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SEZIONE PRIMA

1. Il (discutibile) fondamento scientifico dell’imputabilità.

Nella struttura della colpevolezza, la teoria normativa oggi domi- nante sostiene che è colpevole un soggetto imputabile, capace di intende- re e di volere, il quale ha realizzato con dolo o con colpa una fattispecie prevista dalla legge come reato.

L’imputabilità è, quindi, un presupposto della colpevolezza159; è la maturità psicologica del reo, che consente di muovere un rimprovero per- sonale all’autore del reato.160

Come sosteneva la Scuola Classica del diritto penale, il rimprovero penale, che implica un giudizio anche morale, si può muovere al soggetto agente, dotato di libero arbitrio, fintantoché questi abbia la maturità men- tale di saper discernere tra ciò che è lecito e illecito. Se il soggetto manca di discernimento e quindi di libero arbitrio, come nel caso degli infermi di mente, non gli si può muovere un rimprovero, poiché non potrà com- prendere quanto l’azione che ha commesso sia riprovevole e pertanto non può essere condannato. Tale concezione è stata poi superata dalla Scuola

159 Si è affermato nella dottrina tedesca che forse più di colpevolezza sarebbe più esatto parlare di responsabilità, poiché la colpevolezza è solo uno dei fattori che concorrono a configurare la responsabilità penale, ROXIN, Politica criminale e sistema del diritto pe- nale, Saggi di teoria del reato, a cura di Sergio Moccia, Napoli, 1998, pag. 70.

160 In senso contrario PAGLIARO, Principi di Diritto Penale, Parte Generale, Settima Edizione, Milano, 2000, pag. 629 e ss. che considera l’imputabilità, in senso formale, come un aspetto della capacità giuridica penale, che fa da presupposto all’applicazione della pena, mentre da un punto di vista sostanziale come capacità di intendere e di vole- re. In senso analogo, l’ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Giuffrè, Milano 2000, pag. 616, secondo cui l’imputabilità è un modo di essere del soggetto, necessario perché l’autore di reato possa essere assoggettato a pena. Secondo Antolisei, quindi, la mancanza di imputabilità è causa personale di esenzione da pena.

Positiva, che negava il libero arbitrio, considerandolo una mera illusione psicologica161.

Sono, tuttavia, sorte una serie di dottrine intermedie, tra cui la Ter- za Scuola, che, aderendo ad una posizione compromissoria, ha recepito il sistema dualistico del doppio binario.162

Tra le principali teorie che hanno tentato di superare il contrasto tra la libertà e la causalità sono le teorie della normalità, dell'identità perso- nale e della intimidabilità.163

La teoria della normalità ritiene imputabile la persona che agisce normalmente, cioè l’uomo sano e maturo, che sa autodeterminarsi.

Tale impostazione non contesta al non imputabile l’assenza di libe- ro arbitrio, ma che le sue capacità intellettive non sono normali, pertanto, in assenza di normalità, manca la ragione di punire.

Problemi si pongono circa la definizione del concetto di normalità, che in diritto è diversa dal concetto psicologico e psichiatrico, poiché in ambito giuridico si sente la necessità di fissare un limite tra normalità e anormalità - nel codice penale tale limite lo si trova negli artt. 88 e 89 c.p., vizio totale e parziale di mente – al di là del quale inizia la follia. La normalità, quindi è stata così definita: «la normalità, per il diritto penale, è la facoltà di intendere gli oggetti della percezione con una mente non viziata da infermità [...] e a un livello di maturità corrispondente alla me- dia di sviluppo caratteristico dell'età; e la facoltà di adeguarsi a tale rap- presentazione».164

161 FERRI, La teorica dell'imputabilità e la negazione del libero arbitrio, Firenze, 1878, in cui l’Autore raccoglie tutte le prove per dimostrare l’inesistenza del libero arbitrio. 162 MANTOVANI, Diritto Penale, Padova 2009, pag. 561;

163 ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Giuffrè, Milano 2000, pagg. 610-612.

Secondo la teoria dell’identità personale, invece, è imputabile la persona se l’azione appartiene alla personalità del suo autore ovvero quando è espressione della sua personalità. Di conseguenza, la persona non è imputabile «quando viene meno nel soggetto il potere di manife- starsi secondo il proprio Io».165

La teoria della intimidabilità, infine, sostiene che l’imputabilità consiste nella capacità di essere intimiditi dalla minaccia della sanzione, perciò chi non ha la percezione di sé e delle proprie azioni non può essere destinatario di una pena, non percependo la coazione psicologica.

Tuttavia, tale concezione non è supportata nella realtà dal dato em- pirico, tenuto conto che i bambini e gli infermi di mente possono percepi- re e subire una intimidazione della sanzione anche maggiore rispetto al soggetto capace di intendere e di volere.

La teoria oggi predominante ritiene che il fondamento dell’imputabilità si rinviene nella concezione comune della responsabili-

tà umana, nel senso che la persona imputabile è in grado di capire il valo-

re sociale degli atti che compie. La persona non imputabile, invece, ha la libertà di scelta, ma in misura ridotta, perciò la collettività considera gli atti commessi dal non imputabile meno riprovevoli rispetto a quelli commessi dalle persone mature.166

Difatti, il dibattito legislativo preunitario si incentrò proprio sul concetto di «forza irresistibile», non solo intesa nel senso di infermità mentale propriamente detta, ma anche considerando gli stati affettivo-

165 ANTOLISEI, op. cit., pag. 611 in cui fa espresso riferimento a TARDE, Etudes pénales

et sociales, 1892 ed al suo concetto di «similitudine sociale», nel senso che l’individuo

deve avere tratti comuni con gli uomini con i quali vive in società. Questa teoria è con- forme a quella del SABATINI, La pericolosità criminale come stato soggettivo criminoso,

in Sc. Pos. 1921, pag. 253.

emotivi che possono far venir meno la cd. libertà di elezione, ovvero la possibilità di agire diversamente.167

Tuttavia, sia il legislatore che il costituente hanno ritenuto che un certo numero di soggetti possa tenere un comportamento alternativo e che quindi possano essere ritenuti responsabili dei loro atti. Infatti, la Co- stituzione, enunciando all’art. 27 che la responsabilità penale è personale, ha voluto sostenere che il soggetto risponde penalmente solo se può, co- me persona, comprendere il disvalore delle proprie azioni e autodetermi- narsi liberamente.

Il legislatore italiano ha previsto, quindi, l’imputabilità tra i principi della colpevolezza168, disponendo, all’art. 85 c.p., che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso non era imputabile, specificando che è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere.

In tal modo, l’imputabilità è considerata il presupposto della re- sponsabilità per la pena.169

Autorevole dottrina170 ha riconosciuto all’imputabilità un duplice profilo: da un punto di vista effettivo e concreto, l’imputabilità rileva come fatto giuridicamente valutato e presa di per sé; da un punto di vista formale ed astratto, invece, rileva come elemento che concorre alla de- terminazione della categoria del soggetto penalmente capace d’obbligo.

167 MANNA: L’imputabilita’ e i nuovi modelli di sanzione, Torino, 1997, pagg. 10 e 11. 168 Il legislatore tedesco, in forza del principio ‘nessuna pena senza colpevolezza’, al § 46 StGB dispone che la colpevolezza dell’autore del reato è fondamento per la commi- surazione della pena. Per le persone che non sono responsabili e che, quindi, non posso- no agire in modo colpevole, la legge prevede determinate misure di rieducazione e sicu- rezza, applicate solo in base alla pericolosità del soggetto e sono indipendenti dalla col- pevolezza, sul punto cfr. MAIWALD, L’evoluzione del diritto penale tedesco, in un con-

fronto con il sistema italiano, a cura di Militello, Torino, 1993, pag. 164 e ss.

169 BRICOLA, Fatto del non imputabile e pericolosità, op. cit., pag. 85 e MANTOVANI,

Diritto Penale, op. cit., pag. 632.

Entrambe le proiezioni devono ricollegarsi al momento della com- missione del fatto.

La capacità di intendere è la capacità di comprendere il significato

sociale e le conseguenze dei propri atti; per capacità di volere si intende

la capacità di autodeterminarsi liberamente.171

La capacità di intendere e di volere deve sussistere al momento del fatto e va valutata in base al singolo caso concreto, quindi non importa che essa non vi fosse in un momento antecedente al fatto o venga meno dopo il fatto.172

Se viene accertato che, al momento della commissione del fatto di reato, vi sia anche una sola forma di capacità, il soggetto agente sarà co- munque dichiarato non imputabile.173

Il legislatore, poi, individua le singole ipotesi di applicazione del suddetto principio: il vizio di mente (artt. 88 e 89 c.p.), la cronica intossi- cazione da alcool e da stupefacenti (artt. 91 e ss.), il sordomutismo (art. 96 c.p.), che escludono l’imputabilità quando l’infermità comporta inca- pacità di intendere e di volere; il minore di anni quattordici (art. 97 c.p.),

171 G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Quinta Edi- zione ed., Milano, 2015, pag. 383.

172 Cassazione penale, Sez. 2, n. 21826 del 5.3.2014, che richiama principi più volte af- fermati in Giurisprudenza, in base ai quali: «L'infermità mentale non costituisce uno sta- to permanente ma va accertata in relazione alla commissione di ciascun reato; essa non può essere ritenuta sulla sola base di un precedente proscioglimento dell'imputato per totale incapacità di intendere e di volere.» (Sez. 6, Sentenza n. 3843 del 07/10/1997), e che: «Non esiste incompatibilità logico-giuridica tra due sentenze, emesse nei confronti dello stesso imputato per fatti diversi, commessi in tempi diversi, delle quali una lo ri- tenga incapace e l'altra invece capace (ovvero di capacità grandemente scemata) perché l'infermità mentale può non costituire uno "status" permanente dell'individuo e l'accer- tamento delle condizioni mentali, ai fini dell' imputabilità, dev'essere effettuato in rela- zione al momento in cui il reato venne commesso» (Sez. 1, Sentenza n. 2883 del 24/01/1989). Questioni sono sorte in dottrina in relazione all’applicabilità di tali principi nei reati continuati e permanenti.

173 Sul punto si è affermato in dottrina la finzione della separazione delle due forme di capacità, stante la unicità della psiche umana, trattandosi di una “artificiosa separazio- ne” – in tal senso MANTOVANI 1990 e BANDINI, GATTI 1988.

per cui il legislatore presume in modo assoluto l’incapacità di intendere e di volere; l’età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni (art. 98, com- ma 1, c.p.), ove invece la capacità di intendere e di volere va accertata caso per caso.

Tali cause di esclusione della imputabilità non sono tassative, poi- ché possono verificarsi anche altre situazioni, non rientranti tra quelle elencate, per cui può applicarsi la regola generale di cui all’art. 85 c.p.

Questioni sono sorte proprio sul fondamento scientifico del concet- to di imputabilità, poiché nell’attuazione delle norme penali, in particola- re degli artt. 88 e 89 c.p., emerge un necessario ancoraggio della giuri- sprudenza al sapere scientifico per l’accertamento della capacità e della incapacità. Di fatto, le decisioni dei giudici si basano su indispensabili verifiche e valutazioni fattuali, psicologiche e psichiatriche.

L’incontro tra il diritto e la psichiatria, avvenuto, come detto, pro- prio durante il periodo del positivismo scientifico174, è durato per circa un secolo, fino poi a slegarsi progressivamente con l’entrata in crisi del con- cetto di malattia mentale, non considerata più presupposto della crimina- lità.

I giudici, a cui era rimasto l’accertamento in concreto della perico- losità sociale, hanno dovuto fare i conti con la riformata psichiatria fo- rense e con un equivoco concetto di malattia mentale, ponendo in essere spesso scelte disomogenee di interpretazione degli artt. 88 e 89 c.p.

174 Le teorie individualistiche confluirono nella cd. Criminologia clinica, che ebbe quale maggior esponente nella prima metà degli anni Cinquanta Di Tullio, il quale traspose il metodo clinico nella criminologia, in modo individualizzato, sul punto PONTI, MERZA- GORA BETSOS, Compendio di Criminologia, Quarta Edizione, Milano, 2008, pag. 104.

Il disorientamento della giurisprudenza, quindi, è il riflesso di quel- lo esistente in psichiatria, a causa della compresenza di differenti modelli interpretativi del concetto di malattia mentale.175

Difatti, il disturbo mentale è oggi percepito dalla moderna psichia- tria in modo radicalmente nuovo, che non si integra più con il significato che ne dà la legge176, ma che trova il suo spazio nella normalità.177

In tal modo, si è generata una vera e propria crisi del concetto giu- ridico di imputabilità178, poiché si è messo in discussione il dogma della irresponsabilità della persona con disturbo mentale.179

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