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Il brand nazionale del Giappone è notoriamente un caso di re-branding riuscito. Negli anni Sessanta i prodotti giapponesi erano sinonimo di convenienza ma di scarsa qualità, almeno dalla prospettiva dei consumatori nordamericani ed europei. Nel decennio successivo la situazione si ribaltò completamente: gli oggetti fabbricati in Giappone, soprattutto per i settori dell’elettronica di consumo, moto, macchine fotografiche, etc., cominciarono a essere sinonimo di qualità, tecnologia e innovazione. Il passaggio si consolidò negli anni Ottanta. Nello stesso periodo i primi prodotti d’intrattenimento nipponici e dell’industria videoludica raggiunsero gli USA e l’Europa. Questo cambiamento avviò una nuova ondata di interesse verso il Sol Levante, che suscitò a sua volta una trasformazione nell’immagine percepita del Giappone all’estero (ANHOLT 2002; MATSUI 2014). Non era certamente la prima volta che il mondo Euro-Americano provava un certo fascino per il Giappone; ma questa “terza ondata di Giapponismo” era completamente diversa (JETRO 2005:8). Essa infatti copriva non solo una fascia di pubblico molto più ampia, ma era anche legata a un trend differente dai precedenti, i prodotti della content industry59, in grado di influenzare la cultura pop

mondiale (JETRO 2005:8; VALASKIVI 2013).

Nel corso degli anni Novanta l’esportazione di prodotti d’intrattenimento nipponici si fece sempre maggiore. Si incominciò perciò a vedere una possibilità concreta di miglioramento dell’immagine della nazione e conseguente acquisizione di soft power, attraverso questa spinta di interesse e apprezzamento internazionale (VALVASKIVI 2013; IWABUCHI 2015).

Con l’arrivo del Nuovo Millennio l’argomento attirò anche l’attenzione dei media: il successo della

content industry andava disegnando una nuova identità del Giappone agli occhi del mondo Euro-

Americano (VALVASKIVI 2013; IWABUCHI 2015). In uno degli articoli più influenti, il giornalista Douglas McGray descrisse il Giappone come una nuova potenza culturale coniando il termine “Gross

59 Content Industry, o kontentsu sangyō (コンテンツ産業), si riferisce alle “industrie commerciali che producono,

distribuiscono e vendono come fossero prodotti opere culturali e/o di intrattenimento come musica, immagini, videogiochi, manga e anime” (KAWASHIMA 2009:3).

91 National Cool” (VALVASKIVI 2013; IWABUCHI 2015)60. McGray evidenziò come la fama acquisita da

tutta una serie di prodotti nipponici di quel periodo (manga, cultura pop, fashion, lifestyle, etc.) avesse contribuito a generare una nuova immagine di Giappone all’estero (VALVASKIVI 2013; IWABUCHI 2015); un’immagine che “aveva un impatto positivo sul PIL nazionale e poteva potenzialmente far crescere la sua attrattività globale, anche sulla scena politica” (VALASKIVI 2013:488). Si fece allora strada il concetto del Cool Japan. Il termine divenne presto famoso in Giappone e si consolidò l’idea che esso potesse essere un potente mezzo per incrementare il soft

power nipponico sulle altre nazioni: il successo di tecnologia, moda, cultura pop, apparecchi

elettronici, architettura, etc. si trasformava in forza politica ed economica per l’intera nazione (MATSUI 2014)61.

I primi utilizzi di questo termine da parte delle istituzioni ufficiali si attestano attorno al 2004 -2005, anche se il concetto che delinea è stato utilizzato nel branding giapponese già dal 2002 (VALVASKIVI 2013; IWABUCHI 2015). Invero, la Japan External Trade Organization (JETRO) pubblicò nel 2005 un documento in cui si dichiarava come tutta una serie di prodotti giapponesi, molto amati dal pubblico internazionale, potessero fungere da tramite per il rafforzamento dell’immagine nipponica: animazione, manga, videogame, merchandise, programmi tv, J-pop, moda, cibo, etc. erano l’espressione di quanto il Giappone fosse “cool” (JETRO 2005). Prodotti prima stigmatizzati dall’élite e dalla classe politica divennero quindi elemento centrale del branding ufficiale (MASTUI 2014). Si cavalcò l’onda del Cool Japan per influenzare consapevolmente la percezione e l’immaginario internazionale sul Giappone; per questo motivo tale concetto si è intersecato con le correnti della politica interna, il nazionalismo, le aspirazioni dei media giapponesi e gli interessi della content

industry (VALASKIVI 2013).

L’aspetto interessante è che le autorità hanno proseguito a far leva sul Cool Japan per tutti gli anni Duemila: il Ministero dell’Ambiente, delle Infrastrutture, dei Trasporti e del Turismo (MLIT) l’ha sfruttato per la brandizzazione e il marketing turistici nell’arco dell’ultimo ventennio (MLIT 2012:42- 43). Anche molti progetti di altri ministeri e agenzie hanno previsto la sua presenza nella promozione e il branding del Paese. L’Agenzia per gli Affari Culturali (Bunkachō) gestita dal Ministero dell’Educazione, Cultura, Sport, Scienza e Tecnologia (MEXT) si è impegnata in questi anni nella promozione della content industry nazionale, appoggiando così l’immagine del Cool Japan e facendo conoscere nel mondo i prodotti di intrattenimento giapponesi (MATSUI 2014). Il Ministero degli Affari Esteri (MOFA) già nel 2007 iniziò a considerare importante la crescita del soft power basato sull’interesse internazionale per la cultura pop nipponica (NOMURA 2007); e nel 2011 istituì una

task force distribuita su diverse nazioni per implementare il brand Giappone attraverso il Cool Japan

(MOFA 2011). Allo stesso modo, anche il Ministero dell’Economia, Commercio e Industria (METI) ha negli anni sviluppato politiche connesse a tale concetto (VALASKIVI 2013); una delle iniziative

60 MCGRAY Duglas, “Japan’S Gross National Cool”, New York, Foreign Policy, 2002.

92 cardine è stato il Cool Japan Advisory Council62 che, operando tra il 2010 e il 2012, ha saputo

convogliare forze provenienti da diversi settori per sviluppare il concetto di Cool Japan in una prospettiva di promozione e crescita dell’immagine del Giappone all’estero, anche dal punto di vista turistico (Creative Industries Division Ministry of Economy, Trade and Industry 2012; METI 2018a). Nel maggio 2011 questo consiglio ha emesso un documento63 in cui si introducevano delle linee

guida per il concetto di Cool Japan (Kūru Japan Kanmin yūshikisha kaigi 2011). All’interno del testo si rivolgeva grande attenzione alla rivitalizzazione post-tsunami 2011, alla trasformazione del settore industriale, alla creazione di nuovi stili di vita, e allo sviluppo di un “Giappone Creativo” di supporto allo slogan del Cool Japan (Kūru Japan Kanmin yūshikisha kaigi 2011). Il Cool Japan prendeva perciò il ruolo di intermediario per l’attrattività del Giappone e per la trasmissione dei “principi essenziali e fondamentali” giapponesi all’estero, quali “spiritualità, empatia, ricettività, resistenza, etc. ” (Kūru Japan Kanmin yūshikisha kaigi 2011:2). La ricostruzione dopo la catastrofe non doveva riprodurre il Giappone esattamente com’era, ma avrebbe dovuto stimolare la creazione di nuovi modelli economici e innovativi stili di vita attraverso la creatività giapponese, basandosi comunque sui suoi valori fondanti (Kūru Japan Kanmin yūshikisha kaigi 2011). Era importante raccontare dello “stile giapponese”, un mix tra antico e moderno, e presentare la nazione come un luogo con una società, un’organizzazione e delle arti uniche al mondo (Kūru Japan Kanmin yūshikisha kaigi 2011). Il “Nuovo Giappone” doveva rinascere sotto l’ala del Cool Japan: non solo cultura pop, manga e anime, ma anche design, moda, arti tradizionali e manufatti locali (Kūru Japan Kanmin yūshikisha kaigi 2011). Questa era l’immagine sulla quale formare il brand Giappone.

In generale, le iniziative legate all’idea di Cool Japan sono tuttora attive e tale slogan sembra ancora oggi essere il biglietto da visita che le istituzioni vogliono proporre al resto del mondo64. È indicativo

quanto riportato nell’ultimo “Intellectual Property Strategic Program 2018” (Intellectual Property Strategy Headquarters 2018):

“Per creare e comunicare efficacemente le attrazioni del Giappone, come contents, cibo, abbigliamento e alloggi, l’Intellectual Property Strategy Headquarters ha messo in atto un sistema per promuovere la strategia del ‘Cool Japan’, ha fornito finanziamenti e supporto per l'espansione all'estero dei contents giapponesi e simili, ha rafforzato infrastrutture per la strategia del ‘Cool Japan’...Manga, anime, film, musica, giochi, programmi e altre forme di contents sono elementi che guidano la strategia del ‘Cool Japan’ e sono anche essenziali per promuovere una comprensione del Giappone” (Intellectual Property Strategy Headquarters 2018:3;21).

62 In giapponese “Kūru Japan Kanmin yūshikisha kaigi” (クール・ジャパン官民有識者会議) (Creative Industries

Division Ministry of Economy, Trade and Industry 2012).

63 In giapponese “Atarashī Nihon no sōzō” (新しい日本の創造), traducibile in “La Creazione di un Nuovo

Giappone” (Kūru Japan Kanmin yūshikisha kaigi 2011).

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