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5-Ci sono delle differenze tra le rivendicazioni e l’attivismo di oggi, rispetto agli anni ’70?

Fiorenzo Gimelli (Agedo Nazionale) Qui dico solo cose che ho letto, perché la mia conoscenza diretta del mondo LGBT è piuttosto recente. La mia idea è che negli anni Settanta era un movimento di tipo rivoluzionario, perché era una Rivoluzione di costume. Negli anni Sessanta non

c’era nemmeno la parola per definirli. Omosessuale viene dopo. Si parlava di capovolti, invertiti…con tutte le espressioni peggiori. Non c’era una parola per descriverli in modo non offensivo. E quindi questo era un po’il problema. Adesso la differenza è che oggi si pretende uguaglianza di diritti. Non basta dire: “esistiamo”, ma “esistiamo e vogliamo una vita tranquilla, normale, in mezzo agli altri, senza particolari patemi.” Negli anni’70 era un discorso di pochissime

figure apicali, di avanguardie rivoluzionarie che con grandissimo coraggio si sono esposte.

Mario Marco Canale (Anddos) Assolutamente si. Allora, devo dire che gli attivisti più grandi

d’età forse hanno più preconcetti rispetto agli attivisti più giovani, perché hanno subito sulla loro

pelle lo scotto di vivere una discriminazione più forte rispetto a quella che possono vivere le

persone più giovani. Certamente c’è un modo completamente diverso di approcciarsi e condividere

le battaglie. I più giovani sono anche più pratici; ne fanno meno questioni di principio. Se quello che vuole ottenere è il riconoscimento delle unioni, dice: bene, ci muoviamo e se dobbiamo accettare compromessi va bene purché ci diano uno straccio di legge. Invece le persone un po’più

grandi dicono no, di compromessi ne abbiamo accettati già troppi, se continuiamo ad accettare

compromessi saremo sempre il fanalino di coda dell’Europa, avremo sempre meno diritti… sono

posizioni assolutamente condivisibili, frutto di due esperienze di vita e di due età differenti. Una persona giovane ha tempo di immaginare che oggi passeranno le unioni e tra 10 anni i matrimoni. Una persona invece che ha 50, 60 anni si è stufata di aspettare.

Flavio Romani (Arcigay)Sono cambiati gli anni…io sono molto grato verso chi negli anni ’70 si è

lanciato per primo, con molto coraggio. Nella lotta per la rivendicazione di diritti. A una serie di personaggi dobbiamo solo dire grazie per le basi che hanno gettato del movimento.

Tra di loro: Franco Grillini, tra i fondatori di Arcigay, che fa ancora politica, come consigliere regionale in Emilia Romagna; Angelo Pezzana, Beppe Ramina, Marcella Di Folco, che adesso non

c’è più, la fondatrice del MIT; Vanni Piccolo… ce ne sono davvero molti e non vorrei dimenticarne qualcuno. Sono tenuti in grande considerazione all’interno del movimento.

Molti di loro sono ancora attivi e lottano con noi. Sono persone che hanno un’esperienza e una

conoscenza talmente vasta che sono punti di riferimento per tutti noi. E’ chiaro che le lotte degli

anni ’70 e quelle di oggi, anche dal punto di vista visivo, del linguaggio usato…sono diverse. Sono

molto cambiate, si sono adeguate ai tempi e agli strumenti che si sono resi disponibili. Negli

anni ’70 si scendeva in piazza nel modo più provocatorio possibile, per dare uno scossone al

patriarcato. Le manifestazioni venivano fatte in modo estremamente irriverente verso i valori

intoccabili di quei tempi. Le discussioni degli anni ’70 ed ’80 sulla famiglia borghese che non

andava cambiata ma eliminata; era la mentalità che deriva da una base politica di sinistra, dalle lotte

universitarie… se avessimo provato a introdurre il matrimonio tra due uomini nel 1976 saremmo

stati presi per pazzi dalla stessa comunità gay che vedeva il matrimonio come il male assoluto.

La discussione ha avuto anche un suo percorso: se negli anni ’70 la questione era accettare noi

stessi e valorizzare la propria individualità ed essere liberi di esprimersi, poi la discussione è andata

avanti, fino a che un’istituzione borghese, ritenuta propria della società patriarcale, significava in

realtà la rivoluzione delle rivoluzioni e avrebbe provocato la svolta.

Collettivo Caos Caserta Nel CAOS fanno parte adolescenti di vario sesso e orientamento sessuale, alcun* hanno iniziato a far parte del collettivo perché necessitavano un supporto post- coming out, altr* per conoscere la comunità LGBT. Essendo un collettivo fatto da adolescenti e per adolescenti non abbiamo, per ovvie ragioni, nessun componente che ha fatto parte dei primi movimenti LGBT italiani ma, avendo partecipato ad alcune conferenze di altre associazioni, abbiamo notato quanto lavoro sia già stato fatto e che le attuali realtà siano molto più lente e meno radicali. I

comportamenti radicali sono quelli più incisivi e che più danno nell’occhio, per quanto possano essere criticati sono quelli più efficaci e che aprono le porte alle richieste dei “moderati”.

Edda Billi (Casa delle donne) Gli anni ’70 sono stati la scoperta della nostra realtà, che esistevamo

per noi: “Io sono mia”; la scoperta che non ci doveva essere nessuno a definirmi, mi definivo da sola. Tutte le lotte che abbiamo fatto erano talmente un’esplosione, anche di felicità…Io sono stata

molto felice e mi sono molto divertita nei primi anni del femminismo, perché era una scoperta

dietro l’altra. Oggi, acquisite queste realtà, esiste un patriarcato che è ancora sovrano. Avere un sovrano che decide lui…è ancora molto duro. Poi, con l’evento delle mail, siccome non ci si guarda

più negli occhi, siccome non ci si sente più con il corpo, il fatto di parlarci con un mezzo meccanico

ha tolto molto delle possibilità di una Rivoluzione. E’ utilissimo, perché mi mette in contatto con la

Patagonia e con la Cina in tre secondi; ma il corpo se ne è andato ed una delle cose che manca oggi, al mondo femminista e lesbico e omosessuale, è questa possibilità di stare insieme confrontandosi davvero. Il fatto che ci sia un mezzo meccanico che ci divide, mi fa molta paura in realtà.

Irene Pasini (Cassero) Il Cassero, quando nacque nel 1982, aveva componenti e una cultura di base più da outsider: c'erano molti meno contatti con le istituzioni e sicuramente pochissima visibilità. Il Cassero di oggi è totalmente integrato nella cultura e vita bolognese, è conosciuto e vissuto anche da persone non LGBT e ha una più facile connessione con le istituzioni. Le richieste, invece, si potrebbero definire quasi le stesse: visibilità e diritti basilari.

Yuri Guaiana (Certi diritti) Richieste diverse direi di no: la riflessione è corale. Un modo di agire

diverso… certo i gruppi studenteschi hanno una modalità un po’più estemporanea e vivace mentre

le associazioni più strutturate hanno una modalità che può apparire più burocratica, ma

continuativa…Tutto l’associazionismo LGBT ha una buona capacità di intercettare l’associazionismo giovanile e anche i leader più anziani del movimento sono percepiti come la parte

giovane della società italiana, nel senso che le rivendicazioni del movimento sono rivendicazioni di spazi di libertà, di autonomia, di responsabilità personale che in genere sono in sintonia con le rivendicazioni dei movimenti giovanili e studenteschi, per quanto riguarda la libertà sessuale in

particolare. Tendenzialmente siamo assai in grado di intercettare le richieste del mondo giovanile,

etero ed omosessuale e non c’è una distinzione generazionale all’interno del movimento in termini di prassi e azione politica, come non tanto sotto l’aspetto della riflessione…anche se un aspetto è l’innamoramento dei giovani rispetto alle teorie queer, che gli attivisti più maturi tendono a confinare all’interno della speculazione scientifico-accademica senza farne più di tanto una fede ideologica o un’identità vera e propria.

Maurizio Nicolazzo (Circolo Maurice) Ne abbiamo uno solo che ha fondato l'associazione insieme ad altri gay nell'85, e si è "evoluto" coi tempi, non c'è molta differenza sulla sua visione dell'attività politica e quella del Maurice nonostante la sua provenienza dagli anni '70; anzi il Maurice è l'associazione che a Torino fa più riferimento alla provenienza politica dagli anni '70 in generale e al movimento Lgbt di quel periodo, preferendo la lotta liberazionista a quella emancipatoria.

Andrea Maccarrone (Circolo Mieli) Il movimento negli anni '70 nasceva nel seno dei movimenti contestatori, per i diritti civili e delle donne, assolutamente connesso a un contesto unitario che chiedeva radicali cambiamenti culturali, sociali ed economici. Era un movimento "rivoluzionario" e di liberazione che esercitava una critica profonda ai modelli esistenti. Quest'anima rimane ancora oggi, è un patrimonio del nostro movimento, ma assai più sottotraccia mentre il centro delle rivendicazioni si sono spesso spostati su un terreno più vertenziale che punta a ottenere singole conquiste o singoli obiettivi all'interno del sistema esistente. Anche la capacità di connettere le diverse lotte e la percezione degli attivisti di appartenere a un unico movimento di lotta sociale e politico si è sostanzialmente affievolito.

Questa evoluzione tocca su un piano trasversale anche gli attivisti degli anni '70 e riguarda ovviamente tutta la società e i movimenti (delle donne, dei lavoratori, degli studenti, dei diritti civili, etc.)

Giuseppina La Delfa (Famiglie Arcobaleno) Sicuramente vedo delle differenze. Gli attivisti

storici degli anni’70 volevano una società di totale libertà, dove ognuno potesse esprimere al meglio

le proprie individualità, mentre noi oggi vogliamo poter creare anche dei legami. Rivendichiamo

delle cose che negli anni’70 erano totalmente rigettate: il concetto di famiglia, di coppia stabile, di matrimonio, di figli, responsabilità sociale… c’è una specie di scontro ideologico tra due visioni

della libertà. La cosa che secondo me gli anziani non capiscono delle nostre rivendicazioni attuali è che il fatto di rivendicare il matrimonio, pari diritti e pari dignità non vuol dire che ci siamo sistemati, rientrati nel rango, vuol dire che chi ha questo tipo di desiderio e ha voglia di vivere in un certo modo, dovrebbe avere la possibilità di farlo mentre niente e nessuno ha mai impedito ad un individuo di vivere la vita la più libera possibile. Tranne il giudizio sociale o la visione sociale della

libertà sessuale, della libertà di comportamenti in generale…spesso è stata ancora oggi molto

criticata da un certo tipo di società che vorrebbe la gente incasellata e sistemata per poter essere meglio controllata. La nostra posizione come Famiglie Arcobaleno è: massima libertà a tutti, di vivere la vita che vogliono, nel pieno rispetto delle proprie scelte, sia che esse siano scelte di libertà o sia una scelta di creare una famiglia e di fare un altro tipo di vita più “regolare”. Ma per noi non è

una vita migliore dell’altra, è semplicemente dare a tutti la possibilità di andare dove vuole andare,

nel rispetto delle sue scelte.

Angelo Pezzana (Fuori!) Questa mattina sono andato a Torino all’inaugurazione di un nuovo

spazio che si chiama “Casa Arcobaleno” che riunisce una decina di associazioni, non solo gay ma anche altre, in un posto, chiamato “Casa Holden”. Guardando questi giovani militanti di oggi, ho

rivisto modi di fare, interessi…che mi hanno ricordato quelli nostri degli anni ’70. E’ rimasta una componente di militanza, su cose concrete: per fare cose che servono agli altri. Poi ci sono le coppie,

prima più nascoste…gli obiettivi non sono più quelli degli anni ’70. Le istituzioni collaborano… il dovere dell’istituzione è quello di favorire i cittadini, non di favorire qualcuno contro qualcun altro.

I sindaci che aprono i registri per il riconoscimento delle unioni civili, che hanno creato scandalo nei prefetti, stanno facendo una cosa che era impensabile anni fa… il cambiamento poi deve avvenire in Parlamento. E lì ci sono ancora vecchi politicanti, che faranno di tutto per contrastare una legge giusta. La battaglia sarà in Parlamento. Lo sapremo a gennaio, se Renzi mantiene la

parola: ci sarà la presentazione di un progetto di legge…

Katia Acquafredda (LLI) Un maggiore radicalismo è forse presente nelle militanti anni ‘70 in

confronto con chi ha respirato prevalentemente l’aria di un movimento centrato sulla lotta per i

Alessandro Rizzo (Milk Milano) Si, ce ne sono ancora…ad esempio noi abbiamo un buon rapporto con la fondazione Fuori! di Torino, ancora diretta da Angelo Pezzana, che è il fondatore del movimento omosessuale in Italia...le differenze riguardano la costruzione di percorsi comuni con persone interessate non solo a questioni che riguardano l'identità sessuale, ma anche l'identità di genere. C'è ancora questa diffidenza a volte, si vuole centralizzare la questione in alcuni casi sull'omosessualità... Noi invece ad esempio siamo aperti su tutte le questioni relative all'identità di genere, anche alla bisessualità, che in Italia è sempre vista male sia dagli eterosessuali (che vedono i bisessuali come rinnegatori di una virilità che deve essere difesa), sia da molti omosessuali (che vedono una persona bisessuale come colei che non si vuole dichiarare e pagare il pegno, che è "velata", ma che sessualmente agisce più come persone dello stesso sesso.) Invece la bisessualità esiste come orientamento sessuale, che ha tutta la dignità di essere rappresentata. Come avviene all'estero. In Inghilterra ci sono delle associazioni solo di bisessuali.

Porpora Marcasciano (MIT) Gli attivisti e le attiviste degli anni’70 dovevano scardinare pregiudizi vecchi di secoli e quindi dovevano agire con determinazione, di persona, ci dovevano

mettere la faccia. Non c’era mediazione. C’eravamo noi, io ero tra quelle, e c’era un sistema, una

società a cui bisognava dire, anzi urlare, il proprio modo d’essere. Quello è stato il periodo in cui si

è prodotto tantissimo. C’erano sit in, manifestazioni di piazza, cortei, c’era tutto questo perché c’era un’esigenza molto forte ed impellente. Erano pochi gli attivisti e le attiviste, del mondo LGBT; oggi

gli attivisti e le attiviste hanno smesso, perché è cambiata la forma di comunicazione, il modo di essere visibili. Non si è più in piazza, nei cortei ad urlare. Oggi si va avanti a colpi di comunicati, di articoli, di Facebook, di internet. C’è un attivismo virtuale, possiamo definirlo in questo modo. In

questo vedo un po’la differenza tra gli attivisti e le attiviste di allora e quelli di oggi. Anche le richieste sono cambiate, perché all’epoca bisognava dire di esserci, bisognava starci. Fino a quel momento anche l’omosessualità era in qualche modo vietata. Il processo Braibanti è stato alla fine degli anni’60 e all’inizio degli anni’70 e la Romina Cecconi è stata al confino perché transessuale alla fine degli anni’60; il primo sit in di visibilità gay a San Remo è stato nel 1973. Lì bisognava

parlare di diritti negli anni Ottanta, perché prima era un po’più vaga l’idea di diritto. Negli anni’70 c’era l’esigenza di essere riconosciuti come soggetti, come persone lesbiche, gay, transessuali, il

percorso dei diritti, di essere soggetti portatori di diritti si comincia dalla seconda metà degli anni

Ottanta. In un periodo particolarmente difficile e complesso, perché arrivava l’Aids, una malattia

che ha investito la realtà LGBT appieno. All’inizio quando apparve fu considerata in maniera

allucinante “la peste gay”, proprio dall’allora Ministro della salute Donat-Cattin; questo

comprometteva, metteva in discussione un percorso di rivendicazione alto. Nonostante quella complicazione, si è cresciuti, perché numericamente siamo passati da poche migliaia a milioni di persone. Peccato solo, e lo dico con amarezza, che a fronte di queste persone che si dichiarano, e che vivono così la propria identità sessuale e di genere, non ci sia una mobilitazione altrettanto forte.

Forse c’era più gente in piazza quando si era in pochi a rivendicare i propri diritti, che oggi che

siamo in tantissimi.

Luca Trentini (Orlando) Per quanto riguarda le richieste rimangono più o meno le stesse. C’è una differenza enorme di approccio rispetto alla politica e rispetto alle rivendicazioni. Noi a Brescia abbiamo un enorme gruppo giovani, costituito da una novantina di ragazzi e di ragazze. Il gruppo lavora in maniera meno politicizzata di quanto era non più tardi di 5 anni fa. Cioè la richiesta di parità è percepita come una richiesta assolutamente normale, è una richiesta di normalità. Se per noi

di una generazione un po’più vecchia (ma non poi così tanto), la parola normalità veniva percepita

quasi come una bestemmia, nel senso che noi abbiamo dovuto costruire e rivendicare la nostra diversità, perché la nostra diversità potesse essere accettata, la richiesta che fanno invece i ragazzi di oggi è diversa. Hanno un diverso approccio rispetto alla propria identità, perché si sono accettati molto presto e con molta più semplicità. Perciò la loro richiesta è quella di uguaglianza rispetto a tutte le altre persone. Non rivendicano più, come facevamo noi, la diversità come peculiarità da accettare, ma cercano proprio la normalità e la parità con le persone che vivono intorno a loro, con

le persone eterosessuali. Questo sicuramente è un cambio di paradigma non indifferente. C’è poi

una vivacità e una voglia di mobilitazione, soprattutto a livello giovanile, che è molto alta. Nel senso che noi le abbiamo vissute come battaglie di minoranza e come richieste di rivendicazioni che si combattevano sostanzialmente a livello di partiti, invece i giovani nei loro contesti, non si fanno nessun problema ad essere visibili, combattono all’interno delle loro scuole, delle loro famiglie, delle loro realtà, hanno un approccio molto più diretto e molto meno mediato dalla politica di quello

che avevamo noi. Resta però il fatto che quando c’è da mobilitarsi sono assolutamente determinati a

scendere in piazza, a contromanifestare, a manifestare e richiedere senza tante mediazioni politiche.

C’è un approccio molto differente ma è sicuramente un’evoluzione positiva. Si tratta di una

che fa la differenza, in questa fortissima richiesta di uguaglianza e di normalità. Loro vogliono vivere il loro rapporto di coppia in maniera assolutamente normale, cosa che fino a una decina di

anni fa, nel movimento, sarebbe stata percepita come una cosa folle. C’era un grosso dibattito all’interno del movimento sull’accesso al matrimonio, c’era la parte radicale del movimento che era

molto contraria a quello che veniva percepito come un istituto eterosessuale. E quindi si voleva

superare il matrimonio con qualche cosa d’altro per conservare la nostra specificità e la nostra

diversità. Adesso questo discorso è completamente decaduto, perché soprattutto i giovani vogliono essere normali ed avere accesso a tutti i diritti che hanno tutti gli altri. Pur conservando la propria

identità come diversi rispetto alla norma. E’ sicuramente maturata, soprattutto nelle fasce più

giovani, una consapevolezza differente, molto meno problematica. Nel senso che l’accettazione

sociale all’interno delle famiglie e dei contesti di ragazzi giovani è molto più semplice rispetto a

qualche anno fa. Ci sono ancora sacche di omofobia e di non accettazione, ma la riproposizione a livello culturale di modelli che propongono la famiglia, chiamiamola omosessuale in maniera impropria, ha cambiato anche il desiderio e la percezione che questi giovani hanno del proprio futuro. Per noi della generazione precedente era quasi inconcepibile pensare ad una famiglia omosessuale che si sposasse in Comune o in Chiesa e che addirittura arrivasse ad avere

bambini…ad oggi questi modelli invece sono completamente sdoganati, sono quotidiani, li abbiamo

fuori dalle nostre case e soprattutto nelle persone più giovani che crescono e che vedono, ci sono dei modelli sociali a cui riferirsi, cosa che a noi mancava completamente. Questo ha portato ad identificarsi in questi ruoli e a domandarli a livello politico, in maniera più piana e semplice di quanto non potesse essere fatto una decina di anni fa quando invece questi modelli erano invece percepiti come lontani, come parte di un mondo assolutamente al di fuori, lontano da noi, negli Stati Uniti o nel Nord Europa, che non venivano percepiti come vicini. Adesso questa possibilità viene percepita e si combatte per arrivare anche noi lì. Nel passato la nostra richiesta e la nostra speranza era quella di poter riuscire ad avere un compagno. Adesso la speranza e il desiderio delle persone