Agli inizi, le complessità del branding delle destinazioni risiedevano nella trasposizione e adattamento delle teorie al turismo, un fenomeno che per natura è complesso, variegato e in continuo cambiamento (RITCHIE J., RITCHIE R. 1998). Con l’evoluzione della disciplina, la base teorica si è solidificata, lasciando spazio alle difficoltà riguardanti la sua applicazione nella pratica. Innanzitutto, essendo un argomento relativamente recente, le organizzazioni che si occupano della sua pianificazione non sempre hanno i mezzi e le conoscenze per attuarlo nel migliore dei modi (CHANG, MARAFA 2018). Le DMO tendono a concentrarsi sull’estetica del logo e altri elementi secondari, piuttosto che a elaborare una strategia turistica strutturata (SÉRAPHIN, ZAMAN, OLVER, BOURLIATAUX-LAJOINIE, DOSQUET 2019). Allo stesso modo le diverse modalità per monitorare i risultati ottenuti e implementare il brand non sono ancora pratiche consolidate, e quindi sono scarsamente utilizzate o mal applicate (CHANG, MARAFA 2018).
Uno dei limiti della brandizzazione delle destinazioni è che ci si rivolge a un target più o meno ampio, ma che in ogni caso andrà a escludere alcune fette del mercato (GILMORE 2002). Per quanto infatti la brandizzazione favorisca l’instaurazione di connessioni emozionali su un’ampia gamma di individui, non è in grado di accendere l’interesse di tutti i possibili turisti. Cercare di accontentare un segmento di turisti implica necessariamente non riuscire a soddisfarne altri. Di conseguenza va compiuta una scelta precisa e ponderata.
Un altro problema deriva dal fatto che per imporsi sul mercato, si cerca di proporre pubblicità innovative e interessanti con costi contenuti “massimizzando la spesa dei media” (MORGAN, PRITCHARD 2002:14). Questo obiettivo però è complesso da realizzare in concreto perché dipende molto dalle politiche governative della destinazione in questione. Le dinamiche politiche infatti influenzano su un ampio spettro i progetti e le decisioni prese nel destination branding, e non solamente sul lato economico come si potrebbe pensare. In questo settore spesso la politica non sta al passo con l’evoluzione continua e non è reattiva ai mutamenti, caratteristiche fondamentale nelle strategie di marketing; pressata dai più disparati bisogni e richieste locali e non, non è in grado di garantire continuità e fornire una linea guida chiara e vincente, soprattutto sul lungo periodo (MORGAN, PRITCHARD 2002).
Il coinvolgimento della politica non è l’unico ostacolo. Un brand di successo deve essere supportato dagli stakeholders interni alla destinazione, che apprezzano e confermano il modo in cui il luogo è pubblicizzato (MORGAN, PRITCHARD 2002). Come descritto nel primo capitolo, il turismo coinvolge per sua natura una varietà di parti, di cui è difficile far convergere le necessità perché a volte in conflitto tra loro (BUHALIS 2000). Residenti e professionisti del settore devono sentirsi rispettati e rappresentati con veridicità dal brand pubblicizzato (RITCHIE J., RITCHIE R. 1998). Un metodo che ad esempio può riuscire ad accontentare una fetta estesa di persone e organizzazioni coinvolte, è quello di proporre al turista uno stereotipo diffuso sulla destinazione per poi arricchirlo con più dettagli, in modo che il cliché funga solo da esca, ma che il branding invece rappresenti la complessità del luogo (MORGAN, PRITCHARD 2002). Nonostante questa premessa, le DMO che si occupano di un suprabrand non sembrerebbero interpellare con costanza gli attori locali del settore,
53 lavorando invece in modo autonomo, senza ritenere necessario un consulto e un coinvolgimento maggiore delle parti interessate (BLAIN et al. 2005). Il problema però risiede nel fatto che non è assolutamente scontato che l’immagine concretamente presentata dall’industria turistica della destinazione corrisponda a quella che le istituzioni vorrebbero presentare. Al contrario, la seconda potrebbe essere irrilevante o addirittura controproducente rispetto alla prima (ANHOLT 2002). Ciò dimostra la complessità d’interazione tra stakeholders che prendono parte a questo processo e la difficoltà nell’armonizzate e puntare allo stesso messaggio per raggiungere un risultato significativo (ANHOLT 2002; GILMORE 2002). Ogni parte lotta per far emergere le proprie necessità esercitando il proprio potere22 sugli altri (MARZANO, SCOTT 2009). Gli stakeholders traggono vantaggio dagli
strumenti che possiedono per influenzare la decisione, tra cui spiccano l’abilità di persuasione e l’autorevolezza, che può essere indotta o derivata dalla competenza, dalla legittimità, dalla passione e dall’esperienza (MARZANO, SCOTT 2009).
Altro punto che richiede attenzione è che il brand delle destinazioni non è fisso e può cambiare radicalmente. Come descritto nel primo capitolo, i cambiamenti esterni al turismo hanno un impatto imprevedibile e incontrollabile sulle destinazioni, il che contribuisce a rendere anche il destination
branding un processo difficoltoso. Nuove minacce alla sicurezza nazionale, cambiamenti climatici,
problemi politici ed economici possono distruggere in breve tempo anni di lavoro nel diffondere una caratterizzazione specifica del luogo (MORGAN, PRITCHARD 2002). Coloro che si occupano della brandizzazione sono consapevoli dello scarso controllo che hanno sulle tante sfaccettature che costituiscono una destinazione. Anche nell’ambito micro è difficile mantenere una qualità costante e diventa impossibile accertarsi che nelle singole esperienze dei turisti il brand trasmesso sia congruo con la versione ufficiale (RITCHIE J., RITCHIE R. 1998; BUHALIS 2000; BLAIN et al. 2005). In questo senso, un ruolo importante è attribuito ai residenti che con i loro comportamenti confermano o smentiscono il brand proposto (ANHOLT 2007), e sui quali tuttavia gli altri
stakeholders non hanno controllo (RITCHIE J., RITCHIE R. 1998)23. Queste discrepanze possono
rendere il brand ambiguo e inefficiente (RITCHIE J., RITCHIE R. 1998; BUHALIS 2000).
Nonostante le difficoltà, i benefici di un destination branding che ha raggiunto il suo obiettivo sono molteplici. Tra questi il più immediato è un evidente ritorno economico, che coinvolge tutta la sfera del turismo e non solo, e aiuta la destinazione a posizionarsi positivamente sul mercato globale; una campagna ben assestata stimola infatti gli investimenti pubblici e privati del settore (ANHOLT 2002). La coordinazione tra DMO e i diversi stakeholders è perciò fondamentale per una visione comune che rispecchia e mette in pratica le aspettative dei turisti (BLAIN et al. 2005).
22 Potere è qui utilizzato nell’accezione tridimensionale descritta da Lukes (LUKES 2004). Il potere è innanzitutto
connesso con la capacità di controllo sull’agenda politica; in secondo luogo, è legato al conflitto, situazione insita nei rapporti di potere; e infine sono coinvolti con esso gli interessi personali nelle scelte e azioni delle parti (LUKES 2004).
23 A questo proposito possono essere attiviate politiche di management di supporto alla relazione tra consumatori
54 Per giunta, la reputazione positiva di una nazione, ottenuta attraverso la brandizzazione turistica, offre un vantaggio anche nell’ambito socio-geopolitico e nelle relazioni tra Stati (ANHOLT 2002). Al contrario, l’associazione con qualifiche negative rende una destinazione oggetto di stereotipi di difficile digestione per i residenti, che si sentono mal rappresentati, e che possono addirittura arrivare a penalizzarla a livello internazionale, non solo nell’ambito turistico (ANHOLT 2002). I brand infatti influenzano profondamente ogni aspetto della destinazione e della società ad essa associata e il loro ciclo di vita può essere sorprendentemente longevo (RITCHIE J., RITCHIE R. 1998).