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SEZIONE PRIMA

5. Il dibattito sull’abrogazione degli artt 88 e 89 c.p.

Il diritto penale si fonda sul principio costituzionale, ex art. 27, del- la responsabilità personale e delimita il rimprovero alla sola sfera della consapevolezza, ritenendo che non si possa infliggere una pena in assen- za di colpevolezza.382

Questa logica ha portato le persone capaci ed incapaci di intendere e di volere ad un trattamento sanzionatorio su binari differenziati, perciò, in un’ottica di superamento, attualmente, la dottrina e la psichiatria hanno assunto due orientamenti contrapposti, che si distinguono in abolizionisti e realisti.383

Gli psichiatri abolizionisti384 sostengono che la logica della non imputabilità è strettamente collegata a quella che era la logica manico- miale, poiché il soggetto non imputabile non è capace di intendere e di volere e quindi non può gestire da solo la propria persona, il proprio pa- trimonio, se non con un tutore, ed in tal modo lo si predispone all’internamento ed isolamento per tutto il resto della sua vita.

Questa concezione, di cura, controllo e difesa sociale, ampiamente superata con la legge Basaglia, oggi resta, però, ancorata nel diritto pena- le agli artt. 88 e 89 c.p.

sicurezza, op. cit., pag. 339-340.

382 sul punto cfr. FIORE, Diritto Penale, parte generale, Wolters Kluwer, 2016, pag. 406 e ss., ma si richiama anche quella dottrina italiana che in modo deciso si pone contro l’utilizzabilità della categoria della colpevolezza, MOCCIA, Il diritto penale tra essere e

valore, Funzione della pena e sistematica teleologica, Napoli, 1992, pag. 88 e ss.

383 Questa distinzione emerge dal dibattito affrontato a Triste durante il Convegno del 2.2.2018, presso il Palazzo di Giustizia, “Articoli 88 e 89 del codice penale è possibile

abrogare il vizio di mente”, sul punto si richiama l’intervento finale di PICCIONE, “Rela-

zione di sintesi. Prospettive e percorsi di riforma legislativa”. Sull’orientamento realista

cfr. pag. 186.

384 Uno per tutti TORESINI, Psichiatria e libero arbitrio. L’abolizione dell’art. 88 del

Codice penale, estratto dal Convegno “Relazioni pericolose: Le controversie vecchie e

Eppure, in ambito psichiatrico si ritiene che il concetto di capacità di intendere e di volere è oramai obsoleto, soprattutto per quanto attiene la capacità di volere: «Si tratta di concetti privi di riscontro rispetto alle attuali conoscenze neuropsicologiche. L’espressione con cui il codice in- dica gli aspetti psichici o psicopatologici non ha infatti un valore scienti- fico e rappresenta solo un modo di dire convenzionale».385

Infatti, l’infermità mentale non conduce mai di per sé ad una condi- zione di totale o parziale non imputabilità, poiché non tutte le malattie comportano la totale incapacità o la diminuita capacità di intendere e di volere.386

Se così non fosse, che senso avrebbe allora la disciplina del con- senso informato del paziente psichiatrico? Il paziente psichiatrico può ri- fiutare il trattamento ed in tal caso il medico psichiatra non può darvi corso; se, invece, accetta, il sanitario dovrà verificare, anche nel corso della terapia, se il paziente è sempre consapevole ed il consenso ancora valido.387

Allo stesso modo, l’introduzione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno costituisce una messa in crisi dell’interdizione e dell’inabilitazione, poiché riconosce la capacità di agire della persona, ma allo stesso tempo l’impossibilità per quest’ultima, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi per effetto di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica.

385 VENTURINI, CASAGRANDE E TORESINI, Il folle reato. Il rapporto tra la responsabilità

dello psichiatra e la imputabilità del paziente, FrancoAngeli, 2010, pag. 147.

386 Sul punto si richiama PONTI MERZAGORA, Psichiatria e Giustizia, Milano 1993, pag. 25, secondo i quali «ben pochi sarebbero i soggetti …che debbano riconoscersi del tutto incapaci di intendere e di volere» e VENTURINI, CASAGRANDE E TORESINI, Il folle reato. Il rapporto tra la responsabilità dello psichiatra e la imputabilità del paziente,

op. cit. pag. 147.

La moderna psichiatria, quindi, esclude l’incapacità totale di inten- dere e di volere, limitandola ai soli casi di coma e del morbo di Alzhei- mer, sempre che sia in uno stadio finale.

Quindi, i limitatissimi casi di incapacità totale di intendere e di vo- lere sono ipotizzabili solo in favore di soggetti che di fatto non possono compiere alcuna fattispecie di reato.

Per tali motivi, anche i quesiti posti dai giudici ai consulenti tecnici chiamati a redigere la perizia psichiatrica sono spesso riduttivi rispetto alle acquisizioni della moderna psichiatria e psicologia o addirittura ina- deguati.

Se, quindi, ragioniamo sul presupposto psichiatrico che la malattia mentale non incide sulla capacità di intendere e di volere, ci si chiede se sia possibile riconoscere la responsabilità penale dell’infermo di mente autore di reato.

Già le Sezioni Unite, con la sentenza n. 9163/2005, riconoscendo, in forza delle evidenze scientifiche, cd. ‘quote di responsabilità’ in favore della persona con un disturbo mentale, fa proprio quell'orientamento psi- chiatrico secondo cui la risocializzazione dell'infermo di mente possa av- valersi anche della sua responsabilizzazione in tal senso.

Infatti, se si riconosce una certa responsabilità al reo, si riconosce anche la possibilità di punirlo e di rieducarlo.

Al contrario, con la dichiarazione dell’incapacità totale di intendere e di volere del reo e di conseguenza della sentenza di proscioglimento, questi non prende coscienza delle proprie responsabilità. Il reo prosciolto per incapacità totale non potrà essere riabilitato perché ritiene di non es-

sere responsabile, essendo supportato in tal senso anche dalla stessa psi- chiatria e dalla giustizia.388

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