2.Cenni di storia dell’omosessualità
P. Rigliano, Amori senza scandalo Cosa vuol dire essere lesbica e gay, Milano, Feltrinelli, 2001 pp 26 e segg.
2.7 Il XX Secolo e il movimento omosessuale
Il processo che porta alla comparsa dell’identità omosessuale sulla scena sociale è piuttosto recente
in Italia; uno dei lavori più importanti in merito è quello di Gianni Rossi Barilli, Il movimento gay in Italia, Milano, Feltrinelli, 1999, dove si analizza la storia del movimento gay nel nostro Paese, la
sua visibilità, i dibattiti che l’hanno coinvolto, le trasformazioni che ha portato con sé.
Per comprendere la nascita dei movimenti LGBT, bisogna spostarsi al XIX secolo; in quel periodo,
l’Italia e soprattutto Capri, attiravano visitatori omosessuali da tutta Europa, dato che nel codice
penale italiano non erano contemplate leggi repressive contro l’omosessualità.
Quando con l’unità d’Italia il nostro Paese si dotò di una legislazione comune, al sud non venne estesa la norma che puniva l’omosessualità, fino all’introduzione del codice Zanardelli nel 1889.
Tra i precursori del movimento gay vengono annoverati il letterato inglese Edward Carpenter, che
scriveva in un Paese, l’Inghilterra, dove l’omosessualità sarebbe rimasta reato fino al 1967; il
dottore tedesco Magnus Hirschfeld, influenzato dalle teorie di Karl Einrich Ulrichs, che dedicò tutti i suoi sforzi al tentativo di abrogare il paragrafo 175 del codice penale tedesco che prevedeva il
carcere per l’omosessualità maschile.
In Unione sovietica, se la Rivoluzione d’ottobre nel 1917 aveva abolito le leggi contro la sodomia,
Stalin la mise nuovamente fuori legge; la nazione più tollerante nei confronti dell’omosessualità era
la Francia, già a partire dal Codice napoleonico del 1804 che depenalizzava gli atti omosessuali consumati in privato.
Anche per Rossi Barilli, che riprende la periodizzazione di Foucault, la nascita dell’omosessualità collegata non solo all’atto della sodomia ma ad una sfera propriamente identitaria, risalirebbe al XIX secolo: secolo in cui si assisterebbe (come altri storici già citati in precedenza confermano) anche all’acuirsi della repressione contro gli omosessuali.
Rossi Barilli passa in rassegna le teorie più importanti del XIX secolo sull’omosessualità: da quelle di Ambroise Tardieu, a quelle lombrosiane, fino a quelle di Krafft Ebing e di Freud.
A livello internazionale, tra i pionieri del movimento omosessuale, egli annovera Edward Carpenter (1844-1929), Magnus Hirschfeld (1868-1935), fondatore, nel 1897, del Comitato scientifico umanitario, la prima organizzazione gay e Aldo Mieli (1879-1950).
In Italia, durante il fascismo, benché il reato di omosessualità non fosse contemplato dal Codice Rocco, esistevano svariate forme di repressione, estese soprattutto a chi, oltre ad essere gay, si opponeva al regime.
“Sono ancora pochi i testi sugli omosessuali morti nei lager nazisti, nei gulag comunisti o mandati al confino fascista”70
I regimi totalitari non furono certamente teneri verso l’omosessualità: durante il nazismo, il
triangolo rosa contrassegnava gli omosessuali, imprigionati durante la Seconda Guerra Mondiale e costretti alla sterilizzazione forzata, quando non sterminati nei campi di concentramento.
Nell’Unione Sovietica di Stalin, il trattamento non era migliore: Stalin considerava l’omosessualità espressione della “degenerazione della borghesia fascista” e molti omosessuali vennero deportati in
Siberia.
Secondo Gianni Rossi Barilli, per quanto riguarda il fascismo,
“La dittatura di Mussolini portò con sé tempi duri anche per gli omosessuali, ma
significativamente non introdusse alcuna legge restrittiva. Il nuovo codice penale fascista, il
famoso codice Rocco entrato in vigore nel 1930, neppure nominava “il vizio contro natura””71
Questo non significa che il fascismo fu tollerante con l’omosessualità; molti omosessuali subirono
violenze e furono mandati al confino, soprattutto quando all’omosessualità si univa la dissidenza
politica.
Nemmeno con la fine del fascismo la situazione degli omosessuali migliorò: negli anni Cinquanta il
moralismo democristiano impose un’ulteriore stretta repressiva di cui si ha traccia, ad esempio,
nello scandalo che travolse Pasolini nel 1949.
L’autore nota che in quel periodo anche solo simpatizzare per la causa omosessuale procurava l’indignazione dei benpensanti.
Scrive Andrea Pini, che si è occupato dello studio di quegli anni nel suo libro Quando eravamo
froci. Gli omosessuali nell’Italia di una volta, integrando lo studio storico con venti interviste a
polizia e in particolare il buoncostume, la magistratura, la politica che sostanzialmente incoraggiava l'ipocrisia della "doppia vita", la scuola che ne accennava solo a proposito di Socrate, Platone e dell'"amore greco",le barzellette e le battutacce invariabilmente omofobe, nessuno che ne parlasse mai apertamente e che pronunciasse la parola... Modelli positivi non ne esistevano: non esistevano singoli omosessuali riconosciuti e rispettati come tali, non esistevano coppie gay o lesbiche alla luce del sole, non esisteva neppure il concetto di coppia omosessuale capace di vivere una relazione. (...) Non esisteva neppure il concetto moderno di persona omosessuale, cioè di un uomo o di una donna che vive una variante minoritaria ma normale dell'orientamento sessuale, capace di intessere relazioni affettive e di progettare e costruire la propri vita come chiunque altro. Non esisteva nessun posto di aggregazione, associazione, circolo, locale, bar o qualsivoglia luogo dedicato legalmente e apertamente agli omosessuali. I loro luoghi di aggregazione erano, apparentemente, solo gli orinatoi. Per la stragrande maggioranza della popolazione italiana i gay e le lesbiche erano dei pervertiti e dei poveretti, che comunque nessuno conosceva da vicino: macchiette relegate alle ore buie e notturne, ai luoghi sordidi, agli ambienti della delinquenza. Lontani anni luce dalla tranquillità rassicurante del focolare familiare, della socialità accogliente riservata alle persone "normali". Dall'estero giungeva l'eco di qualche novità stravagante, ma solo pochi potevano percepirlo (...) L'ondata liberatoria del 1968 non era ancora arrivata per nessuno: niente giovani hippy, niente femministe con la gonnella a fiori, niente manifestazioni studentesche contro la repressione, niente abiti unisex, niente ragazzi con i capelli lunghi, niente contestazione al sistema patriarcale. (...) Sotto il pesante ma ufficiale perbenismo sessuofobico si nascondevano costumi più pagani e liberi, profondamente radicati nella cultura popolare e ben conosciuti dalle classi borghesi e aristocratiche non solo italiane, ma anche europee. In forme contenute e codificate esisteva la realtà della trasgressione omosessuale e, in un mondo tutto maschile e completamente silente, succedeva di tutto. Nessuno voleva e poteva affrontare l'argomento, era considerato imbarazzante e fuori luogo, anche perché moltissimi dovevano difendere prima di tutto se stessi. Non dimentichiamo che in quegli anni la grande maggioranza dei gay e delle lesbiche si sposava e metteva al mondo dei figli. Il concetto stesso di omosessualità era vissuto come qualcosa di strettamente attinente alla sfera sessuale, senza altre implicazioni. In pratica si poteva avere una doppia vita."72
In quegli anni tra i maggiori difensori della causa gay c’era Gino Olivari, che faceva capo alla rivista “Scienza e sessualità”. Risale a quel periodo, a livello internazionale, la nascita dell’Icse (International committee for sexual equality), con l’attività, al suo interno, di Bernardino del Boca; il Manifesto per la libertà sessuale di René Guyon; l’associazione francese Arcadie per i diritti degli
omofili e nella letteratura e nel giornalismo degli anni ’50 inizia ad entrare la tematica omosessuale. Agli anni Sessanta risale lo scandalo, partito da Brescia, dei balletti verdi, che portò all’arresto di numerosi omosessuali. Ma in quel periodo qualcosa in senso positivo si stava muovendo:
“Vera o falsa che fosse, negli anni sessanta inaugurati dalle promesse del boom economico e culminati nella rivolta studentesca e operaia del ’68-69 si respirava una nuova aria di libertà. In questo clima, sempre più spesso l’omosessualità diventava argomento di discussione.”73
È di quel periodo anche il caso Braibanti: non esistendo una legge che puniva esplicitamente
l’omosessualità, fu condannato, nel 1968, per plagio secondo l’articolo 603 per aver, secondo i
parenti del suo amante, plagiato il giovane con cui aveva una relazione, che fu internato in manicomio mentre Braibanti, arrestato.
Non erano anni semplici per le persone omosessuali:
“La sensazione che mi è rimasta è che venisse palesato un forte disprezzo Questo è quello
che si respirava e si è respirato a lungo e che ha segnato profondamente vite intere." In generale c'è qualcosa di contraddittorio nei racconti personali dei nostri interlocutori: quasi nessuno ricorda quegli anni come particolarmente pericolosi e violenti per i gay, anzi, quasi tutti sono d'accordo nell'affermare che solo a un certo punto ci sia stato un giro di boa e la situazione si sia fatta più pericolosa per i frequentatori di parchi e per i cercatori di "maschi". E qualcosa di vero ci deve essere. Quel giro di boa, probabilmente avvenuto nel passaggio agli anni settanta, ha coinciso con la diffusione delle droghe pesanti, l'aumento
abbastanza saldi e forti da poter affrontare anche il peggio. Forse, ancora di più, un certo sentire comuna portava a dare per scontato, per inevitabile, che lungo la strada di un omosessuale non potessero mancare aggressioni, minacce e violenze. Non era questa la rappresentazione sociale dell'omosessualità? Uno stato che portava dentro di sé la disgrazia, la quale lo accompagnava necessariamente. E allora quegli episodi, pur pesanti, è come se si fossero stemperati, grazie alla condizione generale di rischio che accumunava un po'tutti."74
Sicuramente una delle date più importanti, a livello internazionale. per la storia gay è quella della rivolta di Stonewall (28 giugno 1969), quando a New York si ebbe una guerriglia tra la polizia che voleva compiere una spedizione punitiva contro gli omosessuali e il mondo gay che iniziò a
ribellarsi. Dopo quell’episodio, gli omosessuali fondarono il Gay liberation front che si diffuse
analogamente anche in Europa.
In Italia si assiste negli anni Settanta alla nascita della rivista Fuori!, acronimo di: Fronte unitario
omosessuale rivoluzionario italiano, organo d’informazione dell’omonima associazione, la prima, in
Italia, del movimento di liberazione omosessuale, fondata da Angelo Pezzana.
""La nostra manifestazione fuori, davanti all'ingresso della strada, in quella per noi ormai storica giornata, il 5 aprile del 1972, anno primo giorno primo, Momento Primo Irrinunciabile della uscita fuori, piena, autentica, voluta.(...)" Fuori! n.1, giugno 1972. Ecco, "anno primo, giorno primo, momento primo", è qui che voglio fermare il mio percorso di ricerca partito dal dopoguerra e giunto a un punto di svolta cruciale, l'uscita dei gay e delle lesbiche dalle catacombe, l'uscita FUORI. Da questa data simbolica vogliamo pensare che sia nato un processo nuovo, un processo di liberazione per gay, lesbiche e trans, lungo, tortuoso e difficile e certamente non concluso. Ovviamente nessun processo sociale si può considerare concluso e definitivo, non è mai così. Anche perché la storia e l'attualità ci insegnano che esitono sempre rischi di regressione sociale e politica, e forse proprio oggi siamo in una fase nella quale ci dobbiamo domandare se veramente i nostri nuovi stili di vita non corrano il rischio di essere percepiti come "pericolosi" dalle maggioranze, e in realtà di essere pericolosi per noi minoranze.
L'attualità, sebbene forse si tratti solo di una fase di passaggio, ci presenta episodi, idee, proclami religiosi e politici di forte intolleranza di matrice omofobica, e questo non può lasciarci tranquilli. In particolare in questa nostra arretrata Italia del 2011, nella quale i
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