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CAPITOLO 2: Business model e value chain dei videogiochi

2.2 La catena del valore

2.2.1 La catena di valore dell’industria videoludica classica

L’industria dei videogames classica, che ancora si basava sui retail store per la vendita dei prodotti e in cui internet non era ancora capillarizzato com’è adesso, presenta una

value chain molto simile al modello descritto da Porter (1985), secondo il modello

 

Tabella 2 - La value chain tradizionale e le attività primarie dei diversi attori (Elaborazione personale)

Analizziamo fase per fase i diversi attori di questa value chain tradizionale:

 il publisher è il primo attore da cui l’offerta di prodotto può partire (Zackariasson & Wilson, 2012). Esso ha il capitale necessario a finanziare lo sviluppo di giochi di alta qualità, inoltre, si occupa delle questioni legali legate alle licenze artistiche del prodotto, ai costi di localizzazione, di marketing, di distribuzione e di creazione di contenuti per il prodotto. I grandi publisher distribuiscono loro stessi i giochi che sviluppano, ma possono anche essere pagati da case di sviluppo più piccole per distribuire i loro giochi sotto il loro nome (Zackariasson & Wilson, 2012). Normalmente, i publisher si specializzano nel creare giochi per una sola piattaforma, di cui spesso sono loro stessi proprietari e produttori (come la Sony per la Playstation, la Microsoft per l’XBoX e la Nintendo per la Nintendo Switch). Nel caso in cui non siano produttori della piattaforma, i publisher sono obbligati a pagare una royalty al proprietario della piattaforma per cui stanno sviluppando il gioco prima della vendita del gioco stesso, esponendosi quindi ad un rischio finanziario (Zackariasson & Wilson, 2012).

Se il publisher commissiona lo sviluppo ad un developer esterno, si dice che il gioco viene sviluppato second-party o third-party, a seconda che il developer sia

Publisher • Capitale, marketing, legal licensing

Developer

• Design, programmazione, scrittura, animazione, debugging

Producer • Certificazione, produzione

Distributore • Stoccaggio, delivery

o meno legato esclusivamente a quel publisher. Se invece lo sviluppo è interno allo stesso publisher, il gioco viene detto first-party e il team di sviluppo è definito

studio (Bates, 2004). L’acquisto di uno studio richiede un grande investimento,

che deve essere ripagato da un successo commerciale, ma evita al publisher il dover pagare ulteriori royalty sulle vendite (Ahmed, 2006). Per quanto riguarda i

developer esterni, i publisher stipulano dei contratti per lo sviluppo di uno o più

giochi. In tali contratti sono specificati una serie di obbiettivi di produzione, o

milestones, al raggiungimento dei quali il publisher paga una parte di royalties in

anticipo allo sviluppatore. Nel caso di studi second-party, le royalties sono generalmente più alte per sopperire al fatto di non poter sviluppare giochi per altri

publisher nello stesso tempo (Bethke, 2003).

Esempi di publisher sono le Americane Electronic Arts (EA), Sony Interactive Entertainment e Activision Blizzard, la cinese Tencent, la giapponese Nintendo e la francesce Ubisoft;

 il developer (sviluppatore) è il secondo attore nell’industria che può dare il via alla produzione di un gioco, occupandosi del suo sviluppo software (Bethke, 2003). Tra i compiti dello sviluppatore rientrano il game design, la programmazione del software di gioco, la scrittura dell’eventuale storyline, la creazione degli asset grafici e sonori e l’eventuale localizzazione del titolo. Un

developer può essere una sola persona che si occupa di tutto, una piccola squadra

di persone o un grande team che lavora su giochi di grandi dimensioni, con ruoli individuali ben precisi (McGuire & Jenkins, 2009). Un developer può essere specializzato per lo sviluppo di giochi per una specifica piattaforma, o può lavorare su più piattaforme. Inoltre, molte case di sviluppo si specializzano in un genere di giochi, come i first-person shooter o gli RPG.

Molti developer si appoggiano finanziariamente e per la distribuzione ad un

publisher (Bates, 2004), mentre gli studi che si occupano da soli della

distribuzione dei loro titoli vengono definiti indipendenti o indie (Gnade, 2010). Come abbiamo visto, i developer possono essere first-party, se di proprietà di un

publisher, second-party, se non sono di proprietà di un publisher ma sviluppano

giochi esclusivamente per un unico publisher, oppure third-party, se non sono di proprietà dello studio (Bethke, 2003).

Lo sviluppo third-party è un settore economico piuttosto volatile e rischioso, in quanto spesso gli studi sono composti da un piccolo nucleo di persone,

estremamente dipendenti dal successo del publisher a cui si affiliano. Gli sviluppatori third-party possono essere a loro volta publisher di progetti interni (Zackariasson & Wilson, 2012). Il fallimento di un gioco può spesso mandare in rovina un piccolo developer, che, per proteggersi, può decidere di vendere la compagnia ad un publisher, e diventare uno sviluppatore in-house. Ciò può dare una buona stabilità finanziaria, ma non sempre gli obiettivi dell’azienda publisher coincidono con quelli dello sviluppatore, il cui lavoro può essere ridiretto verso i titoli mainstream dell’azienda piuttosto che sullo sviluppo di nuove IP.

Esempi di developer first-party sono la Naughty Dog, acquistata nel 2001 dalla Sony, e la Rare Limited, acquistata nel 2002 dalla Microsoft; esempi second-party sono la Game Freak Inc., che sviluppa giochi esclusivamente per la Nintendo, e la Insomniac Games Inc., sviluppatore per Microsoft; esempi third-party sono la Activision Blizzard, la Perfect World Games e la Obsidian Entertainment;

 la figura del producer spesso si sovrappone a quella del publisher, tranne nei casi in cui il publisher non è proprietario della piattaforma per cui si sta producendo il gioco. Ruolo del producer è di valutare ed approvare i giochi sviluppati per la propria console, affinché rispettino precise disposizioni tecniche e di copyright (Zackariasson & Wilson, 2012). Il publisher paga al producer una parte di

royalties prima della vendita del gioco, assumendosi i rischi finanziari del caso.

La parte di approvazione di un prodotto è essenziale soprattutto nel caso in cui questo debba essere disponibile per più piattaforme. Il producer si occupa anche della creazione fisica del supporto del gioco, cioè del CD o del DVD, del

packaging del prodotto e, consequenzialmente, del suo rating secondo lo Stato di

riferimento e le disposizioni PEGI (Tomaselli et al., 2008).

I grandi producer sono la Sony, la Microsoft e la Nintendo. Quest’ultima ha il suo

Nintendo Seal of Quality che certifica che un prodotto è stato approvato per le sue

piattaforme;

 il distributore si occupa della dispersione del prodotto fisico finito, dello stoccaggio e della consegna del prodotto presso i negozi al dettaglio. I grandi

publisher possono avvalersi di distributori di proprietà, mentre le case di

produzione più piccole o gli sviluppatori indipendenti devono per forza affidarsi a distributori esterni. Come vedremo, la distribuzione fisica è stata decisamente superata dalla distribuzione digitale. Tuttavia, fino a pochi anni fa, compagnie

come la californiana Game Center Distribution Inc. erano i principali attori nella distribuzione fisica dei prodotti;

 il retailer si occupa dell’offerta di prodotto al consumatore all’interno dei negozi, dunque di tutta quella parte che riguarda l’esperienza di acquisto, non solo dei giochi, ma anche delle piattaforme (Wingfield, 2015). Tradizionalmente, il retail

store si occupava anche di fidelizzare i consumatori con tessere, offerte e punti e

di mantenere il contatto con la clientela, oltre a gestire le attività di rivendita e di

trade-in dei prodotti usati. I giochi possono essere venduti in negozi specializzati

(Gamestop), ma anche in discount stores come Walmart, MediaWorld e BestBuy. Tale modello di value chain si adatta piuttosto bene alla produzione videoludica che va dagli inizi degli anni ’90 fino alla settima generazione di videogiochi, tra il 2007 e il 2011.