’architettura stessa della macchina non permette di accedere

direttamente al codice alla base dei software. Soltanto il computer rende possibile l’accesso parziale o completo ai programmi che compongono i videogiochi, e pertanto, la maggior parte delle mod è limitata ad un’applicazione PC. Questo aspetto si riflette anche sulla distribuzione e il download delle mod da parte degli utenti: è molto facile per qualsiasi utente scaricare una mod sul computer e applicarla al gioco, mentre su console o mobile è molto più difficile, per l’assenza di un browser, di siti dedicati e di un’interfaccia ottimizzata.

Dunque, le mod realizzate su computer sono difficilmente esportabili su altre piattaforme. Lo stesso gioco potrebbe avere una differente configurazione di dati su computer e su una

console, o addirittura su sistemi operativi differenti. Molte mod realizzate su Windows,

infatti, incontrano difficoltà o non funzionano quando vengono esportate per MacOS. Inoltre, gran parte degli strumenti software per le modificazioni sono pensati primariamente per Windows. Dunque, possiamo dire che il mondo delle mod, per quello che interessa a noi in questa ricerca, è limitato ad un preciso ambiente di sviluppo, cioè ai giochi usciti per personal computer con Windows come sistema operativo.

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1.2.2.1 Supporto delle aziende alle mod

Un'altra importante caratteristica che un gioco deve avere per poter essere “moddabile” riguarda l’estensione del supporto che la casa di sviluppo offre agli utenti. Una casa di sviluppo ha diversi modi per offrire supporto agli utenti che desiderano creare contenuto originale. Il potenziale per le modificazioni degli utenti cambia considerevolmente nei diversi giochi, a seconda della combinazione dei diversi tipi di supporto.

- Una prima tipologia di supporto che la casa di sviluppo può offrire riguarda il formato in cui i file di gioco vengono programmati (Shivonen, 2011; Postigo, 2010). Ad esempio, salvare le variabili di gameplay su un formato di testo facilmente accessibile agli utenti, oppure utilizzare immagini in un formato standard come il bitmap per la grafica agevolmente modificabili. La casa di sviluppo può anche agevolare l’accesso ai file centrali del gioco, rendendoli esportabili e modificabili, come in Doom, in cui le risorse grafiche erano situate in una cartella separata accessibile agli utenti. Un altro esempio di supporto di questo tipo è l’agevolazione all’importazione di modelli e contenuti realizzati con programmi terzi o l’introduzione, all’interno del gioco stesso, di programmi di gestione delle mod, seguendo l’esempio di Supreme Commander.

- Una seconda tipologia di supporto riguarda il rilascio, da parte della casa di sviluppo, di editor, toolkit o SDK (Software Developement Kits) dedicati per la modificazione di un gioco (Poretski & Arazi, 2017; Postigo, 2010). Questi strumenti (mod-making tools) sono solitamente basati sul sistema di gioco, e permettono la creazione di mod anche agli utenti che non hanno esperienza di programmazione o che non hanno le risorse per creare contenuti più complessi. La pratica di affiancare al gioco principale un editor o un toolkit dedicato si è affermata negli anni ’90 e ’00 (Coleman, Dyer-Whitford, 2007). Ad esempio, Maxis, per il lancio nel 2000 di The Sims, ha rilasciato l’editor di gioco prima ancora del rilascio ufficiale del gioco stesso, dando vita ad una vasta base di mod create dagli utenti. L’editor più famoso, probabilmente, è quello che ha accompagnato il rilascio da parte della Blizzard di Warcraft III: il World Editor di Warcraft III permetteva agli utenti di creare nuove mappe e scenari altamente personalizzabili, e ha portato alla creazione di una delle mod più famose ed influenti della storia dei videogiochi, cioè Defense of the Ancients, che ha lanciato il genere MOBA (Massive Online Battle Arena).

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Un altro esempio di questo tipo riguarda il rilascio da parte di Epic Games di un

toolkit, l’Unreal Developement Kit (UDK), che permettesse agli utenti di

modificare tutti i giochi creati dalla casa di sviluppo con lo stesso motore grafico, cioè l’Unreal Engine 3 (Postigo, 2010). Il toolkit è liberamente disponibile sul sito dell’azienda, ma, se si intende fare un utilizzo commerciale delle mod prodotte con esso, richiede un pagamento di 99 €, più il 25 % in royalties del ricavato del gioco. Il rilascio del toolkit come un prodotto stand-alone ha permesso all’azienda di separare la pratica delle mod dal gioco originale: a causa di ciò, non si può più parlare propriamente di mod quando si descrivono i prodotti originali creati a partire dall’UDK, che diventano dei veri e propri giochi stand-alone (Postigo, 2010).

- Un terzo tipo di supporto riguarda l’aspetto legale che le aziende possono offrire agli utenti che desiderano produrre contenuto originale, eliminando le restrizioni poste dall’EULA sulla creazione di contenuto originale o proteggendo direttamente i diritti dei modder (Poretski & Arazi, 2017). I contenuti originali creati e diffusi attraverso internet e, in particolar modo, le mod, si muovono in un ambiente legale dai contorni ancora incerti e sfumati, all’interno delle leggi internazionali e regionali sul copyright. Un’azienda che volesse supportare la creazione di contenuto originale da parte dei propri utenti potrebbe agire per non essere così ferrea nell’imporre le leggi del copyright. Su questa complicata questione torneremo nel quarto capitolo di questa tesi.

- Una quarta tipologia di supporto alle mod può riguardare le piattaforme di diffusione delle stesse. Ad esempio, Steam, la piattaforma di distribuzione digitale di videogiochi più famosa e importante, ha introdotto, nel 2012, lo Steam Workshop, un servizio di hosting per i contenuti originali creati dagli utenti. Tale servizio ha aiutato i creatori di mod a condividere le proprie creazioni e ha reso il

download per gli utenti più facile ed intuitivo. Un altro servizio di questo genere

riguarda l’hosting di forum e siti in cui gli utenti possono condividere e commentare le proprie creazioni (Banks & Humphreys, 2008; Postigo, 2010). - Infine, un’ultima tipologia di supporto riguarda il pagamento, o l’offerta di premi

in denaro, ai creatori delle mod. La monetizzazione delle mod e la retribuzione dei

modder è un argomento tuttora discusso e irrisolto, e i pochi casi in cui si è provato

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esempio, la monetizzazione, nel 2015, delle mod contenute nello Steam Workshop).

Combinare queste tipologie di supporto non significa assicurare mod di qualità o una produzione quantitativamente importante di mod. Altri fattori che influiscono sulla quantità e sulla qualità di mod prodotte sono la popolarità del gioco stesso, le possibilità che il motore di gioco offre e una fanbase dedicata e impegnata (Poretski & Arazi, 2017).

1.2.2.2 Altri fattori a supporto delle mod

Affinché un gioco possa ricevere delle mod, innanzitutto deve essere abbastanza conosciuto ed essere giocato da molte persone. Una base di fan e conoscitori abbastanza larga è il primo requisito affinché si crei il giusto ambiente per lo sviluppo di contenuti creati dagli utenti. Come vedremo nel terzo capitolo, una delle motivazioni principali che spingono i modder a creare contenuto riguarda l’aspetto sociale e di condivisione delle proprie creazioni. Se gli utenti di un gioco non sono abbastanza attivi, o non si creano piattaforme online su cui condividere la propria passione e le proprie idee, difficilmente verranno create delle mod, e il gioco verrà abbandonato alla fine del suo ciclo di vita produttivo.

Un altro aspetto essenziale per lo sviluppo di una comunità di modder attorno ad un gioco, come abbiamo visto, è l’accessibilità del motore di gioco e le possibilità che esso offre. Non tutte le case di sviluppo sono interessate a rendere accessibile il codice di un gioco da loro pubblicato, e molti prodotti, specialmente i prodotti “tripla A”3F

4, non offrono alcun appiglio agli utenti per creare contenuto originale partendo dal codice (Postigo, 2010). Ad esempio, la Activision, nella serie di giochi sparatutto Call of Duty, ha sempre protetto il codice del gioco, per garantire alla comunità un’esperienza di gioco multiplayer uguale e paritaria per ogni giocatore. Coloro che utilizzano mod in tali giochi sono visti in cattiva luce dalla community e vengono chiamati cheater, cioè “bari” (Shivonen, 2011). Utilizzare del codice originale per migliorare le proprie chance a scapito degli altri giocatori è una pratica condannata dalla comunità e dai produttori (Fiorido, 2013), che si impegnano a combattere gli utenti che se ne avvalgono rimuovendo i loro account. Nel caso di World of Warcraft, che abbiamo visto alla sezione 1.2.1.1, gli add-on sviluppati

   

4 I giochi “tripla A” si riferiscono a quei giochi blockbuster sviluppato da grandi publisher, con un budget estremamente alto dietro lo sviluppo e un sicuro successo di pubblico (Simon et al., 2014)

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e utilizzati dai consumatori non modificano le statistiche e le meccaniche di gioco, dunque non rendono più facile il gioco a discapito di altri giocatori, e il loro utilizzo è incoraggiato dalla casa di sviluppo (Davidici-Nora, 2014).

La medaglia di gioco con più mod al suo attivo va a The Elder Scroll V: Skyrim, pubblicato da Bethesda, con un totale di file originali creati dagli utenti superiore ai 62.000 (Nexus Mods, 2019), senza contare le mod non contenute su siti ufficiali (Poor, 2013; Agarwal & Seetaraman, 2015). A seguire, nella classifica, troviamo quasi tutti gli altri titoli Bethesda: i due antecedenti di Skyrim, cioè The Elder Scrol III: Morrowind e The Elder

Scroll IV:Oblivion, insieme alla serie Fallout con i titoli Fallout III, Fallout New Vegas e Fallout IV. I titoli Bethesda, da soli, raccolgono un totale di più di 164.000 mod, cioè il

71 % di tutti i file raccolti sul sito Nexus Mods. I pochi titoli non-Bethesda che figurano nei primi dieci titoli per numero di mod sono The Witcher 3, della casa di sviluppo polacca CD Projekt Red, e la serie di tre titoli di Dragon Age, sviluppato da Bioware e distribuito da EA. Tutti questi titoli hanno in comune di appartenere al genere RPG (Role-Playing

Game, giochi di ruolo), di avere un’ambientazione fantasy o fantascientifica e di fornire

una profonda personalizzazione del proprio avatar di gioco (Dey et al., 2016). Si può dare una motivazione a questa preferenza riferendosi al modello di Yee (2006) sulle motivazioni degli utenti, che pone come uno dei cinque fattori principali “Immersion and

escapism”, cioè l’immersione in un mondo altro e l’evasione dal mondo reale.

Poretski ed Arazi (2017) individuano invece nella “modularità” dell’esperienza di gioco che tali prodotti offrono il loro successo nelle comunità dei modder: essi presentano una struttura di gioco ricca, aperta, libera e soprattutto ripetibile, con vasti mondi esplorabili e molte diverse missioni da portare avanti. In tali giochi, i modder possono facilmente inserire un nuovo contenuto, sotto forma di una nuova missione, un nuovo equipaggiamento o un nuovo personaggio, in maniera organica rispetto al gioco originale, senza cioè modificare la struttura del gioco. La stessa cosa non si può dire di quei giochi con una struttura lineare, in cui l’esperienza si presenta come in un film, senza dare la possibilità al giocatore di deviare il percorso. In questi casi, è difficile che si sviluppi una comunità di modder e creatori di contenuti.

Un’altra caratteristica di successo di molte mod è il fattore competitivo (Agarwal & Seetaraman, 2015). Come vedremo nel paragrafo 1.3, le mod più famose ed importanti, che si sono evolute in giochi veri e propri, hanno tutte una forte componente multiplayer e competitiva, e devono il loro successo anche alla pubblicità e alla diffusione degli

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